Beethoven: Concerto numero 4

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Lato A: Allegro moderato

Lato B: Andante con mto
Allegro vivace.

Clara Haskil pianoforte

Orchestra sinfonica della Rai di Torino diretta da Mario Rossi

Registrazione dal vivo effettuata il 22 aprile 1960 nell’Auditorium di Torino della Rai.

Non c’è nessun concerto per pianoforte che cominci come il quarto di Beethoven. In molti concerti è l’orchestra che inizia esponendo da sola il materiale del primo tempo, in molte altre orchestra e pianoforte iniziano insieme, in qualcuno il pianoforte scarica subito le sue carte in tavola con una cadenza virtuosistica.

Ma solo nel Quarto di Beethoven il pianoforte è messo nella condizione di dover cominciare da solo, suonare quietamente cinque battute e poi tacere durante tutta l’esposizione dell’orchestra. Sembra una cosa da niente, ed è terrorizzante tanto che Artut Schnabel , quando gli chiedevano quale fosse il più difficile concerto per pianoforte e orchestra rispondeva invariabilmente: “Il quarto di beethoven”.

E dopo l’immancabile perchè dello stupito interlocutore aggiungeva: perchè appena cominciato il pianista ha un minuti di tempo per pensare a quanto ha suonato già male.

Nelle cinque famigerate battute del quarto non c’è difficoltà meccanica che vada al di là di una modesta scaletta di otto suoni, ma Schnabel aveva ragione. Perchè non si tratta di iniziare con cose difficile, si tratta di iniziare facendo nascere la poesia.

Clara Haskil non era forse una grande pianista nel senso solito del termine, e non era neppure un’interprete che arrivasse a sintesi totalizzanti: non era in altre parole nè un Horowitz nè un Gieseking. Ma quando, trovata faticosamente la posizione del suo corpo piegato dall’artrite, toccava la tastiera e faceva uscire dal pianoforte le prime note del Quarto concerto, l’ascoltatore sentiva nascere la poesia!

Luigi Cherubini, sei sonate

Lato A:

Sonata n.1 in fa maggiore
Sonara n.2 in do maggiore
Sonata n.3 in si bemole maggiore

LatoB:
Sonata n.4 in sol maggiore
Sonat n.5 in re maggiore
Sonata n. 6 in mi bemolle maggiore

Per questa incisione è stato impiegato un fortepiano.

La scelta potrà a prima vista sollevare qualche interrogativo dato che il titolo del lavoro è “Sei sonate per cembalo” ma è perfettamente adeguata. All’epoca delle composizioni delle sonate il fortepiano era ormai di uso comune anche se non esclusivo; il suo nome per esteso era cembalo col forte e col piano da cui nascerà da cui più tardi per contrazione il nome che noi ora usiamo: fortepiano o pianoforte.

 

Wilhelm Furtwangler in memoriam

 

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Figlio dell’archeologo Adolf Furtwängler e di una pittrice, studiò musica fin da piccolo e visse l’infanzia a Monaco di Baviera, dove il padre insegnava all’università. Ricevette un’educazione musicale fin dalla più tenera età e sviluppò un amore per Beethoven che gli rimase poi per tutta la vita. Sebbene la sua fama postuma lo riconosce come direttore d’orchestra, Furtwängler fu anche compositore, ed egli si considerava in primo luogo tale, avendo iniziato la carriera da direttore solo per dirigere le proprie composizioni.

Studiò pianoforte e composizione con Joseph Gabriel Rheinberger e con Max von Schillings. Debuttò a vent’anni nella direzione d’orchestra dirigendo alcuni suoi brani, che, tuttavia, non furono bene accolti. Questo fatto lo portò ad abbandonare la composizione per concentrarsi sulla direzione. Al suo primo concerto diresse la Kaim Orchestra (ora Orchestra Filarmonica di Monaco di Baviera). Successivamente ricoprì incarichi a Monaco di Baviera, Lubecca, Mannheim, Francoforte e Vienna. Divenne anche direttore del Festival di Salisburgo e del Festival di Bayreuth. La sua carriera ebbe un balzo importante quando, nel 1922, fu nominato direttore stabile dell’orchestra della Gewandhaus di Lipsia, succedendo ad Arthur Nikisch e rimanendo in carica fino al 1928, e direttore dei Berliner Philharmoniker, che diresse fino al 1945.

Furtwängler fece anche un certo numero di apparizioni all’estero: debuttò a Londra nel 1924 e vi continuò a dirigere fino al 1938. Nel 1925 presenziò come ospite della New York Philharmonic Orchestra. Verso la fine della seconda guerra mondiale Furtwängler si trasferì in Svizzera. Fu durante questo periodo che compose gran parte di quella che è considerata la sua opera più significativa, la sinfonia n.2 in mi minore. I lavori della sinfonia iniziarono nel 1944. Venne eseguita per la sua prima nel 1948 dalla Filarmonica di Berlino sotto la direzione di Furtwängler stesso. Furtwängler fece registrare l’esecuzione dalla Deutsche Grammophon; la musica era nella tradizione di Anton Bruckner e Gustav Mahler, composta per una grande orchestra romantica. Un altro importante lavoro è il Sinfonie-Konzert (concerto sinfonico per pianoforte ed orchestra), completato nel 1937. Molti temi di questo lavoro sono stati inseriti da Furtwängler anche nell’incompiuta sinfonia n.3 in do diesis minore.

