Walter Gieseking interpreta Mozart: Vol 3

Walter Gieseking: sonate complete per piano di Mozart Volume 3

Scarica qui il terzo volume di Mozart interpretato da Walter Gieseking


Disco 1 lato A:
Sonata in fa maggiore K.332
Otto variazioni in la maggiore K.460

Disco 1 lato B
Sonata in do maggiore K.545
Dodici variazioni in mi bemolle maggiore K.354
Fantasia in do minore K.396

Disco 2 lato A
Sonata in do maggiore K.330
Rondo’ in re maggiore K.485

Disco 2 lato B
Sonata in do maggiore K.309
Otto variazioni in fa maggiore K.352
Capriccio in do maggiore K.395

Disco 3 lato A
Otto minuetti con trio K.315a
Allegro dalla sonata in si bemolle maggiore K.400

Disco 3 lato B
Dalla sonata in si bemolle maggiore K.498a
Sei danze tedesche con trio K.509

WALTER GIESEKING INTERPRETA MOZART
63 lavori per pianoforte di Mozart suonati da Gieseking furono realizzati in origine su dischi Angel alla fine del 1954, in una sontuosa e limitata edizione da vendersi al prezzo complessivo di 75 dollari. Era la miglior commemorazione anticipata del 200° anniversario della nascita di Mozart che si sarebbe celebrato in tutto il mondo nel 1956. Sul Chicago Sunday Tribune del 9 gennaio 1955 Claudia Cassidy scriveva: “E’ una cosa meravigliosa avere immediatamente a portata di mano tutti i lavori per pianoforte di Mozart, l’importante e l’insignificante, il grande e il piccolo (per Mozart). E averli suonati da un maestro dei musicisti che sia anche un grande pianista non guasta assolutamente… L’album é ricco per un’esecuzione meravigliosa di grande virtuosismo”. . Herbert Kupferberg affermava nel New York Herald Tribune: “Solo il più grande degli artisti può essere capace di contrapporsi alle dinamiche meravigliosamente proporzionate di Gieseking, alle sue delicate sfumature, alla sua abilita nel reggersi con solo il semplicissimo uso del pedale, al suo artificio che dissimula 1’arte… questi undici dischi contengono un po’ della più bella musica per pianoforte che mai sia stata scritta e suonata in modo completamente bello”. ll Boston Post definiva l’album “uno dei preminenti raggiungimenti dell’industria discografica”. Il Philadelphia Daily News acclamava “la perfetta unione: il tocco di Gieseking e la mobile grazia di Mozart”. Nel gennaio 1956 la pubblicazione a programma Carnegie Hall osservava: “Questo mese la parola d’ordine per la Angel Record e M come meraviglioso… I 63 lavori per pianoforte solo di Mozart interpretati da Walter Gieseking era nella lista del meglio dell’anno per ogni recensore che ricapitolasse il 1955 in disch”. Le sedute di registrazione erano cominciate nel luglio 1953 nello studio della EMI di Abbey Road, a St. ]ohn’s Wood, Londra (di recente reso immortale dai Beatles). Continuarono per tutta l’estate con alcune sedute conclusive nel dicembre seguente; alla fine risultarono 38 in totale della durata che andava dalle due alle tre ore ciascuna. Circa la sua esecuzione musicale Gieseking scrisse queste note per l’Edizione Speciale De Luxe: Può sembrare paradossale, ma la mia opinione sulla musica pianistica di Mozart é descritta meglio quando dico che é, al tempo stesso, la musica più facile e la più difficile da eseguire correttamente. Da un lato essa non ha bisogno di sforzi particolari. E’ completamente naturale e semplice suonare Mozart. D’altra parte potrebbe dirsi molto difficile per un musicista raggiungere quel grado in cui il comando tecnico, il sentimento musicale e tutte le facoltà mentali e fisiche siano cosi armoniosamente coordinati da far si che le dita obbediscano con il necessario grado di sicurezza agli impulsi dell’espressione suggerita dal corso naturale e dall’incantevole bellezza delle linee melodiche di Mozart. Naturalmente, quando dico “senza sforzi particolari” significa che la completa concentrazione sul compito di eseguire una composizione è dato per scontato come una condizione sine qua non, e che la massima attenzione sia concessa ad ogni dettaglio della tecnica, del valore musicale e del senso espressivo; questo in ogni momento e senza interruzione alcuna. Ma non tutti i compositori rendono molto facile procedere da questa concentrazione allo – posso dire benedetto e felice?- stato di comunione o identità o, almeno, alla illusione di identità fra compositore ed esecutore. Per Mozart la musica deve essere stata normale e istintivamente naturale come il respirare. La facilita e la perfezione del suo comporre collocano i suoi lavori al di sopra dell’umana debolezza, al di sopra della laboriosità terrena; li rendono tali che uno e obbligato a parlare di sovrumano, di metafisico o, semplicemente, come della bellezza della natura trasferita in suoni!

