Lato 1 Quartetto in sol minore K 478 Allegro, Andante, Rondò allegro
Lato 2 Quartetto in mi bem magg. K 493 Allegro, Larghetto, Allegretto
Quartetto di Torino
L.Giarbella pianoforte
A.Mosesti violino
C.Pozzi viola
E.Roveda violoncello
Il genere del quartetto per pianoforte e archi non può vantare una storia paragonabile a quella del quartetto per archi. Quando, nel 1778, l‘abate joseph Vogler compose il primo Quartetto per pianoforte, violino, viola e violoncello di cui si abbia notizia, il quartetto per archi soli aveva già alle sue spalle una storia comprendente, ad esempio, i Quartetti del Sale di Haydn. Oggi, seppur ricco di lavori affascinanti (basti pensare al Quartetto di Schumann e hai tre di Brahms), il quartetto per pianoforte e archi non ha da sfoggiato un qualcosa che pareggi gli ultimi quartetti per archi di Beethoven o di Schubert; Beethoven
e Schubert compaiono sl nella storia del quartetto per pianoforte e archi, ma in modo molto marginale e persino un po’ curioso; Schubert con un Adagio e Rondò, D487, che aderisce ai canoni della più tipica musica da camera del periodo Biedermeier, e Beethoven con tre Quartetti, Wo036, scritti alla felice età di anni quindici. L’età non impedisce a Beethoven di esser Beethoven, Anzi, se si pon mente all’anno di composizione, 1785, é da dire che il ragazzetto di Bonn, dedicandosi ad un genere non consacrato da lunga e consolidata tradizione, seppe subito dimostrate una eccezionale sensibilità storica e uno spirito di ricerca che lo qualificavano come rivoluzionario.
Tuttavia, i Quartetti Wo0 36, per quanto rivelatori di una personalità di eccezione, non sono opere mature e compiute, da paragonarsi — nonché agli ultimi Quartetti per archi — neppure ai Quartetti dell’op, 18, E sul genere del quartetto per pianoforte e archi Beethoven non tornò più.
Anche Mozart trattò il quartetto per pianoforte e archi solo per eccezione: due volte, nell’arco di otto mesi. E’ curioso che proprio nello stesso anno il Beethoven quindicenne e il Mozart ventinovenne pensassero di scrivere quartetti per pianoforte ed archi. Conobbero allora il Quartetto del Vogler, che era stato pubblicato a Parigi nel 1781e che, a quanto se ne sa, non era ancora stato imitato da nessuno? O fu un editore che sollecito Mozart alla composizione? Non sappiamo. L’idea di un quartetto per pianoforte e archi era fuori della norma e della pratica, ed ogni ricerca di novita richiedeva nel compositore una dose di intraprendenza e di coraggio di cui oggi non ci rendiamo più conto, ma che doveva esser grande in un’epoca in cui la creazione musicale era strettamente legata alla diffusione ed al mercato.
Nel mercato, nella pratica musicale del tempo era comune il rapporto pianoforte archi nelle sonate con accompagnamento e negli adattamenti cameristici di concerti per pianoforte e orchestra. I periodi rococò e protocollassimo videro una enorme proliferazione di concerti per pianoforte e orchestra, con un’orchestra limitata al quintetto d’archi con due oboi e due corni ad libitum, e spesso con le parti degli archi comprendenti soltanto due violini e basso. Per evidenti ragioni editoriali, ma anche perché l’orchestra aveva una funzione prevalentemente accompagnante e raramente concertante, era consentita dai compositori l’esecuzione dei concerti con accompagnamento di due violini e violoncello o di due violini, viola e violoncello. Questa versione alternativa, detta a quattro , fu prevista da Mozart per i primi Concerti che pubblicò, persino per un Concerto di impostazione sinfonica come il 415 in do maggiore. Da quest’uso nacque probabilmente l‘idea di un complesso strumentale con pianoforte, violino, viola e violoncello; e dallo sviluppo del quartetto per archi derivo il rapporto paritetico, concertante, tra i quattro strumenti. I problemi compositivi che ne conseguivano furono affrontati, ma non compiutamente risolti né dal Vugler né dal quindicenne Beethoven: furono affrontati e risolti da Mozart, alle soglie dei trent’anni e nel pieno della maturità’ creativa.
Il Quartetto in sol minore, K478, fu composto nell’autunno del 1785 e iscritto nel catalogo dell’autore il 16 ottobre. Il rapporto, la derivazione dal genere del concerto per pianoforte e orchestra è messa in evidenza dal fatto che il Quartetto K478, al contrario dei Quartetti per archi della famosa serie dedicata a Haydn, scritti tra il 1782 e il 1785, è in tre invece che in quattro tempi. Appare audace la scelta della tonalità di impianto, in sol minore. Le tonalità di modo minore erano in realtà rare sia net concerti che nei quartetti per
archi; ad esempio, solo dei più che quaranta concerti che Mozart scrisse per vari strumenti sono in modo minore, e ancora Beethoven avrebbe impiegato il modo minore in uno solo dei suoi otto concerti (Mendelssohn, Chopin Schumann, al contrario, avrebbero usato solo il modo minore nei concerti licenziati alle stampe); anche nei trentuno Quartetti per archi di Mozart il modo minore compare eccezionalmente; tre volte soltanto. Sorprende dunque che Mozart, trattando un genere per la prima volta, scegliesse come tonalità di impianto una tonalità di modo minore; ma la insolita scelta mozartiana viene attenuata mediante un altro insolito correttivo: l’ultimo tempo non E in sol minore, ma il sol maggiore, E
siccome il secondo tempo e impiantato nella tonalità di si bemolle maggiore il colore tonale della composizione risulta molto singolare, addirittura unico nella musica di Mozart.
