Paisiello: Il barbiere di Siviglia.

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Il barbiere di Siviglia, ovvero La precauzione inutile è un’opera lirica di Giovanni Paisiello su libretto di Giuseppe Petrosellini tratto dalla commedia omonima di Beaumarchais.
La prima rappresentazione ebbe luogo il 15 settembre 1782 al Teatro dell’Ermitage, presso la corte imperiale russa di Caterina la Grande.
L’opera, che ebbe immediatamente un grandissimo successo in tutta Europa, venne poi oscurata dal successivo rifacimento del 1816 di Gioachino Rossini sullo stesso soggetto, che finì per relegare in un lungo oblio la versione di Paisiello.
Negli ultimi decenni del Novecento si è parzialmente recuperata l’opera, che ha avuto più di una esecuzione nei teatri italiani ed europei.
La cavatina di Lindoro, tratta dall’opera, è stata utilizzata nel 1975 dal regista Stanley Kubrick, che l’ha inserita con una versione strumentale nella colonna sonora del film Barry Lyndon.





Giovanni Gregorio Cataldo Paisiello, noto semplicemente come Giovanni, a volte italianizzato in Paesiello (Taranto, 9 maggio 1740 – Napoli, 5 giugno 1816), è stato un compositore Italiano; fu uno dei più importanti e influenti compositori d’opera del Classicismo.
Nella città di Taranto, dov’era nato (mentre secondo alcune fonti sarebbe nato a Roccaforzata), frequentò il liceo dai Gesuiti, ma la bellezza della sua voce attirò talmente l’attenzione che nel 1754 venne inviato a studiare al conservatorio di Sant’Onofrio a Napoli (vi fu ammesso l’8 giugno), dove studiò sotto la supervisione di Francesco Durante, divenendo a tempo debito assistente maestro.
Per il teatro del conservatorio, che lasciò nel 1763, scrisse alcuni intermezzi, uno dei quali attrasse così tanto l’interesse dell’opinione pubblica che fu invitato a scrivere tre opere per lo Stato pontificio, La pupilla e Il mondo a rovescio per la città di Bologna e Il marchese di Tidipano, per Roma.
Essendo la sua fama oramai stabile, si trasferì per qualche anno nella Capitale, dove – nonostante la popolarità di Niccolò Piccinni, Domenico Cimarosa e Pietro Alessandro Guglielmi, dei cui trionfi si dice fosse amaramente geloso – produsse una serie di opere altamente di successo, una delle quali, L’idolo cinese, provocò grande scalpore presso il pubblico partenopeo.
Nel 1772 Paisiello fu costretto a sposare Cecilia Pallini, dopo aver passato qualche giorno in prigione essendosi rifiutato di mantenere la promessa di matrimonio. Nonostante questo incidente il matrimonio fu felice.
Nel 1776 ricevette ed accettò l’invito della zarina Caterina II di Russia di ricoprire nella neonata San Pietroburgo la carica di maestro di cappella per tre anni. Partì dunque il 29 luglio e dopo qualche mese, nel gennaio dell’anno successivo, giunse nella capitale dell’Impero Russo. Divenne subito insegnante di musica della granduchessa Maria Fjòdorovna e dopo sei mesi mise già in scena un suo lavoro, l’opera metastasiana La Nitteti. Il 30 aprile 1781 il successo qui ottenuto fece sì che gli venisse rinnovato il contratto per altri quattro anni. Dopo la rappresentazione de La serva padrona (già musicata alcuni decenni prima da Pergolesi), l’anno seguente fu la volta di un suo capolavoro, Il barbiere di Siviglia, ascoltato da Mozart che volle musicare la seconda commedia delle tre, componendo l’immortale “Nozze di Figaro”, che raggiunse subito una fama di livello europeo. Il destino di quest’opera segna un’epoca nella storia dell’arte italiana: con essa morì la gentile soavità coltivata dai maestri del XVIII secolo, lasciando spazio all’abbagliante splendore del periodo successivo. Quando, nel 1816, Gioachino Rossini scrisse un’opera con il medesimo soggetto ma diverso libretto, con il titolo Almaviva, venne fischiato in palcoscenico; ciononostante, con il titolo modificato, Il Barbiere è oggigiorno riconosciuto come il più grande lavoro di Rossini, mentre l’opera di Paisiello è stata consegnata all’oblio: uno strano esempio di vendetta poetica postuma, dal momento che Paisiello stesso aveva molti anni prima tentato di eclissare la fama di Pergolesi, rimusicando il libretto del suo famoso intermezzo, La Serva Padrona.