Ora, il musicista che cerca di ricreare le ispirazioni _di Mozart al maggior livello possibile per i suoi ascoltatori, deve anche essere, fin dove sarà possibile, al di sopra non soltanto dei problemi tecnici, ma anche al di sopra del bisogno di speculazione, riflessione o di qualsiasi tipo di lavoro cerebrale. Non ci deve essere nessun calcolo di possibili effetti e un’idea aprioristica di interpretazione. La semplice e naturale bellezza della musica di Mozart che copre, nonostante la sua apparente semplicità (0 la chiameremo l’abile economia di un vero genio?), una così ampia gamma di emozioni e di espressione, deve essere ricreata nel più semplice e naturale dei modi, senza nessun altro aiuto o incentivo che il sentimento di ammirazione e, forse, di felicita che si sprigiona da una musica cosi bella. Io posso confessare che nei pochi lavori facenti parte del mio repertorio concertistico prima di queste incisioni, i lavori che avrei dovuto conoscere meglio di tutti gli altri, trovavo qualche difficoltà. Avendo perduto la completa freschezza dell’avvicinamento, non potevo ritornare immediatamente al piacere spontaneo e ispirato, alla indipendenza del sentimento, che furono un cosi grande aiuto in tutta la musica che io avevo letto e studiato cosi da prendere ben conoscenza di ogni dettaglio. Mozart non é tecnicamente un problema per dita sensitive, per dita abituate a trasferire nel suono gli impulsi dati dall’intimo sentire, dita che sappiano come cantare e respirare naturalmente in relazione con le tonalità pianistiche.

