Due concerti di paganini

N.1 in re maggiore
N.2 in si minore
Royal Philarmonica Orcchestra
Yehudi Menuhim violinista.

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Niccolò Paganini, o Nicolò (Genova, 27 ottobre 1782 – Nizza, 27 maggio 1840), è stato un violinista, compositore e chitarrista italiano.

Continuatore della scuola italiana di Pietro Antonio Locatelli e di Gaetano Pugnani, è considerato uno fra i maggiori violinisti dell’Ottocento, sia per la padronanza dello strumento, sia per le innovazioni apportate in particolare allo staccato e al pizzicato.

La sua attività di compositore fu legata a quella di esecutore, in quanto trovava innaturale eseguire musiche sulle quali non aveva un completo controllo.

Nato a Genova nel 1782 da una modesta famiglia originaria di Carro (SP), il padre Antonio faceva imballaggi al porto ed era appassionato di musica. Con la madre Teresa, abitavano in Vico Fosse del Colle, al Passo della Gatta Mora, un caruggio di Genova.
Fin dalla più giovane età Niccolò apprese dal padre le prime nozioni di musica sul mandolino e, in seguito, fu indirizzato sempre dal padre allo studio del violino. Non a torto il Paganini è considerato autodidatta, in quanto i suoi due maestri furono di scarso valore e non ricevette che una trentina di lezioni di composizione da Gaspare Ghiretti. Malgrado ciò, all’età di 12 anni, già si faceva ascoltare nelle Chiese di Genova e diede un concerto nel 1795 al teatro di Sant’Agostino, eseguendo delle sue variazioni sull’aria piemontese “La Carmagnola”, per chitarra e violino, andate perdute, finché il padre lo condusse a Parma nel 1796, all’età di 14 anni. A Parma, Niccolò si ammalò di polmonite che venne curata col salasso, che lo indeboliva e lo costrinse ad un periodo di riposo nella casa paterna a Romairone, in val Polcevera, vicino a San Quirico. Qui arriva a studiare fino a 10-12 ore al giorno su un violino costruito dal Guarneri [1], regalato da un ammiratore di Parma. Paganini imitava i suoni naturali, il canto degli uccelli, i versi degli animali, i timbri degli strumenti, come il flauto, la tromba e il corno. Dopo diede dei concerti nell’Italia Settentrionale e in Toscana. Raggiunta una portentosa abilità, andò di nuovo in Toscana, dove ottenne le più clamorose accoglienze.

Nel 1801, all’età di 19 anni, interruppe la propria attività di concertista, e si dedicò per qualche tempo all’agricoltura e allo studio della chitarra.

In breve tempo diventò virtuoso anche di chitarra e scrisse molte sonate, variazioni, e concerti non pubblicati; insoddisfatto si mise a scrivere sonate per violino e chitarra, trii, quartetti in unione agli strumenti ad arco.

Paganini scriveva per chitarra a sei corde che in quel periodo soppiantò quella “spagnola” a nove corde (quattro doppie e una singola nella parte alta detta cantino) e questo spiega il suo estro negli scoppiettanti pizzicati sul violino.

Alla fine del 1804, all’età di 22 anni, riapparve a Genova ma tornò a Lucca, l’anno successivo, dove accettò il posto di primo violino solista alla corte della principessa Elisa (detta Marianna) Baciocchi, sorella di Napoleone. Quando la corte si trasferì a Firenze nel 1809 Paganini la seguì, ma per un banale incidente se ne allontanò e non volle più tornarvi, malgrado i numerosi inviti. A Torino, fu invitato a suonare nel castello di Stupinigi da un’altra parente di Napoleone, Paolina Borghese.

Riconoscimento ufficiale
Nella sua vita, Paganini percorse l’Italia tre volte, facendosi applaudire in numerose città. La prima di queste città fu Milano, dove era particolarmente amato, nel 1813, a 31 anni, il 29 ottobre, al teatro Carcano, i critici lo acclamarono primo violinista al mondo. Qui nel giro di diversi anni diede 37 concerti, in parte alla Scala e in parte al Carcano.

Nel marzo 1816 trionfò nella sfida lanciatagli da Charles Philippe Lafont e due anni dopo ripeté il trionfo in confronto con Karol Lipiński. Strinse amicizia con Gioachino Rossini e con Louis Spohr. Nel 1817, a 35 anni suonò a Roma, suscitando una tale impressione che il Metternich lo invitò a Vienna. Ma fin da allora, le precarie condizioni di salute, gli impedirono di realizzare subito quel progetto.

Invece andò al Sud, a Palermo, dove nel 1825, vide la luce Achille, il figlio avuto con una cantante del coro, Antonia Bianchi. Paganini volle così bene a questo figlio illegittimo che per averlo dovette acquistarlo per 2.000 scudi dalla madre e poi farselo riconoscere, manipolando le sue conoscenze altolocate.

