Francesco Geminiani: Concerti Grossi

Lato 1: Concerto grosso N.1 Op.2 in do minore
Concerto grosso N.2 Op.2 in do minore
Lato 2: Concerto grosso N.3 Op.2 in re minore
Concerto grosso N.4 Op.2 in re maggiore
Lato 3: Concerto grosso N.5 Op.2 in re minore
Concerto grosso N.6 Op.2 in la minore
Lato 4: Concerto grosso N.1 Op.3 in re maggiore

Concerto grosso N.2 in sol minore

Lato 5: Concerto grosso N.3 Op.3 in mi minore

Concerto grosso N.4 Op.3 in re minore
Lato 6: Concerto grosso N.5 Op.3 in si bemolle maggiore
Concerto grosso N.6 Op.3 in mi minore

Francesco Geminiani (Lucca, 5 dicembre 1687 – Dublino, 17 settembre 1762

La vita

Iniziò gli studi sotto la guida di Alessandro Scarlatti, divenne poi allievo di Carlo Ambrogio (Ambrosio) Lonati, soprannominato Il gobbo, abile violinista e da ultimo passò nella scuola di Corelli. Dal 1707 rimpiazzò il padre alla Cappella Palatina di Lucca. Nel 1711 divenne primo violino e direttore d’orchestra del teatro dell’Opera di Napoli. Dopo un breve ritorno a Lucca, nel 1714 si recò a Londra dove le sue brillanti esecuzioni gli diedero in poco tempo una gran reputazione. Due anni dopo il suo arrivo a Londra, pubblicò 12 sonate per violino e basso, o clavicembalo, che dedicò al barone di Kielmansegge, ciambellano del re Giorgio I. Quest’opera ebbe un brillante successo. Il barone, che era il principale protettore di Geminiani, ne parlò al re e ottenne il permesso di far eseguire in sua presenza, da Geminiani, qualcuna delle sue produzioni. Fu Händel in quell’occasione a sedere al clavicembalo e Geminiani suonò in maniera da giustificare la protezione dei suoi amici.

Sfortunatamente, era tanto amante della pittura, da indebitarsi spesso per soddisfare le sue fantasie in questo genere d’arte, per procurarsi quadri di valore. Le sue imprudenze finanziarie in questo campo, si spinsero così lontano che fu obbligato a mettersi sotto la protezione di una legge che assicurava la libertà delle persone legate all’ambiente dell’alta nobiltà inglese. Il conte d’Essex, lo mise sulla lista dei suoi domestici.

Il posto di maestro di musica e compositore dello stato d’Irlanda, era divenuto vacante nel 1727, il conte d’Essex, lo richiese a Robert Walpole per Geminiani, ma questi lo rifiutò, dicendo che un cattolico non potevo occuparlo. Il posto fu così dato a Mathieu Bubourg che era stato allievo di colui il quale aveva rifiutato l’incarico. Ciò nonostante le opere che Geminiani pubblicava ogni anno accrescevano la sua reputazione. Oltre ai suoi concerti, aveva arrangiato i soli di Corelli e sei sonate dello stesso autore. Ma la pubblicazione di queste diverse opere aveva poco migliorato la sua situazione. In un viaggio che l’autore fece a Parigi, entrò in relazione con padre Castel che fece stampare, nel Journal des savants una analisi apologetica della guida armonica. Di ritorno in Inghilterra, Geminiani la tradusse in inglese e la pubblicò per tacitare le critiche.

Dopo altri viaggi ed un soggiorno a Parigi, durante il quale fece stampare edizioni rivedute e corrette di molte sue opere, Geminiani ritornò in Inghilterra, nel 1755, vi fece apparire nuove composizioni e iniziò a pubblicare una sorta di giornale di musica, sotto il titolo di The harmonical miscellaney, ma lo scarso successo riscosso da questa iniziativa lo fece desistere dall’impresa dopo 2 numeri. Nel 1761 Geminiani andò in Irlanda, dove Bubourg, che era allora a capo dell’orchestra del re, l’accolse con la riconoscenza che doveva al suo antico maestro. Geminiani aveva impiegato parecchi anni a raccogliere materiali considerevoli per un libro sulla musica, ma una donna che era al suo servizio, e che senza dubbio vi era entrata allo scopo di derubarlo, gli derubò il manoscritto, che non si è più potuto ritrovare in seguito. Questa perdita fece una impressione profonda sullo spirito di Geminiani e ne accelerò probabilmente la fine della vita. Morì a Dublino, il 17 settembre 1762.

Il suo vero nome di battesimo è Francesco Xaverio o Saverio. Però non usò mai durante la sua vita il secondo nome.

Considerazioni sull’artista
Come esecutore Geminiani sembrava avere un talento di prim’ordine, perché non si conoscono contestazioni su questo aspetto, l’opinione non è invece unanime al riguardo delle sue composizioni. Avison le cita come modello di eccellente musica strumentale, ne loda soprattutto la modulazione dolce e piena di espressività, l’armonia sempre perfetta e la naturalezza dei passaggi. Burney dice, al contrario, che le sue composizioni sono sì ardite e piene d’invenzione, ma difettose nel ritmo e nella melodia, e che esse contengono così poche frasi che un musicista che si sbagliasse, suonando la sua parte, farebbe molta fatica a ritrovarsi al punto giusto. Quale che sia la verità, è indubbio che cercò di allontanarsi dallo stile antico di Corelli, ma se le forme delle composizioni sono più moderne, non vi si trovano la ricchezza e la purezza di stile del suo maestro. Come scrittore didattico, Geminiani merita elogi per il trattato The art of playing on the violin… che è un buon libro elementare, ma il resto dei suoi scritti, e soprattutto la sua Guida armonica, sono ben al di sotto. Quest’ultima opera, in particolare, non contiene che una raccolta di risoluzioni armoniche, scritte in uno stile scorretto.

Mendelssohn: 5 sinfonie

Sinfonia Nr.1 in do minore Op II
Sinfonia Nr.2 in si bem0olle maggiore op.52
Sinfonia Nr.3 in la minore op.56
Sinfonia Nr. 4 in la maggiore op.90
Sinfonia Nr. 5 in re maggiore op. 107

Scarica qui le sinfonie di Mendelssohn


Jakob Ludwig Felix Mendelssohn Bartholdy (Amburgo, 3 febbraio 1809 – Lipsia, 4 novembre 1847) fu un compositore, direttore d’orchestra, pianista e organista tedesco.

Mendelssohn nacque ad Amburgo da un’aristocratica famiglia di origine ebraica. Era figlio di Abraham, banchiere, e nipote del filosofo Moses Mendelssohn.

La famiglia di Felix, poi, più per motivi politici che di effettivo credo religioso[senza fonte], si convertì al luteranesimo, aggiungendo al proprio cognome Bartholdy per distinguersi dai membri della famiglia rimasti ancora fedeli all’ebraismo. Felix non rimase sconvolto da questa scelta del padre, poiché la spensieratezza e la sua saggezza giovanile e prematura gli permettevano di pensare più alla musica e alle arti che alla religione.

Il giovane Felix ebbe modo di maturare rapidamente, grazie ai suoi genitori, assai colti, che fecero in modo che gli venisse impartita un’educazione completa, rivelandosi veloce nell’apprendimento della musica. Imparò a suonare il pianoforte dalla madre all’età di sei anni, a sette divenne allievo di Marie Bigot. Sua sorella, Fanny Mendelssohn conosciuta poi come Fanny Hensel era lei stessa pianista di fama e compositrice di rilievo tanto che alcune opere firmate dal fratello furono scritte in realtà da lei. Nel XIX secolo infatti non era ritenuto conveniente che una donna si dedicasse alla composizione musicale.

Nel 1819 si trasferì con la famiglia a Berlino, dove si concentrò nello studio del pianoforte sotto l’insegnamento di Ludwig Berger – allievo diretto di Muzio Clementi – e della composizione con Carl Friedrich Zelter, che gli insegnò ad amare la musica di Bach e gli presentò, nel 1821, Goethe. L’anziano poeta manifestò grande ammirazione per il giovane Mendelssohn, tanto che lo invitò a suonare per lui per alleviare la sua malinconia.

Mendelssohn si esibì nel suo primo concerto all’età di nove anni, quando prese parte ad un’esibizione da camera suonando in modo impeccabile il difficile Concerto militare di Dussek. Si rivelò un compositore prolifico fin dalla più giovane età, pubblicando il suo primo lavoro, un quartetto per pianoforte, all’età di tredici anni, ma in realtà aveva già al suo attivo uno svariato numero di operette, musica da camera e pianistica.

Durante la giovinezza si concentrò sul suo lavoro nella sua abitazione grazie ad un’Orchestra privata. Scrisse le sue prime dodici sinfonie, che iniziarono ad essere eseguite con regolarità solamente in tempi recenti, durante i primi anni di adolescenza (più precisamente, dai dodici ai quattordici anni). A quindici anni scrisse la prima sinfonia per orchestra completa, op. 11 in Do minore (1824), nel 1825 il celebre Ottetto per archi op.20, e a diciassette l’Ouverture per il Sogno di una notte di mezza estate, dall’omonimo lavoro teatrale – Sogno di una notte di mezza estate – di William Shakespeare, forse il suo primo grande successo.

Tuttavia Mendelssohn intraprese non di rado viaggi per l’Europa, incontrando le personalità di spicco della musica di quel tempo. A Parigi nel 1825 ebbe modo di conoscere Gioachino Rossini, Giacomo Meyerbeer e Luigi Cherubini, responsabile in parte della carriera musicale poi intrapresa da Felix, avendo dato un favorevole giudizio al quartetto in si minore op. 3 (dedicato a Goethe).

A Roma incontrò Hector Berlioz, con il quale instaurò una duratura amicizia, pur non considerandolo un musicista di gran livello.

Mendelssohn ebbe il merito di riportare alla luce la musica di Johann Sebastian Bach, caduta in oblio in quel periodo, in particolare la Passione secondo Matteo (mai più interpretata dalla morte di Bach), di cui diresse un’esecuzione (non integrale e rimaneggiata nella strumentazione dal giovane Mendelssohn stesso) nel 1829, con un grande successo che gli permise di guadagnare un’ottima reputazione, e i cui effetti di riscoperta verso la musica bachiana durano tutt’oggi.

Felix ebbe un ruolo determinante anche nella riscoperta dei lavori di Mozart, dal quale (congiuntamente a Bach) subì la maggior influenza musicale.

La sua vita si svolse su binari piuttosto convenzionali, se comparata a quella di altri compositori dell’Ottocento. Il suo matrimonio con Cécile Jeanrenaud nel marzo del 1837 (la luna di miele, sulla Foresta Nera, gli ispirò il concerto per pianoforte e orchestra in re minore op.40) fu molto felice e fu coronato dalla nascita di cinque figli.