L’ascoltatore può decidere fino a che punto sono stato capace di realizzare le mie, o meglio, le intenzioni di Mozart. In ogni caso, spero che le mie incisioni porteranno ad altri un po’ di quel piacere spontaneo e di quella gioia profonda che diede a me la musica di Mozart. Tecnicamente, posso dire di non aver quasi toccato il pedale destro dato che questo espediente non era stato inventato o era stato appena adattato a certi pianoforti quando Mozart scrisse la sua musica; quindi mi e sembrato che egli avesse concepito la sua musica senza prendere in considerazione le possibilità degli effetti del nuovo pedale. Gli arpeggi e gli accordi sonori più pieni sono tenuti in sospeso con le dita, spesso finché non cambia l’armonia, essendo questo il significato originale per eseguire il legatissimo. Ma lasciatemi ripetere che questi dettagli tecnici non sono il risultato di speculazione o studi storici, sebbene alcuni esperti europei confermino il mio sospetto che Mozart usasse i pianoforti senza il pedale che noi oggi chiamiamo il pedale destro. Il mio desiderio di una estrema chiarezza, che sentivo essere necessaria per una corretta esecuzione di Mozart, fu la ragione decisiva per suonare senza pedale; o, per essere più preciso. per usare il pedale destro con parsimonia, senza produrre nessun effetto di pedale. Alle mie orecchie, anche una sola nota suona diversa quando é suonata con il pedale (con rilavanti smorzature), la risonanza di tutte le corde accordata con gli ipertoni o con i toni dello stesso accordo che da qualcosa di velato, qualcosa di romanticamente sovraccarico (non vorrei dire impuro) anche a una singola isolata nota. Un tono puro e chiaro non é secco, anche se può sembrare cosi sulle prime alle orecchie abituate all’abbondanza di pedale. E io sono personalmente convinto che la chiarezza di tono e la bellezza dell’espressione non sono incompatibili, proprio come la perfezione della forma classica non diminuisce il potere dei più profondi sentimenti di un compositore. L’astinenza di Giescking dall’uso del pedale era il controllo della dedica totale, dato che Gieseking era il maestro del pedale di questo secolo. Ne fece un uso incessante, come riportava Jan Holcman in Saturday Review, “fino a che egli riusciva a produrre suoni-effetti in una gamma sconosciuta prima… L’uso di una complicata pedaliera, controllato da un acuto udito e da una tecnica precisa, produceva notevoli effetti: il pedale veniva trasformato da un mediocre ritoccatore in un colorista pieno di abilita”. Come risultato, Gieseking divenne un insuperabile interprete di Debussy e di altri impressionisti francesi. Gieseking era nato a Lione, in Francia, nel 1895 da genitori tedeschi. Comincio a suonare il piano a quattro anni ma, secondo il desiderio di suo padre, fu fermamente impedito nella carriera di bambino prodigio. Infatti, il ragazzo non cominciò uno studio sistematico che nel 1911 quando entrò al Conservatorio Municipale di Hannover per studiare con Karl Leimer. I suoi studi finirono cinque anni dopo quando si unì all’esercito tedesco nella prima Guerra Mondiale; ma dal Conservatorio egli riceveva quel1’istruzione che doveva essere il fondamento della sua arte fenomenale. Con Leimer egli imparo la concentrazione e la distensione, e sviluppò la sua facilita fantastica per mandare a memoria le partiture. Egli sostenne sempre che queste conquiste gli risparmiavano tutto all’infuori di un minimo di pratica. “Feci tutta la mia pratica al C0nservatorio», disse una volta, “La cosa più difficile per imparare a suonare il piano é quella di allenare le dita a suonare uniformemente perché sono di lunghezza diversa. Ma una volta che ciò sia diventato automatico, il resto é una questione di cervello. La memoria é una cosa importante dopo che uno ha perfezionato la sua tecnica”. Tappe della sua prima carriera furono il debutto a Berlino nel 1920, la sua prima apparizione in Inghilterra nel 1923 e, dopo una tournée attraverso le capitali d’Europa, il suo debutto americano il 10 gennaio 1926. La sua carriera fu punteggiata da numerosissimi concerti e da molte incisioni, sebbene ci fosse un’interruzione nella serie delle sue apparizioni americane fra il 1938 e il 1953 come conseguenza della sua permanenza in Germania durante la seconda Guerra Mondiale. Finalmente quando ritorno con un recital alla Carnegie Hall il 22 aprile 1953 il pubblico che esauriva il teatro gli diede il benvenuto con una calda ovazione. Nel dicembre 1955 mentre viaggiava da Francoforte a Stoccarda, Gieseking rimase coinvolto in un incidente in cui perdette la vita sua moglie. Fu ricoverato e ritorno ad essere quello di prima e, nel giro di tre mesi, riprese le sue tournée e le incisioni di dischi. Oltre alla registrazione completa di Mozart, effettuò anche quella dei lavori per piano di Debussy e Ravel. Nell’autunno del 1956 s’imbarco in una serie ambiziosa di sedute di registrazione a Londra in cui doveva incidere musica di Schubert e tutte le sonate di Beethoven. In sei giorni e mezzo completò l’incisione di sei longplays; agli amici sembrò che fosse nelle migliori condizioni di salute e in gran forma artistica. Al settimo giorno delle registrazioni fu improvvisamente colpito da una infiammazione al pancreas. Mori nell’ospedale di Londra dopo avergli praticato un’operazione. Era il 26 Ottobre 1956, proprio dieci giorni prima del suo 61° compleanno.