Nel 1828 finalmente andò a Vienna, dove le lodi ai suoi concerti furono unanimi. L’Imperatore Francesco II lo nominò suo virtuoso di camera.

Dopo aver dato 20 concerti a Vienna, si recò a Praga dove sorsero aspre discussioni sul suo valore.

Compose anche dal 1817 al 1830 sei concerti per violino ed orchestra (famosissimo il finale del secondo detto La Campanella); ritornato a Genova nel 1832 iniziò la composizione dei famosi Capricci per violino e nel 1834, una sonata per la grande viola, variazioni su temi di Süssmayr e Gioachino Rossini, serenate, notturni, tarantelle.

Il 1834 segna l’inizio dei sintomi più eclatanti di una malattia polmonare all’epoca non diagnosticata, segnata da accessi di tosse incoercibile, che duravano anche un’ora, che gli impedivano di dare concerti, che lo spossavano in maniera debilitante, per la quale furono interpellati almeno venti fra i medici più famosi d’Europa ma che nessuno riuscì a curare minimamente. Il Dottor Sito Borda pensionato dell’Ateneo di Pavia, finalmente pose la diagnosi di tubercolosi e lo curava con un rimedio dell’epoca, il latte di asina. E solo in seguito propose medicamenti mercuriali e sedativi della tosse dell’epoca, con poco risultato e grossi effetti collaterali. I disturbi alla gola si presentarono molto tempo prima che insorgesse la laringite vera e propria e la necrosi dell’osso mascellare[2]. Comunque la reazione di Paganini alla malattia fu molto dignitosa e composta; malgrado non avesse una grande opinione dei medici dopo che non erano riusciti a curarlo, si rivolgeva sempre con fiducia a qualcun altro, sperando di trovare un medico che potesse aiutarlo. Nonostante la difficoltà in cui si trovava, non si abbandonò mai alla disperazione e bisogna riconoscere che in questi estremi frangenti dimostrò una gran forza d’animo. Al tempo gli diagnosticarono una laringite tubercolare e dagli sforzi della tosse non poteva più parlare e diventò completamente afono. Gli faceva da interprete il figlioletto Achille di 15 anni, che si era abituato a leggergli le parole sulle labbra e quando anche questo non fu più possibile, si mise a scrivere bigliettini che sono rimasti e che sono stati sottoposti ad esame grafologico. Morì a Nizza in casa del presidente del senato. Achille, diventato adulto, cercherà di dare continuità all’opera del padre, continuando a riordinare e a pubblicare le sue opere, autenticandone la firma. In seguito nipoti, che non avevano conosciuto il nonno Nicolò, venuti in possesso dell’intera opera paganiniana, decideranno di regalarla allo Stato, e solo dopo un rifiuto, metteranno l’opera all’asta.

Morte e sepoltura
Paganini, dunque, morì il 27 maggio 1840. A causa delle voci sul suo conto circa un sospetto “patto con il diavolo” e della sua cattiva reputazione (dovuta soprattutto alla sua condotta apparentemente “irreligiosa”), il vescovo di Nizza ne vietò la sepoltura in terra consacrata. Il suo corpo fu quindi imbalsamato e conservato (inizialmente a bara aperta) nella cantina della casa dov’era morto. Dopo vari spostamenti, solo negli anni ’30 la Chiesa ne autorizzò la sepoltura, che avvenne nel cimitero di Parma dove riposa tuttora in una tomba sempre provvista di fiori freschi e dove attrae molti turisti.

I concerti per violino e orchestra presentano quella singolarità di cui si parlava, che in Romania, ma non solo, fu scambiata per un esibizionismo esagerato. Le serie di accordi di difficile impostazione, i trilli e i salti di registro, sono dovuti anche al fatto che Paganini, per questioni economiche, voleva essere l’unico in grado di suonare la propria musica in modo da essere l’unico a potervici lucrare. Volendo mantenere segrete le partiture, le consegnava al direttore d’orchestra solo qualche ora prima dell’esecuzione. Questi aveva quindi la possibilità di studiarle solo per poco tempo, doveva perciò limitarsi ad un’orchestrazione armonica e di facile interpretazione (l’orchestra doveva infatti essere in grado di poter suonare il brano a prima vista). In questo modo, gli assoli di violino risultano maggiormente complicati all’orecchio dell’ascoltatore che nel frattempo si è abituato all’accompagnamento melodico e semplificato dell’orchestra. Un esempio di quanto detto lo si trova nel primo e nel secondo concerto per violino e orchestra. In particolare nel secondo, il movimento denominato la Campanella è considerato dalla critica un capolavoro e venne trascritto per pianoforte da Franz Liszt.