Dal 1829 al 1832 fu in viaggio in Inghilterra, Svizzera, Francia ed Italia cogliendo quasi ovunque grande successo esibendosi come pianista, organista e direttore d’orchestra. Successivamente lavorò con molta intensità alle sue opere, dividendosi tra la composizione e le tournées.

Nel 1835 fu nominato direttore dell’orchestra del Gewandhaus di Lipsia e nel 1843 fondò il Conservatorio di Lipsia.

Patì di cattiva salute negli ultimi anni di vita, problemi che gli impedirono in gran parte esibizioni come pianista, e, come egli stesso dichiarò, soffrì di una grave forma di depressione a causa della morte della sorella Fanny nel maggio del 1847, alla quale dedicò il così chiamato “Requiem per Fanny”, ossia il quartetto op. 80, in fa minore, sua ultima composizione di spessore (fu completato nel settembre del 1847) opera nella quale si riscontra per la prima volta una profonda malinconia.

Morì nello stesso anno a causa di una serie di infarti che portarono infine all’ictus, il 4 novembre 1847 alle 21.24, nella sua casa al numero 12 di Goldschmidtstrasse a Lipsia, e fu sepolto nel Dreifaltigkeitsfriedhof (il Cimitero della Trinità) a Kreuzberg, quartiere di Berlino. Robert Schumann, suo grande amico, dedicò alla sua memoria il brano Rimembranze dell’Album per la gioventù.

Chopin: Le musiche piu’ belle

Lato 1:

Mazurche op 67 n 4; op 30 n 1,2; op 7 n 3; op 50 n 3; op 59 n 1;
op 63 n 3; op 24 n 4;
Pianista Nicolaj Orloff

Lato 2:
Ballata n.1 in sol minore op.23
Ballata n.4 in fa min op.52
Pianista Nicolaj Orloff

Lato 3:
Fantasia in fa min op.49
Notturno n.5 in fa diesis op.15 nr.2
Notturno n.8 in re bemolle op.27 n.2
Pianista Nicolaj Orloff

Lato 4:
Sonata op.58 in si minore
Pianista: Nicolaj Orloff

Lato 5:
Barcarola op.60
Impromptu il la bemolle op.29
Valtzer n.7 in do diesis mimore op.64. n2.
Valtzer n.8 in la bemolle op. 64. N.3
Pianista Nicolaj Orloff

Lato 6:
Preludi 1,3,5,7,10,11,12,16,17,19,21,23
Pianista Nicolaj Orloff

Lato 7:
Bolero op.19, scherzo n.2 in si bem. Min. Op31,
scherzo n.3 in do diesis min op.39
Pianista Alberto Mozzati

Lato 8;
Polacca in la bem maggi op.53
Studi op.10 n 6-12, op.25 n 9-10
Berceuse op.57
Fantaisie impromptu in do diesis min op 66
Pianista Alberto Mozzati

Fryderyk Franciszek Chopin, il cui nome è noto anche nella variante francesizzata Frédéric François[1] Chopin [2] (Żelazowa Wola, 1º marzo 1810[3] – Parigi, 17 ottobre 1849), è stato un compositore e pianista polacco. È considerato il più grande compositore polacco ed uno dei più grandi compositori per pianoforte di tutti i tempi.

Tra i rappresentanti principali del romanticismo, nella sua musica convergono al tempo stesso elementi di derivazione classica: l’equilibrio tra le parti, l’estrema precisione della scrittura, la perfezione stilistica.

Il suo linguaggio musicale è stato influenzato da alcuni compositori preromantici, allora molto noti, come Johann Nepomuk Hummel, John Field e Maria Szymanowska, che gli trasmisero l’inclinazione all’inquietudine e al pessimismo e, sul piano strettamente musicale, la tendenza ad ampliare le possibilità della modulazione.

La musica di Chopin è profondamente influenzata anche dal “dialetto musicale” polacco: la musica popolare del suo paese.

Infine, le sue melodie traspongono sul pianoforte l’ampio respiro e il morbido fraseggio del melodramma italiano contemporaneo, in particolare di Vincenzo Bellini.[4]

Dal 1927 viene organizzato in Polonia il Concorso Pianistico Internazionale Frédéric Chopin, il primo concorso monografico del mondo, fondato da Jerzy Żurawlew e che lanciò, tra gli altri, anche Maurizio Pollini[4].

Tra i più celebri studiosi del musicista polacco figurano Gastone Belotti e Jaroslaw Iwaszkiewicz.

L’infanzia

Chopin nasce in una famiglia dedita alla musica (il padre suonava il flauto e il violino, la madre cantava accompagnandosi al piano che anche le sorelle suonarono).

Il padre, Nicolas (1771-1844), nato in Francia si trasferì definitivamente in Polonia molto giovane e vi rimase per tutta la vita; fu prima governante e dopo essersi trasferito da Żelazowa Wola a Varsavia insegnò lingua e letteratura francese in alcune scuole della capitale e amministrò infine un istituto per i figli degli aristocratici polacchi più illustri.

La madre, Tekia Justyna Krzyżanowska (1782-1861), amava suonare il pianoforte. Frédéric ebbe tre sorelle: Ludwika (1807-1855), Izabela (1811-1881) ed Emilia (1812-1827, morta molto giovane). Il suo primo insegnante privato fu un ceco, Wojciech Żywny (1756-1842). Fu lui a scoprire il grande talento musicale del suo allievo, e gli insegnò tutto ciò che sapeva.

I primi successi

Nel 1812 intanto la famiglia si era trasferita a Varsavia, dove, bambino, Chopin già suonava, lanciandosi anche in improvvisazioni, nei migliori salotti.

Nel 1817 debuttò come compositore con la Polacca in Sol minore e la sua prima vera esibizione pubblica si tenne nel 1818.

Nel 1827 entrò al Liceo di Varsavia e cominciò i suoi primi studi di armonia, contrappunto e composizione sotto la guida di Józef Elsner, il quale ebbe a scrivere su di lui: “Frédéric Chopin, allievo di terzo anno. Capacità incredibili, un genio della musica”. Questo periodo fu caratterizzato dall’interesse del giovane Chopin per la musica popolare: compose tra l’altro le Mazurche da ballo e il Rondò in Do minore.

La ricerca del proprio stile

Negli anni 1827-1829 Chopin studiò alla Scuola superiore di musica, nel Dipartimento di Arti e scienze dell’Università di Varsavia. Era a quel tempo un attivo partecipante della vita culturale di Varsavia, amava frequentare i concerti di Niccolò Paganini ed assistere alle opere presentate da Karol Kurpiński nel Teatro Nazionale (Don Giovanni di Mozart e il Il barbiere di Siviglia di Rossini). In questo periodo scrisse le Variazioni in Si bemolle maggiore, basate su un motivo del Don Giovanni ed i Rondeaux virtuosistici, basati sulle musiche popolari.

Gli anni 1829-1831 sono per Chopin gli anni del primo amore (per la cantante Konstancja Gładkowska, 1810-1889) e dei primi successi come compositore. Nascono in quel periodo i due Concerti per pianoforte, in Fa minore (op. 21) e Mi minore (op. 11).

Durante un soggiorno a Vienna Chopin soffrì per le notizie che gli giunsero dalla Polonia riguardo la Rivolta di Novembre. Egli non ritornerà mai più in patria. Le composizioni di questo periodo sono drammatiche e liriche, caratteristiche che sostituiscono piano piano la spensieratezza popolaresca e il sentimentalismo dei lavori precedenti.

Quando il musicista si trovava a Stoccarda, venne a sapere che la rivoluzione polacca era stata soffocata nel sangue dallo Zar russo Alessandro I. Secondo Maurycy Karasowski, l’episodio storico ispirò a Chopin scrivere lo Studio op. 10 n. 12, quell’Allegro con fuoco a cui fu affibbiato il titolo «La caduta di Varsavia».

Gli anni della maturità artistica

A Parigi Chopin condusse una vita di virtuoso, componendo brani che riscossero successo specialmente nei salotti. Conobbe vari musicisti (Friedrich Kalkbrenner, Franz Liszt, Ferdinand Hiller, Vincenzo Bellini, Hector Berlioz), era invitato a esibizioni private, non in quanto musicista, ma in quanto ospite e fu invitato anche a corte.

Diede molte lezioni private e guadagnava e spendeva molto, ma ciononostante quando nel 1835 si fidanzò con la contessa Maria Wodzińska (1819-1879), la famiglia di lei, dopo un apparente, iniziale favore, si mostrò contraria al matrimonio. Forse in questo rifiuto ebbe una parte importante la salute cagionevole di Chopin, tubercolotico fin dall’adolescenza; secondo la maggior parte dei biografi, tuttavia, pesarono maggiormente ragioni di ordine prettamente economico. Fu questo anche l’anno dell’ultimo incontro con i suoi genitori, che si recarono a Karlsbad, dove Chopin li raggiunse in agosto. Durante il viaggio di rientro a Parigi, ebbe modo a Dresda di conoscere Robert Schumann e Clara Wieck.

Nel 1838 conobbe George Sand, più grande di lui di sei anni, e si gettò nelle braccia dell'”amore compiuto” (parole di George Sand), ma ben presto il rapporto divenne nervoso e caotico. Fuggendo la gelosia di Félicien Mallefille (1813-1868), precedente amante della scrittrice, i due amanti si recarono a Maiorca, stabilendosi nella Cartuja di Valdemossa, nel Nord Ovest dell’Isola, che li accolse con un tempo pessimo, mentre in Spagna continuava la guerra e la malattia di Chopin si acuiva sempre più.

Nel 1839 Chopin e George Sand tornarono in Francia. Trascorsi insieme quasi sette anni, l’incompatibilità dei due amanti emerse inequivocabilmente quando Frédéric prese posizione sul matrimonio fallito di Solange, la figlia di George. La scrittrice lo accusò di esserle nemico e lo lasciò. Il periodo precedente alla rottura con George Sand lasciò un’impronta importante sulla creatività e sulla vita sociale di Chopin.

Ultimo periodo della vita

L’unica fotografia conosciuta di Frédéric Chopin del 1849, attribuita a Louis-Auguste Bisson. Sono visibili i segni della malattia.

Dopo la rottura con George Sand, Chopin cadde in una terribile depressione che poté accelerare la sua morte. Dopo aver lasciato Nohant non compose nessun brano significativo, soltanto qualche miniatura.

Durante l’ultimo periodo della sua vita, Chopin fu assistito da una sua allieva scozzese, Jane Stirling, che insieme alla sorella Mrs. Erskine convinse Chopin a trasferirsi in Inghilterra. Ma il rigido clima inglese e la vita mondana in cui vollero trascinarlo le due scozzesi peggiorò notevolmente la salute del compositore.