Sonata N. 12 in Fa maggiore, K. 332
Di quella serie di cinque Sonate composta a Parigi nel 1778 questa e la quarta. Come le sorelle, ad eccezione della prima, cupa e tetra, anche la K. 332 e notevole per profondità e ricchezza lirica. E’ senza dubbio la più conosciuta e anche quella che sta al di sopra delle altre: la sua originalità non ha riscontro in nessuna sonata precedente. Pur tuttavia è la sonata mozartiana meno ambiziosa. Parlando dell’opera strumentale di Mozart, Schonberg disse una volta che essa dimostra nel suo autore la stessa capacità di tutti i compositori di opera buffa, cioè di aggirarsi in uno spazio piccolissimo. La Sonata N. 12 é la miglior dimostrazione di tale affermazione: tanto nel primo che nell’ultimo movimento la musica presenta dei costanti mutamenti di carattere, spesso senza alcun preavviso, ma sempre convincenti. Per il suo debutto la K. 332 si avvicina molto a un’altra grande sonata mozartiana, la K. 570: in entrambi i casi il tema iniziale é formato di due enunciazioni separate, la seconda delle quali molto interessata ad arginare la chiave principale alla quale resisterà fino ad esserne travolta. Il tema principale potrebbe essere considerato come una formula di accompagnamento che precede l’enunciazione della melodia di un cantante o di un violinista. E l’impatto che attendeva la seconda enunciazione non si fa attendere. Arriva sotto forma di un’improvvisa esplosione di Re minore che Mozart ha segnato forte perché non siano fraintese le sue intenzioni; effettivamente, tutto il passaggio che segue ha una furiosa insistenza che ricorda il primo Beethoven. Il tuono finalmente cessa e il secondo tema arriva a passo di danza ma senza grande rilevanza. E’ melodico e lirico quanto il primo, in forma di serenata e con accenni ai corni e ai legni dell’orchestra. Improvvisamente ci si sente presi e scaraventati a teatro nel bel mezzo di un entusiasmante finale di opera buffa. Il terzo tema non tarda ad apparire, lirico come gli altri due; poi, alcuni spavaldi trilli e sforzati, sempre. di carattere operistico, portano l’esposizione alla sua fine. Per iniziare lo sviluppo si ritorna a un tema lirico di minuetto più incantevole dei precedenti se ciò fosse possibile. Per finire lo stesso sviluppo si deve tornare al teatro d’opera. In questo movimento c’è la distruzione completa di ogni ‘ idea di forma-sonata perché s’impara invece che la forma e ciò che la musica fa. Lo sviluppo per esempio: può essere cominciato con l’elaborazione di ognuna delle sette idee che appartengono all’esposizione. Mozart invece le ignora tutte e ne aggiunge una nuova per continuare la transizione dal secondo al terzo tema. Volendo considerare K. 332 come un tutto esso costituisce la più sensazionale azione reciproca fra minore e maggiore. Succede sovente nel primo movimento, nella modulazione che conduce alla ripresa per esempio, e colora in tal modo tutto l’Adagio, un’anticipazione dello stile del Chopin più avanzato, che si può considerare un po’ come un’aria cantata da una delle più nobili e sofferte eroine operistiche mozartiane. In realtà si può definire più dignitoso che profondo. E’ svolto in forma sonata ma senza brano di sviluppo. Nell’ultimo movimento tanto il terzo tema quanto l’inizio dello sviluppo sono in minore. E lo sviluppo ha carattere torrenziale. Anche il cielo sembra schiarirsi quando interviene quel tema celestiale in Si bemolle. Tutto é impostato su mutamenti imprevedibili e innumerevoli, più che nell’Allegro iniziale. Notevole é il contrasto fra il primo soggetto in forma di toccata e le periodiche liriche fioriture. Dopo il secondo tema, che termina come un mormorio, Mozart conduce a una serie di accordi che risuonano alti in Re minore quando pero questo tema ritorna nella ripresa gli accordi si rompono molto presto. E’ evidente che Mozart voleva riservare il resto del tema come una quieta e poetica conclusione del1’intero movimento. Per questo la brillantezza, l’impetuosità, il liricismo e il potere drammatico sono tutti alleati in uno straordinario Allegro assai da considerasi quasi come un rondò presentato in forma sonata.

Otto variazioni in La maggiore  Su “Come un agnello”, K. 460
Per quanto riguarda le variazioni Mozart non si preoccupò di costruirvi qualcosa di veramente suo; infatti quelle maggiormente interessanti sono le variazioni composte su tema già bello di per sé: per le Variazioni K. 460 ne scielse uno di Sarti. Nei primi giorni dell’estate 1784 Paisiello e Sarti andarono Vienna. Mozart sembra aver conosciuto il primo e del secondo cosi scrisse a suo padre: “E’ un onest’uomo. Ho suonato a lungo per lui e ho composto delle variazioni su una sua aria che gli piacquero enormemente”, Negli che seguirono sembra che Sarti non rimanesse altrettanto soddisfatto davanti ai Quartetti per archi di Mozart 0 che lo si udì dire di certe progressioni che “potevano soltanto essere state scritte da un suonatore di pianoforte non conosceva la differenza fra il Re diesis e il Mi bemolle”. Le variazioni di cui Mozart parla nella sua lettera costituiscano il K. 460 e sono basate su un’aria tratta dall’opera di Sarti Fra i due litiganti. La stessa aria riappare nel secondo finale del Don Giovanni come uno dei motivi popolari del giorno. L’aria di Sarti é resa incantevole e vitale da Mozart nella azione N. 2, la ricopre con un brillante scroscio di semicrome nelle variazioni 1 e 3, la rimanda ai bassi nella quinta variazione e inizia la sesta come un esercizio di gala incrociando la mano sinistra sulla destra. Improvvisamente perde la pazienza: lascia il debole sentiero tracciato da Sarti e indulge in un’espansione tanto attesa in Mi maggiore: una cadenza. La musica muta da ¾ al tempo comune e quindi comincia uno straordinario movimento Allegro che quasi non rientra più nello schema della variazione: corre per diverse pagine con una sezione contrastante in La minore e si chiude con una cadenza da concerto. Si arriva cosi alla Variazione N. 8 che torna alla struttura delle sedici battute del tema; in realtà si tratta di ben tre battute in una sola: un Adagio in La maggiore, altro Adagio in La minore che trascende Sarti cosi come Beethoven faceva con Diabelli e un Allegro che si de con una breve fioritura di ottave segnate pesante.