“Paganini non ripete”
Questo detto popolare ebbe origine nel febbraio del 1818 al Teatro Carignano di Torino, quando Carlo Felice, dopo aver assistito ad un concerto di Paganini, fece pregare il maestro di ripetere un brano. Paganini, che amava improvvisare molto di quello che suonava e alcune volte si lesionava i polpastrelli, gli fece rispondere «Paganini non repete». Per questo motivo gli fu tolto il permesso di eseguire un terzo concerto in programma.

In seguito a questo annullò i concerti che doveva ancora tenere a Vercelli ed Alessandria. In due lettere inviate all’amico avvocato Germi scrisse: «La mia costellazione in questo cielo è contraria. Per non aver potuto replicare a richiesta le variazioni della seconda Accademia, il Sig. Governatore ha creduto bene sospendermi la terza…» (il 25 febbraio 1818) e poi «In questo regno, il mio violino spero di non farlo più sentire» (l’11 marzo dello stesso anno). Ma si contraddisse nel 1836 quando tornò a suonare proprio a Torino per ringraziare Carlo Alberto per la concessione di legittimazione del figlio Achille.

Da allora la vulgata «Paganini non repete» viene usata per motivare il rifiuto di ripetere un gesto o una frase.

Le vicende delle opere di Paganini
Negli anni 50 dell’Ottocento Schubert di Amburgo, Ricordi e Schott pubblicarono alcuni titoli. Il resto giacque inedito a casa di Achille non avendo trovato altri editori.

Poi tutto tacque finché nel 1908 gli eredi di Achille Paganini decisero di vendere allo Stato la collezione dei manoscritti inediti. La commissione governativa incaricata di esaminare i manoscritti diede parere negativo, così non vennero acquistati.

Nel 1910 i manoscritti vennero acquistati all’asta da Leo Olschki che rivendette al collezionista di Colonia Wilhelm Heyer per il suo museo e divennero di fatto inconsultabili. L’asta comprendeva tutti i manoscritti tranne i 3 residui concerti per violino e orchestra dei 5 allora conosciuti.

Alcuni manoscritti facenti o non facenti parte dell’asta furono stampati nei primi decenni del secolo. Nel 1922 la Universal Edition di Vienna diede alla stampe alcuni pezzi per violino e pianoforte. L’editore Zimmermann di Francoforte sul Meno nel 1925 stampò 26 composizioni per chitarra sola. Nel 1926 un’altra asta assegnò i manoscritti a Fritz Reuther un collezionista di Mannheim. Nel 1935 toccò a Schott e nel 1940 a Ricordi.

Sempre Schott, nel 1952, estraendoli dalla collezione Reuter pubblicò alcuni pezzi per violino e pianoforte. Zimmermann nel 1955 mandò in stampa importanti composizioni cameristiche tratte dalla collezione postuma. Alcune cose furono pubblicate in Germania e Spagna nel 1956/57.

Nel 1970 e 1971 la Bèrben di Ancona pubblicò alcuni inediti per violino e per chitarra. Finalmente nel 1971 il governo italiano acquistò i 90 manoscritti e dal 1972 l’Istituto Italiano per la Storia della Musica ha iniziato (con notevole lentezza) la pubblicazione degli inediti. Ora si trovano presso la Biblioteca Casanatense di Roma.

All’inizio degli anni 90 del XX secolo fu ritrovato l’archivio del violinista e compositore Camillo Sivori in cui sono presenti 23 composizioni paganiniane, di alcune delle quali non si sospettava l’esistenza.

Su incarico del comune di Genova le prof. Maria Rosa Moretti e Anna Sorrento nel 1982 stilarono il “Catalogo tematico delle musiche di Niccolò Paganini” da qui la dicitura “M.S.” assegnata ufficialmente alle sue opere.

Attualmente il catalogo supera i 130 numeri d’opera.

Premio Paganini
Per promuovere l’attività concertistica dei violinisti debuttanti, dal 1954 per 51 edizioni si è svolto annualmente (ora solo negli anni pari) a Genova, nel mese di ottobre, presso il Teatro Carlo Felice, il Premio Paganini.

Il concorso, di notevole difficoltà (al punto che talvolta il premio non viene assegnato), è articolato in 3 fasi e nelle prime 2 l’ingresso in teatro è libero ed è possibile ascoltare vari pezzi per violino solo, con accompagnamento di pianoforte e nella finale concerto con orchestra. I 6 finalisti vengono premiati e il 12 ottobre al vincitore è concesso l’onore di suonare il “Cannone”, il famoso violino di Paganini, costruito nel 1743 dal liutaio Bartolomeo Giuseppe Guarneri, lasciato dal musicista alla sua città natale, onde fosse “perpetuamente conservato”.


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