Rientrato a Parigi, la sua salute si aggravò improvvisamente, e il 17 ottobre del 1849, alle 2 del mattino, veniva dichiarato morto; al suo fianco, negli ultimi momenti di vita, gli intimi, tra cui Eugène Delacroix, Delfina Potocka – alla quale aveva dedicato uno dei suoi valzer più famosi – e la sua più amata sorella, Ludwika. Venne sepolto a Parigi nel cimitero di Père Lachaise, ma il suo cuore è conservato a Varsavia, nella Chiesa di Santa Croce.

Smetana, Dvorak

Amadeus Quartet;

Lato A:

Bedrich Smetana
String quartet N.1 in e minor
“From my life”

Lato B:
Antonin Dvorak
String quartet N.12 in F major Op.96
”The American”

Scarica qui l’lp di Smetana, Dvorak


Bedřich Smetana

(Litomyšl, 2 marzo 1824 – Praga, 12 maggio 1884) è stato un compositore boemo.

È conosciuto in particolare per il suo poema sinfonico Vltava (La Moldava in italiano), il secondo in un ciclo di sei che egli intitolò Má vlast (“La mia patria”) (1874-1879), e per la sua opera La sposa venduta (1866), particolarmente ricca di motivi cechi.

Studiò fin da piccolo pianoforte e violino con il padre (la famiglia costituiva un quartetto d’archi dilettante) e con vari maestri a Plzeň, e poi al Conservatorio di Praga con Proksch, il quale riuscì a procurargli alcuni lavori (in genere di carattere didattico) a corte. Nel 1848 fondò una scuola di musica sovvenzionata anche da Liszt e, suddito dell’Impero austriaco, partecipò alla sfortunata Rivoluzione di Giugno.

Dopo vari lutti familiari, nel 1856 si trasferì a Göteborg, in Svezia, dove diresse la Società filarmonica e iniziò a dedicarsi alla composizione, ed effettuò tourneés in Europa riscuotendo notevole successo; all’inizio fu accompagnato dalla prima moglie, la pianista Kolár, poi dalla seconda, Ferdinandi, sposata dopo la morte di Katarina, nel 1859.

L’artista tornò nel suo paese natale, a Praga, nel 1861: la situazione sociale e politica si era, nel frattempo, notevolmente assestata, e aprì un nuovo istituto musicale, la società filarmonica Hlahol, dedita alla promozione della musica ceca. Smetana effettuò anche diverse attività di critico musicale e dal 1866 di direzione d’orchestra nel Teatro Nazionale, in cui furono rappresentate le sue opere teatrali.

L’insorgere di una sordità, che con il passare del tempo divenne sempre più grave, forzò le sue dimissioni e il trasloco nel villaggio di Jabkenice nel 1874-1875: nonostante i problemi di salute, Smetana continuò la sua attività di compositore fino a quando la morte sopravvenne, causata da una grave malattia mentale conseguente agli effetti neurologici progressivi degli acufeni di cui soffriva. È sepolto a Praga nel cimitero di Vyšehrad.

Smetana pose le basi di un linguaggio musicale di carattere nazionale che, nonostante i continui richiami a modelli stranieri – in particolare Hector Berlioz e Franz Liszt – valorizzò il patrimonio culturale etnico della Boemia (miti, danze, canzoni), assegnando alla sua nazione un ruolo di primo piano nella musica europea del secondo XIX secolo. Ebbe grande influenza su Antonín Dvořák, il quale pure usò temi cechi nelle sue opere, e su molti compositori posteriori cechi e non (come Arnold Schönberg).

La Primavera di Praga, festival di musica classica, si apre ogni anno il 12 maggio, data della sua morte, con un’esecuzione della Moldava.

Antonín Leopold Dvořák
(Nelahozeves, 8 settembre 1841 – Praga, 1º maggio 1904) è stato un compositore boemo.

Antonín Dvořák nacque nel 1841 a Nelahozeves vicino a Praga (allora nell’Impero Austriaco, ora Repubblica Ceca), la città dove trascorse la maggior parte della sua vita. È stato battezzato come cattolico nella chiesa di S. Andrea. Gli anni trascorsi a Nelahozeves alimentarono la sua fede cristiana e il suo amore per l’eredità boema, caratteristiche che hanno fortemente influenzato la sua musica.

Il padre gestiva una macelleria ed una locanda ed era anche un suonatore di zither, uno strumento a corda molto diffuso nelle regioni dell’impero d’Austria. Il padre desiderava che il giovane Antonín seguisse l’attività di famiglia, invece il precoce talento mostrato dal figlio al violino fece sì che questi seguisse prima un corso di studi formali nella piccola località Zlonice e poi – dal 1857 – altri studi di carattere prevalentemente musicale alla Scuola per Organo di Praga. Dopo essersi diplomato Dvořák cominciò a guadagnarsi da vivere lavorando come esecutore (al violino ed alla viola) ed impartendo lezioni di musica. Durante gli anni sessanta ricoprì il ruolo di viola principale nell’Orchestra del Teatro Provvisorio Boemo, che a partire dal 1866 fu spesso sotto la direzione del compositore ceco Bedřich Smetana. Dvořák compose in questo periodo (1865) due delle sue prime composizioni di rilievo, la Prima Sinfonia in Do minore B9 e Cipressi, un ciclo di canzoni per voce e pianoforte, probabilmente ispirato dall’angoscia per l’amore non corrisposto nei confronti di una giovane allieva, l’attrice Josefina Cermakova; tuttavia qualche anno più tardi (1873), il musicista sposò Anna Cermakova, sorella minore di Josefina.

Altre composizioni di questi anni sono il quartetto n. 4 in mi minore B19 (1869-70), l’opera Alfred (1870), la cantata Hymnus (1873) e la Terza Sinfonia in mi bemolle maggiore op.10 B34 (1873), opere ancora sotto l’influenza della musica di Richard Wagner. Grazie alla Terza Sinfonia, anche per l’interessamento di Johannes Brahms e del famoso critico musicale Eduard Hanslick, entrambi allora residenti a Vienna, Dvořák ottenne nel 1875 una borsa di studio statale. Lo stipendio annuale permise al musicista ceco di abbandonare i ranghi dell’orchestra e di avere più tempo da dedicare alla composizione.

Negli anni della maturità il linguaggio musicale di Dvořák inizia a risentire dell’influenza del Classicismo di Brahms – ritenuto all’epoca il campione dello schieramento “conservatore” contrapposto a Wagner il “progressista” – e ad assumere come segno distintivo la presenza di ritmi e melodie desunti dalla musica popolare ceca. Fra Brahms e Dvořák si stabilì un rapporto di stima reciproca ed amicizia ed il compositore tedesco segnalò la musica dell’amico all’editore musicale di Bonn Fritz Simrock, per il quale Dvořák compose la prima delle due serie di Danze Slave (1878), entrambe modellate sulle Danze Ungheresi di Brahms. In questo modo la musica di Dvořák cominciò a divenire popolare, circolando con maggiore facilità in Europa.

Nel 1884 Dvořák si recò per la prima volta in Inghilterra, dove diresse con grande successo il suo Stabat Mater op. 58, inoltre compose numerosi lavori per le società corali di Birmingham e Leeds, fra cui la cantata The Spectre’s Bride (La Moglie dello Spettro) op. 69 B135 (1885), l’oratorio Santa Ludmilla op.71 (1886) ed il Requiem op. 89 (1891). Fra gli altri lavori destinati al pubblico britannico ci sono anche la Settima Sinfonia in Re minore Op. 70 B141 (1885) e l’Ottava Sinfonia in Sol maggiore op. 88 B163 (1888), commissionate dalla Royal Philharmonic Society.

Su invito di Jeannette Thurber, una ricca esponente dell’alta società, Dvořák si trasferì a New York, dove dal 1892 al 1895 assunse la direzione del Conservatorio Nazionale. La signora Thurber, che era stata fra i fondatori dell’istituto musicale, desiderava fortemente che il Conservatorio fosse diretto da una personalità di primo piano che fosse in grado di plasmare e dare impulso ad una scuola di composizione “nazionale”, una scuola per una musica nuova ed autenticamente americana. Per accettare l’incarico Dvořák pose la condizione che gli studenti nativi americani e afro-americani, dotati di talento ma privi dei mezzi economici, sarebbero stati ammessi gratis alla scuola; questo fu un primo esempio di aiuto finanziario in base al bisogno, chiamato negli Stati Uniti “need-based financial aid”.

Fu nel periodo in cui ricoprì la carica di direttore del Conservatorio che Dvořák divenne amico di Harry Burleigh, che successivamente diventò un importante compositore afro-americano. Dvořák insegnò a Burleigh composizione, e, in cambio, Burleigh trascorse ore a cantare tradizionali spiritual americani per Dvořák. Burleigh continuò a creare messe in scena di questi spiritual che reggono bene il confronto con composizioni classiche europee.

Durante l’inverno e la primavera del 1893, mentre era a New York, Dvořák scrisse la sua opera più celebre, la Sinfonia n. 9 detta Dal nuovo mondo. A seguito di un invito della sua famiglia, trascorse l’estate del 1893 nella comunità di lingua ceca a Spillville, Iowa. Lì compose due delle opere da camera più famose, il quartetto per archi in fa maggiore op. 96 (detto Americano) ed il quintetto d’archi in mi bemolle maggiore op. 97.

Negli Stati Uniti assistette anche all’esecuzione di un concerto per violoncello del compositore Victor Herbert. Dvořák fu così entusiasmato dalle possibilità che la combinazione di violoncello e orchestra offriva, da scrivere anch’egli un concerto per violoncello, il Concerto per violoncello in Si minore (1895). Da allora il concerto, considerato uno dei migliori del suo genere, è cresciuto in popolarità e oggi è frequentemente eseguito. Dvořák aveva lasciato incompiuta un’analoga composizione, il concerto per violoncello e orchestra in la maggiore (1865), che fu completata ed orchestrata dal compositore tedesco Günter Raphael tra il 1925 ed il 1929 e da Jarmil Burghauser nel 1952.

Dvořák aveva una personalità eclettica. Oltre alla musica, c’erano due particolari passioni nella sua vita: le locomotive, e l’allevamento di piccioni.

Tornò, infine, a Praga dove fu direttore del Conservatorio dal 1901 fino all’anno della sua morte, il 1904. Alla fine della sua vita si ritrovò in serie difficoltà finanziarie: aveva venduto molte delle sua bellissime composizioni per così poco che, a stento, aveva qualcosa con cui vivere. È sepolto nel cimitero Vyšehrad a Praga.