Paisiello abbandonò la Russia nel 1783, e, dopo aver prodotto Il Re Teodoro a Vienna, si mise al servizio di Ferdinando IV a Napoli, dove compose numerose tra le sue migliori opere, incluse Nina e La Molinara. Nel 1789 compose una Missa defunctorum per il principino Gennaro Carlo Francesco di Borbone, morto di vaiolo nel gennaio di quell’anno. Dopo molte vicissitudini, derivate da cambiamenti politici e dinastici, venne invitato a Parigi (1802) da Napoleone, il cui favore si era conquistato cinque anni prima con una marcia composta per il funerale del generale Hoche. Napoleone lo trattò munificamente, più di altri compositori meritevoli, come Luigi Cherubini e Etienne Méhul, verso i quali il nuovo favorito trasferì la malevolenza che aveva precedentemente riservato a Cimarosa, Guglielmi e Piccinni.
Paisiello dirigeva la musica di corte alle Tuileries con uno stipendio di 10 000 franchi, oltre a 4800 per vitto e alloggio, ma non ebbe il successo che si aspettava da parte del pubblico parigino, che accolse troppo freddamente la sua opera Proserpina tanto che, nel 1803, egli richiese e con difficoltà ottenne il permesso di ritornare in Italia, con la scusa della cagionevole salute della moglie. Al suo arrivo a Napoli venne reinstallato nei suoi precedenti compiti da Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, ma la sua fortuna pareva ormai in declino, seguendo quella della famiglia Bonaparte. In questo periodo ebbe uno stretto rapporto di amicizia con fra Egidio Maria di San Giuseppe, salito in seguito alla gloria degli altari, che era suo conterraneo. Fra i discepoli di Paisiello va poi ricordato anche il musicista patriota Piero Maroncelli.
La morte della moglie nel 1815 lo colpì duramente. La sua salute si guastò con rapidità, e la sua gelosia nei confronti della popolarità altrui era una fonte di preoccupazione continua.
Rientrato a Napoli Paisiello vide la sua fama misconosciuta dai Borbone tornati a regnare su Napoli dopo la parentesi napoleonica che lo avevano visto alla corte di Parigi e ormai la sua verve creativa era ora incapace di accontentare le richieste di nuove idee che gli venivano fatte.
Le opere di Paisiello (se ne conoscono 94) abbondano di melodie, la cui bellezza leggiadra è tuttora caldamente apprezzata. Forse la più conosciuta tra queste arie è “Nel cor più non mi sento” dalla Molinara, immortalata anche nelle variazioni di Beethoven e interpretata da alcune delle più grandi voci della storia, sia maschili (Pavarotti compreso) che femminili. La sua musica sacra fu molto voluminosa, comprendendo 8 messe (tra cui tra curiosa la “Messa di Natale per la cappella di Napoleone”, e la solenne Messa da requiem) oltre a numerosi lavori meno noti: produsse anche 51 composizioni strumentali e svariati pezzi separati. Manoscritti delle partiture di molte sue opere vennero donate alla biblioteca del British Museum da Domenico Dragonetti.
Oltre all’attività operistica, Paisiello è noto per aver composto Viva Ferdinando il re, adottato nel 1816 come inno nazionale del Regno delle Due Sicilie.
La biblioteca dei Girolamini di Napoli possiede un’interessante raccolta di manoscritti che registrano le opinioni di Paisiello sui compositori a lui contemporanei, e ce lo mostrano come un critico spesso severo, soprattutto del lavoro di Pergolesi.
Un teatro di Lecce è a lui intitolato.


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