Sonata N. 15 in Do maggiore, K. 545,
Pubblicata dopo la morte di Mozart, costituisce il pezzo forte di tutte le orchestre jazz. Se questa Piccola Sonata per principianti non portasse la data del 26 giugno 1788, si potrebbe supporre quando fu scritta. L’inizio del movimento in realtà è molto simile all’aria “Dalia sua pace”, composta da Mozart nell’aprile 1788 per la produzione viennese del Don Giovanni; il Rondò invece è in stretto contatto con il finale della Sinfonia K. 543, come dice Saint-Foix . Ma anche senza aiuti di questo genere può dirsi che la K. 545 è un lavoro del tardo Mozart perché mostra il suo autore alle prese con semplici risorse, ma ugualmente capace di scrivere musica simile a quella della sua più alta maturità. L’allegro con cui si apre la Sonata comincia con una frase amorevole, come il primo verso di un sonetto di Shakespeare e alla battuta 13 la mano sinistra prepara il terreno un altro breve volo di melodia. Per il resto si trovano soltanto scale e accordi spezzati finché Mozart non comincia la ripresa in sottodominante Fa maggiore. Grieg, che aggiunse una parte per un secondo piano a quattro sonate di Mozart, arrivato alle prese con la Sonata K. 545 cercò di trasformare l’intero movimento in una melodia continua. Nella stesura originale il primo e il secondo movimento occupavano quattro pagine ciascuno, mentre il terzo si svolgeva soltanto per due pagine. Si sa che il movimento e é sempre tecnicamente il più impegnativo; riducendolo a sole due pagine Mozart intendeva forse di non voler affaticare troppo i suoi allievi con brani rapidi a scapito dell’equilibrio. Con l’Andante in Sol maggiore l’aria e diversa. E’ una serenata in cui la melodia continua a fluire su un basso di Alberti che sosta soltanto 14 battute in tutto il movimento. In nessun’altra sonata c’è un uso di tale basso cosi consistente e con un effetto cosi perfetto. Le sezioni contrastanti in Re maggiore e in Sol minore hanno entrambe delle bellissime progressioni, specialmente in quei due momenti delle battute 20 e 41 quando i bassi si muovono in discesa attraverso la scala. Il Rondò finale é come una punizione inflitta a scuola su allievi dodicenni. Comunque e un delizioso e sottile movimento che Mozart stesso riscrisse in certi dettagli e incluse. più tardi nella sonata in Fa maggiore, K. 547a.