Domenico Scarlatti: 12 sonate

 

Facciata A:

1 L. 457 in do maggiore
2 L. 217 in do minore
3 L. 82 in sol maggiore
4 L. 449 in si minore
5 L. 23 in mi maggiore
6 L. 483 in la maggiore

Facciata B:
1 L. 482 in re maggiore
2 L. 238 in la maggiore
3 L. 256 in do diesis minore
4 L. 257 in mi maggiore
5 L. 352 in do minore
6 L.255 in do maggiore

Scarica qui le sonate di Scarlatti


Domenico Scarlatti

Giuseppe Domenico Scarlatti (Napoli, 26 ottobre 1685 – Madrid, 23 luglio 1757) è stato un clavicembalista e compositore italiano dell’età barocca. Anche suo fratello maggiore, Pietro Filippo, fu un compositore e clavicembalista. La figura di Domenico Scarlatti compare come personaggio del Memoriale del convento, opera narrativa del premio Nobel José Saramago. Cronologicamente, è classificato come un compositore barocco, anche se la sua musica è stata di riferimento nello sviluppo dello stile classico, e conosciuta ed ammirata dai musicisti successivi, romantici compresi. La sua produzione più nota consiste nelle 555 sonate per clavicembalo, anche se ha scritto numerose opere, musica sacra, per ensemble da camera e organo.

La vita
Domenico Scarlatti nacque a Napoli nel 1685. Fu il sesto di dieci figli, studiò prima con il padre, il compositore e insegnante, esponente di spicco della Scuola napoletana Alessandro Scarlatti; altri compositori, che hanno contribuito alla sua formazione furono Gaetano Greco, Francesco Gasparini e Bernardo Pasquini.

Divenne compositore e organista della Cappella Reale di Napoli nel 1701. Il suo debutto teatrale risale al 1703 con l’opera L’Ottavia restituita al trono; nel 1704 revisionò l’opera Irene di Carlo Francesco Pollarolo per conto dell’Opera di Napoli. Poco dopo, suo padre lo mandò a Venezia; non esiste alcuna traccia dei suoi successivi quattro anni.

Nel 1709 si recò a Roma al servizio della regina polacca in esilio Marie Casimire, dove incontrò Thomas Roseingrave suo estimatore a cui si deve l’accoglienza entusiasta delle sonate del compositore a Londra, dove fu pubblicata nel 1738 una raccolta, dal titolo Esercizi per gravicembalo, contenente 30 delle sue 555 sonate che sono giunte ai giorni nostri. Si tratta delle sole opere di Scarlatti che furono pubblicate durante la sua vita.

Scarlatti era già un clavicembalista eminente: celebre una sua prova di abilità con Händel al palazzo del Cardinale Ottoboni a Roma, dove fu giudicato superiore a Händel al clavicembalo, anche se inferiore all’organo.

A Roma, Scarlatti compose opere diverse per il teatro privato della regina Casimira. Fu maestro di cappella a San Pietro negli anni 1715-1719, e in quegli stessi anni fu a Londra per dirigere la sua opera Narciso al King’s Theatre.

Successivamente si trasferì a Lisbona, il 29 novembre 1719, divenendo insegnante di musica della principessa Maria Magdalena Barbara. Lasciò Lisbona il 28 gennaio 1727 per Roma, dove sposò Maria Caterina Gentili il 6 maggio 1728. Nel 1729 si trasferì a Siviglia, rimanendovi per quattro anni. Nel 1733 si recò a Madrid, sempre come maestro di musica della principessa Maria Magdalena Barbara. Quando la principessa divenne Regina di Spagna, Scarlatti rimase nel paese per venticinque anni, ed ebbe cinque figli. Dopo la morte della moglie nel 1742 sposò la spagnola Anastasia Maxarti Ximenes.

Scarlatti ebbe una duratura amicizia con il cantante castrato Farinelli, napoletano, anch’egli alla corte reale di Madrid. Il musicologo e clavicembalista Ralph Kirkpatrick ha definito la corrispondenza tra i due “la più importante fonte di informazioni su di sé che Scarlatti abbia trasmesso alla posterità.”

Domenico Scarlatti morì a Madrid, all’età di 71 anni. La sua residenza in Calle Leganitos è segnalata con una targa storica, e i suoi discendenti vivono ancora oggi a Madrid.

Le opere

Scarlatti fu l’autore di una cospicua e validissima produzione di musica sacra e operistica. Ricordiamo le opere Orlando (1711), Tetide in Sciro (1712), Ifigenia in Aulide e in Tauride (1713), Amor d’un’ombra e Narciso (1714), Amleto (1715), che fu la prima opera su questo soggetto. Inoltre Scarlatti lasciò un immenso corpus di musiche per clavicembalo che occupano un posto rilevante nell’evoluzione della tecnica e della composizione per strumenti a tastiera. Le 555 sonate, di cui poche furono pubblicate durante la vita di Scarlatti, furono stampate in modo non sistematico nei due secoli e mezzo successivi. Scarlatti ha, tuttavia, attirato ammiratori di rilievo, tra cui Frédéric Chopin, Johannes Brahms, Béla Bartók, Dmitri Shostakovich, Heinrich Schenker, Vladimir Horowitz e Marc-André Hamelin. La scuola russa di pianismo ha particolarmente valorizzato queste sonate.

In questi brevi brani, costituiti generalmente di un solo movimento bipartito, Scarlatti si dimostrò pioniere di tecniche tastieristiche nuove per i suoi tempi, come arpeggi, note ribattute in agilità, incroci delle mani, ottave spezzate e percosse, doppie note: tutte difficoltà tecniche da padroneggiare progressivamente, a mano a mano che il compositore svela le potenzialità timbriche, melodiche e ritmiche della sua scrittura ricca e articolata. Dal punto di vista dello stile, le sue sonate sono caratterizzate da una rapidissima mobilità espressiva, e da una grande inventiva armonica, con l’impiego di un vocabolario accordale spesso sorprendente. È proprio la sua opera cembalistica, più che quella teatrale, a costituire la maggiore eredità del musicista napoletano, e ciò è dimostrato anche dal peso ad essa attribuito dalla tradizione didattica non solo cembalistica, ma anche pianistica. Esistono inoltre quattro sonate per organo, e poche in cui Scarlatti impiega un piccolo ensemble strumentale. Alcune sono ricche di audacia armonica, con l’uso di dissonanze e modulazioni anche non convenzionali per la sua epoca.

Uno degli attributi distintivi dello stile delle 555 Sonate di Scarlatti è costituito dall’influenza della musica popolare iberica (portoghese e castigliana).

Una caratteristica formale è costituita dal fatto che la tipica sonata scarlattiana è di solito divisa in due sezioni di durata uguale, ognuna delle quali conduce ad un momento cardinale, che lo studioso Ralph Kirkpatrick ha definito “il punto cruciale” (crux) [1], e che a volte è sottolineato da una pausa o fermata. Prima di questo punto cruciale, le sonate di Scarlatti contengono spesso la loro principale varietà tematica, e dopo il punto cruciale la musica fa uso di figurazioni ripetute, modulando in tonalità lontane da quella principale (nella prima sezione) o via via più vicine (nella seconda sezione).

Il nome di Ralph Kirkpatrick, clavicembalista e musicologo, è strettamente correlato con le sonate, infatti la numerazione delle sonate derivante dalla sua edizione del 1953 è ormai quasi sempre utilizzata (il numero di K.), in sostituzione della numerazione approntata nel 1906 dal pianista e musicologo calabrese Alessandro Longo (numeri di L.), che è stata usata per molti anni.

Bruckner String Quintet in F major, Intermezzo in D minor for string quintet

Bruckner

String Quintet in F major
Intermezzo in D minor for string quintet
The Vienna Philharmonia Quintet

Lato A
1 Intermezzo in D minor for string quintet
String quintet in F major
2 I Gemassigt
3 II Scherzo: Schnell – Trio: Langsamer

Lato B
String quintet in F major
1 III Adagio
2 IV Finale: Lebhaft bewegt

Cenni storici circa il cognome

Il cognome Bruckner – nelle sue variabili antiche (Prugkhne, Prugner, Pruckner) – compare in Austria già a partire dal XV secolo. Esso si identifica in una parabola sociale di carattere prevalentemente rurale, interrotta soltanto nella seconda metà del XVIII secolo, allorché Joseph Bruckner, nonno del compositore, diviene maestro di scuola ad Ansfelden. A vantare tradizioni musicali è più che altro un ramo parallelo della famiglia, i Weiss del vicino paese Hörsching, che avevano guadagnato la nomea di “stimati organisti”. Non a caso sarà proprio uno di questi cugini, Johann Baptiste Weiss, ad impartire ad Anton le prime nozioni di tecnica organistica.

L’infanzia del compositore
Joseph Anton Bruckner nasce ad Ansfelden il 4 settembre 1824, da Joseph Bruckner – figlio dell’omonimo e già citato maestro di scuola – anch’egli insegnante, e da Theresia, proveniente dalla famiglia degli Helm, proprietari terrieri. È soltanto il primo d’una genia di ben undici figliuoli, sei dei quali, tuttavia, muoiono in età tenerissima. Già dagli anni dell’infanzia, Anton manifesta decise attitudini musicali, sollecitate in larga misura dalla pluralità di suo padre, ch’era maestro di scuola ma anche cantore, organista e violinista. Proprio dal padre apprende i primi, elementari rudimenti musicali, sperimentati sull’organo della parrocchia cittadina.

Un’adolescenza travagliata
Gli anni dell’adolescenza sono certamente determinanti per quel che concerne la definizione caratteriale del giovane Bruckner. Il suo animo, infatti, non poco provato dai recenti e numerosi decessi fraterni, tornerà a convivere con le tragiche esperienze della malattia e della morte. Trasferitosi a Hörsching nell’inverno del 1835, affidato alle cure e agli insegnamenti del cugino Johann Weiss – che gli insegnerà armonia e contrappunto – il piccolo Anton sarà richiamato con urgenza nel paese natale, causa la violenta polmonite che costringe suo padre dapprima al letto (dicembre 1836), di poi, in seguito all’aggravarsi della patologia, alla morte (7 giugno 1837).

Emblematico l’episodio dello svenimento, avvenuto durante la mesta cerimonia dell’estrema unzione. Il giorno stesso della morte del marito, la vedova Bruckner si reca nella vicina abbazia di Sankt Florian ove raccomanda il primogenito alle cure del priore Michael Arneth.

Il trasferimento avviene nel luglio seguente. Il piccolo Anton viene assunto come corista e destinato alla terza classe, che, tra le varie discipline, comprende anche la musica. E proprio in questo ambito ha la fortuna di incontrare maestri competenti tra cui Bogner per la teoria e il contrappunto; Edward Kurz, allievo di Johann Georg Albrechtsberger (che fu maestro di Beethoven), per l’armonia; e soprattutto Anton Kattinger, denominato il “Beethoven dell’organo”. Giungiamo così al 1840, crocevia importante nella vita del giovane Bruckner. Terminati gli studi primari, di fronte alla possibilità di scegliere tra la carriera ecclesiastica, scolastica o la continuazione degli studi, memore delle disagiate condizioni familiari, Anton decide di emulare i passi di suo padre e di intraprendere la professione di maestro. Si reca dunque a Linz, nell’ottobre dello stesso anno, ove trascorre mesi di preparazione all’insegnamento. È un soggiorno importantissimo, nel quale ha la prima diretta conoscenza della grande musica, soprattutto Beethoven e Weber. Superati gli esami nell’estate del 1841, comincia per il giovane Bruckner un periodo di frequenti spostamenti: dapprima Windhaag, villaggio isolato ai confini della Selva Boema, nel quale rimane ben due anni; poi a Kronstorf, nel 1843, altro piccolo villaggio ma col pregio di essere vicino ai più vivaci centri di Sankt Florian, Enns e Steyr. Non s’interrompono in questi anni gli studi musicali: Bach, soprattutto il “Clavicembalo ben temperato” – che si dice Bruckner studiasse anche di notte – Mozart e i due fratelli Haydn, Franz Joseph e Michael.