Il rapporto tra i quattro strumenti e impostato e mantenuto da Mozart, sin dall’inizio, su un piano di pariteticita, con impiego di tutte le tre possibili combinazioni: quattro strumenti assieme, pianoforte alternato o contrapposto al gruppo degli archi, discorso polifonico a quattro, La difficoltà tecnica è uguale per tutti gli strumenti: solo molto raramente (ad esempio, alla fine del primo tempo e in qualche momento del finale) il pianoforte sfoggia un virtuosismo più da concerto che da musica da camera. Alla viola, che Mozart prediligeva (la suonava volentieri quando eseguiva in famiglia quartetti per archi), ma che ai suoi tempi non aveva ancora avuto un grande sviluppo tecnico, viene attribuito un ruolo non inferiore di quello del violino.
Allegro iniziale è costruito secondo lo schema del cosiddetto allegra di sonata o forma-sonata, con primo tema, transizione, secondo tema, conclusione, e con una tripartizione generale comprendente esposizione, sviluppo, riesposizione. L’unico carattere singolare è da considerare una coda conclusiva dopo la riesposizione, piuttosto rara in Mozart (e frequentissima invece in Beethoven).
Il secondo tempo, come di solito accade con il Mozart dei primi anni viennesi, é un Andante invece di un Adagio. La forma è quella dell’allegro di sonata senza sviluppo, ed il carattere espressivo, sereno e disteso, si incupisce appena in un breve inciso del secondo tema. Il finale è un Rondò assai ampio, in cinque episodi, con uno sviluppo al posto di un veto e proprio terzo tema: per vastità di architettura e per impegno compositivo questo finale é paragonabile ad alcuni finali di Concerti per pianoforte (ad esempio, il K 466 in re minore e il K 488 in la maggiore) in forma di rondò. Nel finale del Quartetto compaiono due curiose premonizioni; un inciso melodico avrebbe trovato una sua splendida collocazione, di li a pochi mesi nel finale del Concerto K488, e nella transizione dal primo al secondo tema si trova, nella parte del pianoforte, un frammento che sarebbe poi diventato, nel gennaio successivo, il tema del Rondò per pianoforte solo in re maggiore K 485.
Nell’autunno del 1785, al quinto anno della sua carriera di libero professionista, Mozart era un vulcano in perpetua eruzione, che investiva il mercato con gigantesche colate di musica, Scriveva per vivere, e scriveva per il pubblico. E` dunque quasi certo che il Quartetto K47B venisse pensato… non come, oasi dello spirito, ma come fonte di guadagno, come novità che avrebbe incuriosito i capricciosi viennesi. Sulle circostanze della composizione e delle probabili esecuzioni non si hanno pero notizie dl prima mano, Il Nissen, secondo marito di Costanza Mozart, vedova di Volfango, racconta che il quartetto sarebbe stato commissionato dall’editore Hoffmeister come primo di una progettata serie di tre. Pubblicaro il Quartetto, l’editore non sarebbe stato confortato dalle vendite ed avrebbe rifiutato di dar seguito all’ordinazione, perdendo l’anticipo già versato. La storia è plausibile, non accertata, Tuttavia Mozart, dopo che ne1l`inverno 1785-86 aveva composto tra l’altro 1 Concerti K482, 488 e K491, e dopo aver messo in scena, l’1 maggio 1786, nientemeno che Le nozze di Figaro, scrisse un secondo Quartetto per pianoforte e archi, K493, terminato il 3 giugno e pubblicato l’anno dopo dall’editore Artaria.
Nel Quartetto in mi bemolle maggiore K 493, ci pare, Mozart tiene in considerazione le attese del pubblico più di quanto non facesse nel Quartetto in sol minore: in questo senso le notizie del Nissen debbono essere ritenute sostanzialmente veritiere. Nel primo tempo il compositore aggiunge al secondo un terzo tema, accrescendo cosi} i motivi di varietà e di interesse, e rinunciando per ciò alla compattezza formale del primo tempo del Quintetto in sol minore, Il tono diventa subito più discorsivo e colloquiale, e anche la scrittura quartettistica é meno complessa. Lo sviluppo, assai lungo, é tutto casato sul secondo tema, che nell’economia della composizione acquista quindi un rilievo predominante; anche la breve coda conclusiva è basata sul secondo tema.
Più denso di contenuti musicale, e di ricca scrittura é il secondo tempo, in serrata forma-sonata con coda. Il finale è basato su un tema principale a modo di gavotta, che ricorda certe pagine mozartiane di ispirazione rococò, e strutturate in quella forma di rondò molto sviluppato che Mozart usa spesso nei finali dei Concerti per pianoforte. La scrittura è concertante, ma il pianoforte esercita un evidente predominio, e lo stile ricorda quello dei Concerti che potevano essere eseguiti con l’intera orchestra o con soli archi.
PIERO RATTALINO