Dopo il conflitto mondiale Furtwängler riprese a dirigere e a registrare, divenendo molto popolare in Europa. Morì nel 1954 ad Ebersteinburg, vicino a Baden-Baden, e fu sepolto nel cimitero monumentale di Heidelberg. Nel decimo anniversario della sua morte venne tenuto un concerto alla Royal Albert Hall di Londra, condotto dal suo biografo Hans-Hubert Schönzeler. Furtwängler fu famoso per le sue direzioni di Beethoven, Brahms, Bruckner e Wagner. Tuttavia diresse anche musica moderna, come Arnold Schoenberg, e diresse la prima mondiale del quinto concerto per pianoforte di Prokof’ev (con il compositore al pianoforte) il 31 ottobre 1932.

Significativo fu il rapporto con l’Italia, che gli permise di dirigere nuovamente in pubblico appena terminata la Seconda guerra mondiale: infatti il Teatro alla Scala mise in scena L’Anello del Nibelungo sotto la sua direzione. L’Anello fu ripreso nel 1953 alla RAI di Roma. Storiche alcune collaborazioni con le orchestre RAI della capitale e di Torino: il concerto per violino di Brahms con Gioconda De Vito, il quarto concerto per pianoforte di Beethoven con Pietro Scarpini, la terza, quinta e sesta sinfonia di Beethoven e perfino la quinta sinfonia di Čajkovskij con l’orchestra RAI. Un po’ meno riuscita, invece, l’esecuzione dell’Otello di Giuseppe Verdi a Salisburgo, che rappresenta anche il suo unico approccio con il melodramma italiano, riletto in chiave troppo wagneriana.

Dvorak: Poems Symphoniques

POEMI SINFONICI

La forma del poema sinfonico è stata illustrata nella storia della musica, dai piu grandi compositori. Basti rammentare Liszt, Berlioz, Strauss per dire soltante qualche nome.

Forse il programma su cui germinano i poemi stessi eccita in modo particolare l’estro creativo dei musicisti; l’idea, insomma, a cui s’informa la composizione fa da forza trainante.

Certo il poema, per la sua stessa struttura, è meno complesso della sinfonia che ha un più forte scheletro e una più massiccia architettura e che perciò obbliga il compositore al rispetto di rigide regole formali entro le quali la fantasia deve muoversi e fare il suo gioco.

Ma, per contro, è una forma più libera e snella in cui il colore strumentale, la bella orchestrazione, hanno parte primaria. E così abbiamo pagine davvero incanteveli fra le quali si situano, di diritto, i poemi sinfonici di Antonin Dvorak.

Li ho ascoltati, in questi giorni (due microsolco della << Deutsche Gram- mophon >> numerati 2530 712 e 2530 713), nell’iinterpretazione di uno dei più raffinati direttori d’orchestra del nostro secolo: Rafael Kubelik.

I titoli delle cempesizieni dvorakiane sono i seguenti: Le spirito delle acque op. 107, La strega del mezzo giorno op. 108, L’arcolaio d’oro op. 109, La colomba del bosco op. 110. Inoltre i dischi comprendono le variazioni sinfoniche su un tema originale op. 78 dello stesso Dvorak.

Esecuzione magistrale: non posso usare altro termine!

I trilli, i tremoli, le sordine, l’improvviso primo piano di uno strumentino, il cupo brontolio degli archi bassi: altrettante occasioni di bravure per un’orchestra ammaliziata come quella della Bayerischen Rundfunk.

Soprattutto se a guidarla c’è un Kubelik.

Laura Padellaro

Donizetti: Linda di Chamounix

Linda:                                     Antonietta Stella soprano
Il marchese di Boisfleury          Renato Capecchi baritono
Carlo visconte di Sirval            Cesare Valletti tenore
Il prefetto                                Giuseppe modesti basso
Antonio, padre di Linda           Giuseppe Taddei baritono
Pierotto giovane orfano            Fedora Barbieri contralto
L’intendente del feudo              Piero de Palma tenore
Maddalena madre di Linda      Rina Corsi soprano
Linda di Chamounix è un’opera in tre atti di Gaetano Donizetti. L’opera, denominata melodramma semiserio è su libretto di Gaetano Rossi. L’opera debuttò al Teatro di Porta Carinzia di Vienna, il 19 maggio 1842.

L’opera non divenne nota al pari di Elisir d’amore, Don Pasquale o Figlia del reggimento, ma il suo titolo è diventata nota per la famosa aria della protagonista, Oh luce di quest’anima. Molti soprani si cimentarono solo in quest’aria (Joan Sutherland, Beverly Sills), o anche interpretando integralmente il ruolo di Linda (Edita Gruberova, Mariella Devia).

L’opera ebbe importanti rappresentazioni nel corso del ‘900: la più nota è quella alla La Scala, con Margherita Rinaldi e Alfredo Kraus diretti da Gianandrea Gavazzeni.

Trama

Atto I
Il marchese di Boisfleury trama per poter avere Linda, figlia di Antonio e Maddalena, fingendo di volerla proteggere. I due genitori temono per la figlia, e Linda, amante segreta di Carlo (in realtà il Visconte di Sirval e nipote del marchese), per fuggire alle insidie del marchese con Pierrotto e alcuni amici savoiardi si reca a Parigi.

Atto II
Linda vive in un appartamento che Carlo le ha offerto e si è arricchita, ma viene raggiunta dal Marchese, che tenta ancora di sedurla. Linda lo respinge. Intanto, Antonio, giunto a Parigi per rivedere la figlia, ma non la riconosce nella ricca signora che è diventata. Quando Linda si rivela, temendo che abbia perduto il suo onore, Antonio la ripudia. A complicare la situazione è la notizia di Pierrotto, che comunica che Carlo ha sposato una donna di nobili origini. Linda perde la ragione ed impazzisce, e viene riportata a Chamounix.

Atto III
Carlo torna a Chamounix, ed apprende la situazione di Linda, e le spiega che aveva rifiutato le nozze imposte dalla madre. Linda così riacquista la ragione e l’opera si conclude nella felicità generale.