Organista titolare nell’abbazia di Sankt Florian
Giornate di estrema solitudine, trascorse nelle mansuete atmosfere paesane, ove il giovane Anton aveva dovuto temprare la sua fragile ossatura di maestro scolastico, lo accompagnano fino al maggio del 1845, allorché, improvvisando una fuga su tema di Preindl, vince un concorso presso la scuola normale di Linz. Nel settembre dello stesso anno, quindi, Bruckner ritorna come maestro salariato nella scuola parrocchiale di Sankt Florian. Qui, a distanza di qualche anno, ritrova i vecchi maestri quali il Kattinger, con cui riprende gli studi organistici, e il Bogner, la cui famiglia prende a frequentare assiduamente. Nel 1848 Kattinger è temporaneamente trasferito a Linz: Anton Bruckner ottiene dunque l’incarico – seppur provvisorio – di organista nella familiare abbazia. Evento questo che si ripercuote positivamente nell’ambito compositivo. Al settembre 1849 risale infatti la creazione del Requiem in re minore, che lo stesso autore avrà modo di definire quale opera “non malvagia”.

Frattanto, sempre nel mese di settembre, dell’anno 1851, l’incarico d’organista diviene definitivo. Sono mesi, questi, di importanti affermazioni lavorative e di ambite migliorie finanziarie, indispensabili al giovane Maestro per porre rimedio alle modeste condizioni di vita della madre Theresia.

Ma sono anche mesi di profonda incertezza sentimentale; proprio in corrispondenza dell’acquisita titolarità in Sankt Florian, Anton pensa dapprima di sposare la sedicenne Bogner, poi di fidanzarsi con un’altra giovane, Antonie Werner. Timore e insoddisfazione prendono coll’invadere anche l’ambito musicale, tant’è che nella prima metà del 1852 provvede ad inviare al maestro di cappella di corte Ignaz Assmayr – personalità di rilievo della Vienna musicale, nonché amico di Schubert – talune sue opere (tra cui il Salmo 114). Il commento ricevuto da Assmayr è disarmante: questi gli consiglia vivamente di abbandonare la musica. Il contraccolpo psicologico è certamente non trascurabile, se è vero che nel 1853 un rassegnato Bruckner concorre invano per un impiego di funzionario statale.

Il consiglio di Sechter
A salvare Bruckner da un profondo stato di inquietudine e abbattimento interviene l’amico Schaarschmidt, consigliere del tribunale di Linz, che in una lettera lo esorta a non abbandonare la musica, “solo dominio ove può riuscire”, e a continuare la professione di organista. Dal canto suo Anton tenta di rifuggire dall’attuale situazione psicologica immergendosi nella composizione (fatto frequente nella sua esistenza). Risale tra le altre cose all’estate del 1854 la composizione di una Missa solemnis, per il nuovo prelato Friedrich Mayr, che aveva sostituito il vecchio priore e protettore Arneth, deceduto mesi prima. Nell’ottobre dello stesso anno si reca a Vienna, per un esame d’organo proprio con quell’Assmayr che in misura così drastica l’aveva stroncato. Questi lo fa improvvisare su una doppia fuga, quindi gli conferisce un certificato che plaude la sua eccellente capacità organistica. L’anno successivo Bruckner è nuovamente a Vienna, per incontrare il famoso teorico Simon Sechter, organista di corte e docente al conservatorio (lo stesso col quale anche Schubert avrebbe voluto studiare, se non l’avesse colto la morte). A Sechter egli presenta il manoscritto della Missa solemnis. L’eminente teorico, in tutta risposta, gli consiglia di abbandonare il ristretto ambiente di Sankt Florian e di trasferirsi alla sua scuola, per ricominciare gli studi, in modo da coltivare al meglio il proprio talento. Le parole di Sechter scuotono l’animo di Anton, che si decide a lasciare l’ambiente paesano. Nel novembre nel 1855 viene indetto un concorso per il posto di organista titolare nella cattedrale di Linz. Bruckner si iscrive in extremis e riporta una netta vittoria sugli altri partecipanti. L’8 dicembre, giorno dell’Immacolata concezione, il musicista prende servizio.

A Linz
Ad onta dei tanti timori della vigilia – temeva moltissimo il primo verace contatto con la città – Bruckner, a Linz, ottiene il titolo definitivo d’organista (25 gennaio 1856), s’impone un lungo periodo di silenzio creativo (seguendo così un altro consiglio di Sechter) e si dedica al solo organo, partecipando a serate musicali e mettendosi in luce in talune circostanze, come quella del settembre 1856, a Salisburgo, in occasione delle celebrazioni per il centenario di Mozart. Nella stessa Salisburgo stringe una importante amicizia col musicista Rudolf Weinwurm, col quale intrattiene negli anni futuri una corrispondenza vibrante e melanconica. E se da un lato prosegue il fitto studio del Trattato d’armonia di Sechter, dall’altro decide di sostenere un esame come organista a Vienna. Questo, superato con successo nel luglio del 1858, precede quello finale dell’anno successivo. Nel corso di questi anni Bruckner riceve primi, importanti riconoscimenti ufficiali, come il commento elogiativo apparso sulla Wiener Zeitung del 24 luglio 1858 («Devono esserci poche cattedrali a vantare un organista come Bruckner»), o l’offerta della carica di direttore della corale Frohsinn, accettata proprio a ridosso della morte della madre Theresia, il 2 novembre 1860. Nel frammezzo vi sono i ripetuti complimenti ricevuti da Sechter in persona, il quale in una lettera arriva a confessargli di “non aver mai avuto un allievo più industrioso di voi”. Il tempo degli esami è però tutt’altro che alle spalle. L’anno 1861 vede Bruckner iscriversi al Conservatorio di Vienna, per ottenere un certificato di “maestro di musica”, che gli verrà conferito il 22 novembre da una commissione composta, tra gli altri, da Sechter e Herbeck, direttore dei Gesellschaftkonzerte viennesi e scopritore della Sinfonia in si minore “Incompiuta” di Schubert, il quale, in una lettera, così si esprime nei confronti del Bruckner allievo: “Se io sapessi la decima parte di ciò che lui sa, mi stimerei felice. È lui che avrebbe dovuto esaminare noi”.

Raggiunto questo importante e definitivo traguardo, Bruckner capisce di doversi finalmente e totalmente dedicarsi alla composizione. Rifiuta quindi l’offerta dell’amico Weinwurm di sostituire Sechter come organista di corte nella capitale austriaca («Non è che attraverso la composizione che io posso esprimermi: così devo ancora studiare»). E difatti lo studio, tutt’altro che archiviato, si concretizza nei perfezionamenti seguiti con Otto Kitzler, direttore d’orchestra del Teatro di Linz, nonché convinto sostenitore della “nuova musica”, rappresentata da Berlioz, Liszt e Wagner, quelli che non a caso saranno i tre numi della musica di Bruckner. Gli anni a cavallo del suo quarantesimo anno di età sono segnati da una moltitudine di viaggi e incontri di rilievo. Fondamentale quello con Richard Wagner avvenuto a Monaco il 10 giugno 1865, per la prima esecuzione del Tristano. Ma degni di altrettanta sottolineatura quelli con Liszt, con il quale condivideva la profonda fede cattolica, avvenuto a Budapest nell’agosto dello stesso anno, con Berlioz a Vienna, nel novembre 1866, in occasione de La Damnation de Faust diretta dall’autore. Giungiamo così ai tristi trascorsi del 1867, allorché, motivazioni legate alla sfera sentimentale e soprattutto sociale – la città di Linz lo apprezza come artista ma lo irride come uomo, scontroso e bizzarro, dai vestiti antiquati, “tagliati da un falegname” – nonché da una certa soggezione per un trasferimento viennese oramai incombente, contribuiscono al non inatteso tracollo nervoso, in seguito al quale sarà ricoverato per qualche tempo a Bad Kreuzen, con l’ordine tassativo di non leggere né scrivere. La nevrosi si manifesta in modo violento, la mente del compositore è crivellata da fobie e ossessioni d’ogni tipo: teme, ad esempio, che il Danubio si prosciughi, oppure è sovrastato da una mania calcolatrice che lo costringe a contare tutto ciò che lo circonda. Gli stessi medici di Bad Kreuzen definiscono la sua patologia quale “crisi paranoica, sovreccitazione estrema mista a un sentimento di totale abbandono”. Questa, curata con docce, si placa col finire dell’estate, sicché il musicista viene dimesso e può tornare ad immergersi nel lavoro, unica occupazione capace di donargli salute fisica e psicologica.

Superata la crisi – che ad ogni modo tornerà a farsi sentire ad intermittenza, nell’arco della vita – grazie alla genuina insistenza di Herbeck, il 6 luglio 1868 Anton Bruckner è nominato professore d’armonia, contrappunto e organo al Conservatorio di Vienna, e il 2 agosto dello stesso anno organista di corte, ad onta della decisa opposizione di Hanslick, critico noto in tutta la capitale, favorevole alla corrente brahmsiana e deciso oppositore della musica di Wagner.

Alla fine di settembre Bruckner si trasferisce dunque a Vienna con la sorella Nani, inaugurando il suo nuovo mestiere il primo ottobre e seguendo i corsi universitari di storia della musica fino a Beethoven, tenuti dallo stesso Hanslick.

A Vienna
La vita viennese di Anton Bruckner trascorre circoscritta tra insegnamento e composizione, protetta dalla sfera degli amici più cari, la quale attutisce il profondo divario esistente tra il carattere timido, paesano del compositore, e la vivace mondanità caratteristica della capitale austriaca di quegli anni. La quotidiana regolarità è interrotta però nel 1869 e nel 1871, allorché, grazie a due viaggi, rispettivamente in Francia e Inghilterra, Bruckner ha la possibilità di innalzare la sua fama d’organista alla ribalta europea. Ma questi anni segnano anche una decisa accelerazione in ambito sinfonico: viene rivisitata la Sinfonia Zero, ne viene abbozzata un’altra in si bemolle, ed infine avviata la Seconda in do minore, il cui finale verrà accennato proprio durante il soggiorno nella capitale inglese, nella quale era stato inviato in qualità di “massimo organista austriaco”, per l’inaugurazione del grande organo della Royal Albert Hall. L’inizio del 1871, tuttavia, è anche legato ad un evento tragico: la morte di sorella Nani. L’afflitto musicista si decide quindi ad assumere una governante, Katherina Kachelmayer (“Frau Kathi”), sì che possa aiutarlo nelle faccende domestiche.

Al termine della “tournee” londinese, Bruckner fa rientro a Vienna, nella quale, tuttavia, si trova a dover gestire una spiacevole situazione. Accusato di libertinaggio, per essersi rivolto ad una sua allieva con un innocente ed inoffensivo “lieber Schatz”, mio tesoro, viene sospeso dalle sue funzioni di ripetitore dalla severa scuola di Sant’Anna. È un colpo duro soprattutto dal punto di vista economico, come testimoniano alcune lettere rivolte all’amico Mayfeld. In Conservatorio poi, l’atmosfera è tutt’altro che distesa. La sua amicizia con Wagner comincia a sortire i primi effetti negativi, e ad alienargli le simpatie di molti illustri individui. Lo stesso segretario del Conservatorio, nonché docente d’acustica, Julius Zellner, oltre ad affermare che Bruckner non è un organista – probabilmente puntando il dito sulle più spiccate capacità di improvvisatore, rispetto a quelle d’esecutore – gli consiglia di gettare nel cestino le sue sinfonie e di dedicarsi a mansioni più umili per procurarsi denaro, come compiere riduzioni pianistiche. Frattanto, nel giugno del 1872, grazie all’interessamento di Herbeck, viene eseguita nella chiesa imperiale di Sant’Agostino la sua Terza Messa, che ottiene grande successo. Lo stesso Hanslick avrà modo di elogiarne il “magistrale contrappuntismo” e di paragonarla alla Missa solemnis di Beethoven. L’anno successivo Bruckner si reca da Wagner, a Bayreuth, col manoscritto della Terza Sinfonia, da poco tempo ultimata. Il tedesco, dopo averla attentamente studiata, la definisce un capolavoro, ed accetta con entusiasmo la dedica offertagli. Tuttavia la sincera e profonda ammirazione coltivata da Bruckner nei riguardi dell’autore del Tristano, non fa che procurargli traversie e difficoltà.

Così, proprio in corrispondenza dell’ultimazione della Quarta Sinfonia, detta Romantica, compare perentoriamente sulla scena, come suo diretto e deliberato avversario, l’ingombrante figura di Johannes Brahms, il quale, da poco insediatosi a Vienna, non senza invidia e fastidio seguiva l’inarrestabile fioritura sinfonica che aveva preso ad animare la mansueta figura del cinquantenne musicista di Ansfelden. Brahms, spalleggiato da Hanslick, comincia ad attuare una spietata azione boicottatrice. Questo accanimento non impedisce tuttavia a Bruckner di ricevere in affidamento, nel luglio 1875, la cattedra universitaria (non retribuita) di armonia e contrappunto. Evento questo che irrita non poco Hanslick, infastidito, tra l’altro, dal profondo e affettuoso sostegno che l’umile compositore riceve dai suoi allievi (tra i quali ricordiamo Gollerich, Stradal, Eckstein, i fratelli Schalk, Loewe, i due amici Mahler e Krzyzanowski, Klose, Oberleithner, Mottl e Hugo Wolf).

Tuttavia l’affetto dei suoi allievi non è sufficiente e Bruckner va incontro a mesi di profonda incertezza, dovuta essenzialmente a pesanti restrizioni finanziarie, aggravate dall’azione cospiratrice di cui sopra. A Vienna, frattanto, la “guerra” tra wagneriani e brahmsiani – che si protrarrà fino alla morte di Wagner – entra nel vivo; all’agosto del 1876 risale la prima esecuzione integrale dell’Anello del Nibelungo, alla quale Bruckner assisterà direttamente, per invito dello stesso Wagner. Nel 1877, dopo aver ricevuto gratuitamente un appartamento, da parte del dottor Anton Olzelt-Newin, suo ammiratore, Bruckner deve fare i conti con la dolorosa scomparsa di Herbeck (10 giugno). Questi tuttavia, prima di morire, era riuscito ad imporre ai Filarmonici l’esecuzione della Terza Sinfonia. I direttori, però – essenzialmente a causa della dedica a Wagner – si rifiutano di eseguirla, così tocca allo stesso autore dirigerla, il 16 dicembre, con esiti mediocri, resi oltretutto disastrosi dal successo riportato dalla Seconda Sinfonia di Brahms pochi giorni dopo. Durante l’esecuzione della Terza Sinfonia, tra fischi e strepitii, gran parte del pubblico abbandona la sala. Solo una decina di persone rimangono ad ascoltarla fino alla fine. Tra queste Mahler e Krzyzanowski, che tentano invano di placare la disperazione del povero Bruckner, il quale più che mai avvilito confessa “questa gente non vuol saperne di me”. Tra i fedeli a non aver abbandonato la sala c’è tuttavia l’editore musicale Theodor Ratting, che gli propone la pubblicazione dell’opera. Questa Terza sarà la sua prima sinfonia pubblicata. L’episodio agrodolce appena descritto rappresenta forse il culmine di quel dissidio tra le due fazioni musicali suddette. Un antagonismo che assume i toni di vera e propria incompatibilità e che finisce per scaricare sull’ingenua figura del maestro d’Ansfelden l’ingrato ruolo di capro espiatorio.

Finale in crescendo
Negli anni a ridosso del 1870, mentre a Vienna, per volere dei noti cospiratori, cala su Bruckner l’ingiusta cappa del silenzio, questi avvia la creazione di un Quintetto d’archi – commissionatogli da Hellmesberger – e della Sesta Sinfonia. Trova anche il tempo di innamorarsi di Marie Barth, una giovane modista con la quale intrattiene un rapporto epistolare che, tuttavia, si spegne nell’arco di un anno. Nel febbraio del 1881, il grande direttore Hans Richter decide di eseguire la Quarta Sinfonia: è il primo grande successo per Bruckner, elogiato dal critico Kremser come un nuovo Schubert. A questo evento è legato il simpatico episodio del tallero, regalato bonariamente dal compositore al maestro d’orchestra – con la frase “Prendete e bevete una birra alla mia salute” — il quale, commosso fino alle lacrime, la incastona nella sua catena d’orologio. Al mese di maggio risale la celere creazione (in soli sette giorni) del Te Deum. Giungiamo così al 1882, il triste anno dell’addio a Wagner, raggiunto a Bayreuth nel luglio, alla prima assoluta del Parsifal, diretto da Hermann Levi. In questa occasione i due amici hanno l’opportunità di intrattenersi privatamente e nell’incontro – nel quale Wagner rivolgendosi a Richter e ad altri musici affermerà “io non conosco che un uomo che può avvicinarsi a Beethoven: EGLI è Bruckner” – l’organista di Ansfelden ha modo di intuire le precarie condizioni del suo Nume principe, il quale, in effetti, si spegnerà di lì a poco, nel febbraio del 1883 a Venezia. Proprio questo mesto epilogo suggerisce a Bruckner le commoventi cadenze dell’Adagio della Settima Sinfonia, che viene completata in agosto. Eppure, ad onta dei suoi sessant’anni, la fama e il successo continuano ancora a voltargli le spalle. Merito di Hanslick e delle sue gesta velenose.

Fortunatamente Hermann Levi sollecita il grande direttore Arthur Nikisch a programmare a Lipsia la Settima Sinfonia, eseguita il 30 dicembre con grande successo. La stampa germanica giudica Bruckner una forza della natura, accostandolo a Berlioz, a Liszt e a Wagner. Lo stesso Nikisch confida a Schalk, durante le prove dell’Adagio: “Da Beethoven in poi nulla di simile è stato scritto”. È la Germania, dunque, a regalare a Bruckner i primi grandi successi in serie. La Settima è diretta da Levi a Monaco nel gennaio 1885, il Quintetto e la Terza (l’unica pubblicata) sono eseguiti in altri centri tedeschi. Finalmente anche Vienna prende a considerare il musicista, in particolar modo dopo un articolo elogiativo pubblicato da Hugo Wolf, che inquadra il maestro di Ansfelden in una parabola che “oscilla per metà in Beethoven e per metà nelle moderne prospettive”. L’eco di questo successo finisce inevitabilmente con l’irritare Brahms, il quale con invidioso disprezzo definisce Bruckner “uomo privo di senno che i preti di Sankt Florian hanno sulla coscienza”. E non manca neppure un ulteriore appunto di Hanslick che dice “il cervello di Bruckner onnubilato dall’incenso”. Ciò nonostante dal 1885 in poi le esecuzioni di opere bruckneriane a Vienna prendono a intensificarsi, essendo riecheggiati i successi in Germania. I commenti si sprecano, e, come è facile immaginare, variano dal negativo stereotipo diffuso nella corrente brahmsiana, al sincero ed entusiastico apprezzamento degli amici e dei sostenitori del compositore. Tra questi vi è anche il premio Nobel Paul Heise, scrittore tedesco, che in occasione di un concerto bruckneriano a Monaco, ha la possibilità di esprimere al compositore tutta la sua ammirazione. Bruckner – che si era scrollato di dosso il peso della polemica sostenendo “io sono una natura infiammata di cattolico; Brahms un freddo temperamento di protestante. È un eccellente musicista, che sa il suo mestiere; ma non ha temi.” – dal canto suo, si mantiene al di fuori di ogni diatriba. Avvia la composizione della monumentale Ottava Sinfonia, completata nel 1887, e si limita a seguire le sue Sinfonie che percorrono l’Europa (Richter dirige la Terza, Quarta e Settima in Germania e Inghilterra) e raggiungono il nuovo mondo (Theodor Thomas dirige nel’86 la Settima a New York, Chicago e Boston). È di questo periodo l’attestato di stima ricevuto da Johann Strauss, che confessa “Il genio siete voi”, al che l’autore della Settima Sinfonia risponde “Io darei delle sinfonie per un valzer di Johann Strauss”. L’ultimo decennio della vita di Bruckner è segnato da un lento declino e da una fama crescente. Una gloria che dopo aver conquistato Europa e America, s’insedia anche a Vienna, patria finora ingrata. Nell’ottobre del 1889, taluni musicisti decidono una conciliazione tra Bruckner e Brahms, nel ristorante abituale di quest’ultimo “All’Istrice rosso”. Dopo un preliminare imbarazzo, una divertente battuta di spirito (“Ah, vedete, Herr Dokta, c’è almeno un punto su cui ci capiamo” – dice vedendo portare a Brahms un piatto di knodel, gnocchi ripieni) favorisce la distensione del clima, sì che la serata trascorre serenamente. Ciò nondimeno il rapporto tra i due compositori non avrà mai punti di incontro, a causa delle loro tendenze artistiche troppo divergenti. Terminata l’Ottava Sinfonia e iniziata la Nona, tra il 1889 e il 1890, la cronaca degli ultimi sei anni di Bruckner va lentamente attenuandosi, sino a spegnersi. Ancora compone opere corali, come il Salmo 150 e la cantata Helgoland. Ancora viaggia a seguire le esecuzioni delle sue opere (il Te Deum diretto a Berlino da Ochs nel maggio del 1891, la Settima Sinfonia ancora a Berlino nel gennaio del 1894). Trova persino il tempo di avviare brevi avventure sentimentali, come con Karoline, un suo vecchio amore di Linz, o con la berlinese Ida Buhz, che vorrebbe sposarlo senza però convertirsi al cattolicesimo, o con Adele, figlia di un decoratore, che sarà la “dama velata” ai suoi funerali. Intanto, nell’autunno del ’90, a causa dell’intensificarsi dei suoi malesseri fisici e nervosi, ottiene dall’imperatore, a cui ha dedicato l’Ottava Sinfonia, di divenir pensionato come organista di corte, e chiede un congedo di sei mesi per malattia al conservatorio, dal quale riceve una pensione dal gennaio del 1891. Frattanto si susseguono esecuzioni di rilievo: nel 1890 la Quarta Sinfonia è diretta a Monaco, la Terza a Vienna da Richter, che l’anno dopo presenta la Prima Sinfonia. Nonostante i perseveranti stereotipi di Hanslick, le accoglienze sono sempre trionfali. Tra le molteplici esecuzioni, Bruckner segue con interesse le ottime interpretazioni di Mahler, il quale dal 1891 al 1895 dirige numerosissime opere del maestro (la Prima Messa e la Terza Sinfonia ad Amburgo, altre Sinfonie a New York). Il 7 novembre è nominato dall’Università di Vienna dottore honoris causa, diploma molto ambito in quanto dapprima toccato a Brahms. Il mese dopo è organizzato dai docenti un ricevimento in suo onore, al quale non è presente Hanslick. Nel 1892 si reca a Bayreuth, nel decennale della morte di Wagner. A Vienna le sue ultime gioie: Richter, ora che Brahms si è ritirato dalla composizione sinfonica, gli programma l’Ottava Sinfonia, mentre Joseph Eberle gli propone la pubblicazione delle sue opere inedite.

Anton Bruckner trascorre i suoi ultimi tre anni di vita alternando periodi di lunga indisposizione, causati da eretismo nervoso e crisi di idropisia, ad altri di fitto lavoro, atto a vincere la corsa sulla morte sì da terminare la sua opera conclusiva e definitiva, la Nona Sinfonia. Il 10 novembre 1893 detta il suo testamento ed esprime la volontà di non ricevere più amici, neppure quelli maggiormente fidati. Per il settantesimo compleanno viene eletto membro onorario del Musikverein viennese. Poco prima aveva scritto al fratello Ignaz di voler essere sepolto sotto il grande organo di Sankt Florian.

Nell’ottobre del ’94 riprende i corsi all’università, e in un incontro con i suoi studenti, rassegnati al peggio alla vista delle sue precarie condizioni di salute, confessa: “Miei cari amici, voi sapete che in questo mondo non ho che voi e la composizione”. Il 13 novembre tiene la sua ultima lezione e il 30 successivo termina l’Adagio della Nona Sinfonia, iniziando il Finale. Che tuttavia non riuscirà a completare. Nel gennaio del 1896 si reca in carrozza ad una esecuzione del Te Deum, l’ultimo concerto a cui assiste. Ancora crisi che si ripetono fino all’estate. Nel mese di settembre riprende a comporre. Ha idea di scrivere un’opera alla Lohengrin, intitolata Astra (dal poema L’Isola dei Morti di Richard Voss), che sia la summa di tutta la poetica romantica, religiosa, mistica e totalmente pura. Il 2 ottobre, tuttavia, mentre siede al pianoforte intento al Finale della Nona avverte un brivido, si alletta e si spegne. Funerali solenni gli vengono tributati nella chiesa di San Carlo, il 14 ottobre; Loewe dirige l’Adagio della Settima Sinfonia. Le spoglie vengono poi trasferite a Sankt Florian.

I falsi finali
Un’ importante caratteristica delle sinfonie di Bruckner è quella de “i falsi finali”. Durante alcuni movimenti, Bruckner inserisce spesso grandi crescendi emotivi che sembrano sfociare in un grande finale, ma invece, la frase si conclude o con un pianissimo, con una lunga pausa o con un rapido diminuendo. Questa tecnica è applicata in modo particolare nella 5º e nella 8º sinfonia, da cui derivano le attribuzioni di “Tragica” per la prima e “Apocalittica” per la seconda (non originali dell’Autore).

Due concerti di paganini

N.1 in re maggiore
N.2 in si minore
Royal Philarmonica Orcchestra
Yehudi Menuhim violinista.

Scarica qui i concerti di Paganini

Niccolò Paganini, o Nicolò (Genova, 27 ottobre 1782 – Nizza, 27 maggio 1840), è stato un violinista, compositore e chitarrista italiano.

Continuatore della scuola italiana di Pietro Antonio Locatelli e di Gaetano Pugnani, è considerato uno fra i maggiori violinisti dell’Ottocento, sia per la padronanza dello strumento, sia per le innovazioni apportate in particolare allo staccato e al pizzicato.

La sua attività di compositore fu legata a quella di esecutore, in quanto trovava innaturale eseguire musiche sulle quali non aveva un completo controllo.

Nato a Genova nel 1782 da una modesta famiglia originaria di Carro (SP), il padre Antonio faceva imballaggi al porto ed era appassionato di musica. Con la madre Teresa, abitavano in Vico Fosse del Colle, al Passo della Gatta Mora, un caruggio di Genova.
Fin dalla più giovane età Niccolò apprese dal padre le prime nozioni di musica sul mandolino e, in seguito, fu indirizzato sempre dal padre allo studio del violino. Non a torto il Paganini è considerato autodidatta, in quanto i suoi due maestri furono di scarso valore e non ricevette che una trentina di lezioni di composizione da Gaspare Ghiretti. Malgrado ciò, all’età di 12 anni, già si faceva ascoltare nelle Chiese di Genova e diede un concerto nel 1795 al teatro di Sant’Agostino, eseguendo delle sue variazioni sull’aria piemontese “La Carmagnola”, per chitarra e violino, andate perdute, finché il padre lo condusse a Parma nel 1796, all’età di 14 anni. A Parma, Niccolò si ammalò di polmonite che venne curata col salasso, che lo indeboliva e lo costrinse ad un periodo di riposo nella casa paterna a Romairone, in val Polcevera, vicino a San Quirico. Qui arriva a studiare fino a 10-12 ore al giorno su un violino costruito dal Guarneri [1], regalato da un ammiratore di Parma. Paganini imitava i suoni naturali, il canto degli uccelli, i versi degli animali, i timbri degli strumenti, come il flauto, la tromba e il corno. Dopo diede dei concerti nell’Italia Settentrionale e in Toscana. Raggiunta una portentosa abilità, andò di nuovo in Toscana, dove ottenne le più clamorose accoglienze.

Nel 1801, all’età di 19 anni, interruppe la propria attività di concertista, e si dedicò per qualche tempo all’agricoltura e allo studio della chitarra.

In breve tempo diventò virtuoso anche di chitarra e scrisse molte sonate, variazioni, e concerti non pubblicati; insoddisfatto si mise a scrivere sonate per violino e chitarra, trii, quartetti in unione agli strumenti ad arco.

Paganini scriveva per chitarra a sei corde che in quel periodo soppiantò quella “spagnola” a nove corde (quattro doppie e una singola nella parte alta detta cantino) e questo spiega il suo estro negli scoppiettanti pizzicati sul violino.

Alla fine del 1804, all’età di 22 anni, riapparve a Genova ma tornò a Lucca, l’anno successivo, dove accettò il posto di primo violino solista alla corte della principessa Elisa (detta Marianna) Baciocchi, sorella di Napoleone. Quando la corte si trasferì a Firenze nel 1809 Paganini la seguì, ma per un banale incidente se ne allontanò e non volle più tornarvi, malgrado i numerosi inviti. A Torino, fu invitato a suonare nel castello di Stupinigi da un’altra parente di Napoleone, Paolina Borghese.

Riconoscimento ufficiale
Nella sua vita, Paganini percorse l’Italia tre volte, facendosi applaudire in numerose città. La prima di queste città fu Milano, dove era particolarmente amato, nel 1813, a 31 anni, il 29 ottobre, al teatro Carcano, i critici lo acclamarono primo violinista al mondo. Qui nel giro di diversi anni diede 37 concerti, in parte alla Scala e in parte al Carcano.

Nel marzo 1816 trionfò nella sfida lanciatagli da Charles Philippe Lafont e due anni dopo ripeté il trionfo in confronto con Karol Lipiński. Strinse amicizia con Gioachino Rossini e con Louis Spohr. Nel 1817, a 35 anni suonò a Roma, suscitando una tale impressione che il Metternich lo invitò a Vienna. Ma fin da allora, le precarie condizioni di salute, gli impedirono di realizzare subito quel progetto.

Invece andò al Sud, a Palermo, dove nel 1825, vide la luce Achille, il figlio avuto con una cantante del coro, Antonia Bianchi. Paganini volle così bene a questo figlio illegittimo che per averlo dovette acquistarlo per 2.000 scudi dalla madre e poi farselo riconoscere, manipolando le sue conoscenze altolocate.

Nel 1828 finalmente andò a Vienna, dove le lodi ai suoi concerti furono unanimi. L’Imperatore Francesco II lo nominò suo virtuoso di camera.

Dopo aver dato 20 concerti a Vienna, si recò a Praga dove sorsero aspre discussioni sul suo valore.

Compose anche dal 1817 al 1830 sei concerti per violino ed orchestra (famosissimo il finale del secondo detto La Campanella); ritornato a Genova nel 1832 iniziò la composizione dei famosi Capricci per violino e nel 1834, una sonata per la grande viola, variazioni su temi di Süssmayr e Gioachino Rossini, serenate, notturni, tarantelle.

Il 1834 segna l’inizio dei sintomi più eclatanti di una malattia polmonare all’epoca non diagnosticata, segnata da accessi di tosse incoercibile, che duravano anche un’ora, che gli impedivano di dare concerti, che lo spossavano in maniera debilitante, per la quale furono interpellati almeno venti fra i medici più famosi d’Europa ma che nessuno riuscì a curare minimamente. Il Dottor Sito Borda pensionato dell’Ateneo di Pavia, finalmente pose la diagnosi di tubercolosi e lo curava con un rimedio dell’epoca, il latte di asina. E solo in seguito propose medicamenti mercuriali e sedativi della tosse dell’epoca, con poco risultato e grossi effetti collaterali. I disturbi alla gola si presentarono molto tempo prima che insorgesse la laringite vera e propria e la necrosi dell’osso mascellare[2]. Comunque la reazione di Paganini alla malattia fu molto dignitosa e composta; malgrado non avesse una grande opinione dei medici dopo che non erano riusciti a curarlo, si rivolgeva sempre con fiducia a qualcun altro, sperando di trovare un medico che potesse aiutarlo. Nonostante la difficoltà in cui si trovava, non si abbandonò mai alla disperazione e bisogna riconoscere che in questi estremi frangenti dimostrò una gran forza d’animo. Al tempo gli diagnosticarono una laringite tubercolare e dagli sforzi della tosse non poteva più parlare e diventò completamente afono. Gli faceva da interprete il figlioletto Achille di 15 anni, che si era abituato a leggergli le parole sulle labbra e quando anche questo non fu più possibile, si mise a scrivere bigliettini che sono rimasti e che sono stati sottoposti ad esame grafologico. Morì a Nizza in casa del presidente del senato. Achille, diventato adulto, cercherà di dare continuità all’opera del padre, continuando a riordinare e a pubblicare le sue opere, autenticandone la firma. In seguito nipoti, che non avevano conosciuto il nonno Nicolò, venuti in possesso dell’intera opera paganiniana, decideranno di regalarla allo Stato, e solo dopo un rifiuto, metteranno l’opera all’asta.

Morte e sepoltura
Paganini, dunque, morì il 27 maggio 1840. A causa delle voci sul suo conto circa un sospetto “patto con il diavolo” e della sua cattiva reputazione (dovuta soprattutto alla sua condotta apparentemente “irreligiosa”), il vescovo di Nizza ne vietò la sepoltura in terra consacrata. Il suo corpo fu quindi imbalsamato e conservato (inizialmente a bara aperta) nella cantina della casa dov’era morto. Dopo vari spostamenti, solo negli anni ’30 la Chiesa ne autorizzò la sepoltura, che avvenne nel cimitero di Parma dove riposa tuttora in una tomba sempre provvista di fiori freschi e dove attrae molti turisti.

I concerti per violino e orchestra presentano quella singolarità di cui si parlava, che in Romania, ma non solo, fu scambiata per un esibizionismo esagerato. Le serie di accordi di difficile impostazione, i trilli e i salti di registro, sono dovuti anche al fatto che Paganini, per questioni economiche, voleva essere l’unico in grado di suonare la propria musica in modo da essere l’unico a potervici lucrare. Volendo mantenere segrete le partiture, le consegnava al direttore d’orchestra solo qualche ora prima dell’esecuzione. Questi aveva quindi la possibilità di studiarle solo per poco tempo, doveva perciò limitarsi ad un’orchestrazione armonica e di facile interpretazione (l’orchestra doveva infatti essere in grado di poter suonare il brano a prima vista). In questo modo, gli assoli di violino risultano maggiormente complicati all’orecchio dell’ascoltatore che nel frattempo si è abituato all’accompagnamento melodico e semplificato dell’orchestra. Un esempio di quanto detto lo si trova nel primo e nel secondo concerto per violino e orchestra. In particolare nel secondo, il movimento denominato la Campanella è considerato dalla critica un capolavoro e venne trascritto per pianoforte da Franz Liszt.

“Paganini non ripete”
Questo detto popolare ebbe origine nel febbraio del 1818 al Teatro Carignano di Torino, quando Carlo Felice, dopo aver assistito ad un concerto di Paganini, fece pregare il maestro di ripetere un brano. Paganini, che amava improvvisare molto di quello che suonava e alcune volte si lesionava i polpastrelli, gli fece rispondere «Paganini non repete». Per questo motivo gli fu tolto il permesso di eseguire un terzo concerto in programma.

In seguito a questo annullò i concerti che doveva ancora tenere a Vercelli ed Alessandria. In due lettere inviate all’amico avvocato Germi scrisse: «La mia costellazione in questo cielo è contraria. Per non aver potuto replicare a richiesta le variazioni della seconda Accademia, il Sig. Governatore ha creduto bene sospendermi la terza…» (il 25 febbraio 1818) e poi «In questo regno, il mio violino spero di non farlo più sentire» (l’11 marzo dello stesso anno). Ma si contraddisse nel 1836 quando tornò a suonare proprio a Torino per ringraziare Carlo Alberto per la concessione di legittimazione del figlio Achille.

Da allora la vulgata «Paganini non repete» viene usata per motivare il rifiuto di ripetere un gesto o una frase.

Le vicende delle opere di Paganini
Negli anni 50 dell’Ottocento Schubert di Amburgo, Ricordi e Schott pubblicarono alcuni titoli. Il resto giacque inedito a casa di Achille non avendo trovato altri editori.

Poi tutto tacque finché nel 1908 gli eredi di Achille Paganini decisero di vendere allo Stato la collezione dei manoscritti inediti. La commissione governativa incaricata di esaminare i manoscritti diede parere negativo, così non vennero acquistati.

Nel 1910 i manoscritti vennero acquistati all’asta da Leo Olschki che rivendette al collezionista di Colonia Wilhelm Heyer per il suo museo e divennero di fatto inconsultabili. L’asta comprendeva tutti i manoscritti tranne i 3 residui concerti per violino e orchestra dei 5 allora conosciuti.

Alcuni manoscritti facenti o non facenti parte dell’asta furono stampati nei primi decenni del secolo. Nel 1922 la Universal Edition di Vienna diede alla stampe alcuni pezzi per violino e pianoforte. L’editore Zimmermann di Francoforte sul Meno nel 1925 stampò 26 composizioni per chitarra sola. Nel 1926 un’altra asta assegnò i manoscritti a Fritz Reuther un collezionista di Mannheim. Nel 1935 toccò a Schott e nel 1940 a Ricordi.

Sempre Schott, nel 1952, estraendoli dalla collezione Reuter pubblicò alcuni pezzi per violino e pianoforte. Zimmermann nel 1955 mandò in stampa importanti composizioni cameristiche tratte dalla collezione postuma. Alcune cose furono pubblicate in Germania e Spagna nel 1956/57.

Nel 1970 e 1971 la Bèrben di Ancona pubblicò alcuni inediti per violino e per chitarra. Finalmente nel 1971 il governo italiano acquistò i 90 manoscritti e dal 1972 l’Istituto Italiano per la Storia della Musica ha iniziato (con notevole lentezza) la pubblicazione degli inediti. Ora si trovano presso la Biblioteca Casanatense di Roma.

All’inizio degli anni 90 del XX secolo fu ritrovato l’archivio del violinista e compositore Camillo Sivori in cui sono presenti 23 composizioni paganiniane, di alcune delle quali non si sospettava l’esistenza.

Su incarico del comune di Genova le prof. Maria Rosa Moretti e Anna Sorrento nel 1982 stilarono il “Catalogo tematico delle musiche di Niccolò Paganini” da qui la dicitura “M.S.” assegnata ufficialmente alle sue opere.

Attualmente il catalogo supera i 130 numeri d’opera.

Premio Paganini
Per promuovere l’attività concertistica dei violinisti debuttanti, dal 1954 per 51 edizioni si è svolto annualmente (ora solo negli anni pari) a Genova, nel mese di ottobre, presso il Teatro Carlo Felice, il Premio Paganini.

Il concorso, di notevole difficoltà (al punto che talvolta il premio non viene assegnato), è articolato in 3 fasi e nelle prime 2 l’ingresso in teatro è libero ed è possibile ascoltare vari pezzi per violino solo, con accompagnamento di pianoforte e nella finale concerto con orchestra. I 6 finalisti vengono premiati e il 12 ottobre al vincitore è concesso l’onore di suonare il “Cannone”, il famoso violino di Paganini, costruito nel 1743 dal liutaio Bartolomeo Giuseppe Guarneri, lasciato dal musicista alla sua città natale, onde fosse “perpetuamente conservato”.

Luigi Cherubini: Capriccio ou etude pour le fortepiano

Lato 1:

Capriccio ou etude pour le fortepiano

Lato 2:
Fantasia pour lr piano ou orgue.

Pietro Spada pianoforte.

Scarica qui Luigi Cherubini

Luigi Cherubini (Firenze, 14 settembre 1760 – Parigi, 15 marzo 1842) è stato un compositore italiano.

Figlio di un insegnante di musica, fu il decimo di dodici figli. Incominciò a studiare musica all’età di sei anni; tre anni dopo venne affidato ai maestri Felici, Bizzarri e Castrucci, con cui studiò canto, contrappunto e organo. Compiuti gli studi a Bologna e a Milano, iniziò ancora molto giovane a comporre musica sacra. La sua prima opera fu una messa solenne a quattro voci con orchestra che fu eseguita a Firenze realizzata quando aveva tredici anni. Seguirono altre opere di musica religiosa e da camera molto apprezzate al punto da indurre il granduca Leopoldo di Toscana ad assegnargli una pensione (1778), necessaria per il soggiorno di studio bolognese dove l’attese il maestro Sarti. Negli anni che vanno dal 1780 al 1784 fu prolifico di opere teatrali al punto da ottenere un invito per recarsi a Londra, dove compose l’opera buffa La finta principessa e il Giulio Sabino.

Fu autore di numerose opere liriche prima di stabilirsi a Parigi nel 1788, dove entrò a far parte del nuovo Conservatorio, che diresse poi dal 1821 al 1842, lasciando la carica poche settimane prima della morte, e dove strinse amicizia con Viotti. Durante la rivoluzione visse a Gaillon e fu nominato professore alla Scuola di musica della Guardia nazionale.

Nel 1805 si trasferì a Vienna, dove fu accolto da Haydn, ma in seguito agli eventi bellici ed alla difficile situazione teatrale austriaca, fu costretto a ritornare a Parigi, dove l’accoglienza fu piuttosto fredda al punto da indurlo a dedicarsi temporaneamente alla compilazione di un erbario. Ebbe maggiore successo e riconoscimenti in Francia negli anni successivi.[1]

Le sue composizioni, in stile classico, mostrano una grande padronanza del contrappunto. Nel 1808 compose la sua maggiore opera per musica da chiesa, la “Messa Solenne in fa maggiore in tre parti”; un altro grande contributo alla musica sacra fu la “Messa per l’incoronazione di Luigi XVIII” in sol minore per coro e orchestra (1815). Altre composizioni di musica sacra comprendono il “Credo a 8 voci e organo” del 1808, la Messa in do maggiore (1816) e i “Requiem in do minore” (1816) e in re minore (1836).

Tra le numerose altre composizioni di Cherubini – che tra il 1773 e il 1835 scrisse la musica per oltre trenta opere teatrali – si ricordano le opere liriche Lodoïska (1791), Medea (1797) e Les deux journées (1800), oltre a mottetti, cantate e quartetti per archi.

Il suo trattato “Cours de contrepoint et de la fugue” (1835), venne pubblicato a cura del compositore francese Jacques Halévy.

Giulio Confalonieri nel 1948 scrisse una biografia completa di Cherubini con il titolo di Prigionia di un artista (Premio Bagutta 1949).