Dodici variazioni in Mi bemolle maggiore sull’aria “Je suis Lindor”, K. 354
Nel 1778, quando Mozart arrivo a Parigi, nella capitale francese dominavano due forme d’intrattenimento molto alla moda. Il pubblico, non completamente soddisfatto di ascoltare un solista unico, aveva introdotto la mania per i lavori in cui due o più virtuosi suonavano assieme. Mozart stesso cedette al gusto imperante e scrisse una Sinfonia concertante per quattro virtuosi che non fu mai eseguita. L’altra mania del pubblico parigino era quella per le variazioni e Mozart ancora una volta si adoperò per risultare gradito ai francesi scrivendo parecchi di questi lavori basandoli sempre su melodie francesi. Per questa serie di variazioni scelse una delle più popolari melodie del giorno, la serenata cantata dal Conte di Almaviva nel primo atto di ll Barbiere di Siviglia di Beaumarchais in cui si dichiara fedelmente a Rosina: “Io son Lindoro, la mia nascita é comune”. La musica era, ancora una volta, di Nicolas Dezede. Sarebbe difficile voler citare un altro lavoro per pianoforte di Mozart che abbia la stessa ricchezza strutturale e la stessa straordinaria tenera espressività. E nessuna che contenga tanti pezzi importanti, cioè, esercizi per entrambe le mani che suonano ottave spezzate o un sostenuto e rapido tremolo. Un tremolo che va dettagliatamente considerato. Nella Variazione N. 9 suona molto brillante nella mano destra, ma quando muove verso i bassi nella Variazione seguente l’effetto che ne deriva e cosi drammatico da essere immediatamente rimandati al primo movimento della Sonata in Si bemolle, Op. 22 di Beethoven. In altre parole, ciò che colpisce della variazione é il suo carattere piuttosto che le tecniche che dispiega. E anche altre variazioni sono effettivamente pezzi di carattere. La N. 7, per esempio, suona come accompagnamento ad una nobile processione mentre la N. 12 é un minuetto più intimo di quelli propri delle sinfonie e ben più maestoso di molti minuetti per pianoforte. Questo perché, come tanta altra musica di Mozart, viene dall’opera: é abbastanza facile vedere il palcoscenico e i momenti di danza. Altre sorprendenti variazioni sono la N. 4, dove c’è un esercizio unico d’incrocio della mano sinistra sulla destra, e la N. 8 in minore, delicatamente in contrasto con i larghi movimenti della N. 7 invece di produrre un clima espressivo come ci si aspetterebbe. La N. 8 é anche la Variazione più libera di tutte perché e l’unica che si allontana dalla linea del tema. La fine del lavoro é piuttosto sorprendente. Finisce con una breve cadenza segnata Caprice.

Fantasia in Do minore, K. 396
Scritta a Vienna nel 1782, è anche conosciuta come un Adagio. Per Mozart probabilmente doveva essere il primo movimento di una sonata per violino e pianoforte che segui pero la sorte di altri venti lavori, tutti iniziati nel 1782 e mai finiti. Per quanto se ne possa sapere, Mozart scrisse in realtà soltanto l’esposizione alla quale l’Abate Stadler aggiunse lo sviluppo e la ripresa trasformando anche tutto il pezzo in un brano per pianoforte solo. Si tratta di un’opera solida e imponente, scritta in una ben definita forma-sonata; il materiale ornamentale è subordinato a esigenze di un argomento musicale ben determinato. arricchita quale contropartita del primo movimento. L’inizio e cosi grande e cosi stravagante che forse non si potrebbe avere una miglior prova dello stile attuale di Mozart: arpeggi che si arrampicano in alto, audaci cromatismi che guidano a scontri sostenuti seguiti da un momento di silenzio per lasciare che la musica sprofondi nel Mi bemolle. Qualcosa di simile succede alla battuta 95 nel movimento lento del Concerto per pianoforte in Sol maggiore, K. 453; invece le scale ascendenti in terze che seguono non hanno riscontro in nessun’altra musica mozartiana. Saint Foix parla di Clementi a questo punto, ma c’è anche qualcosa della Sinfonia N. 7 di Beethoven in queste scale e anche un cenno di Strawinsky. Si arriva in tal modo allo sviluppo veramente potente e totalmente mozartiano, sebbene l’elaborazione generale possa apparire un tantino troppo patetica, il disegno degli accordi spezzati in seste produca una molesta densità e l’ultima pagina, con il suo ritmo incessante e punteggiato illanguidisca un po’ l’ispirazione. Come nella ripresa, essa é una fotografia sbiadita dell’esposizione. Ma comunque sarebbe un errore non includere la Fantasia in Do minore in una registrazione dei lavori pianistici mozartiani.

Sonata N. 10 in Do maggiore, K. 330
Era la preferita del pubblico parigino, anche nei confronti della Sonata in Re. Confrontandola con la sua immediata precedente in La minore, K. 310, la Sonata in Do maggiore é un lavoro senza ambizioni. Semmai un raffronto si può fare tra il movimento lento e le sue incursioni nella tonalita minore, La musica di K. 330 fluisce tranquillamente senza essere guidata da un potere inflessibile, la scrittura pianistica e più intima che orchestrale, dimostrazione evidente che non tutto Mozart e agitato o allegro. La mano sinistra, cosi eloquente in K. 310 esegue qui una singola melodia dall’inizio alla fine. Eppure è una sonata interessante, originale in molti aspetti del disegno e con movimento lento di bellezza profonda; e senza dubbio tra le migliori, non tanto perché ci siano delle vette formali ma piuttosto perché il germogliare e lo scorrere d’idee é ininterrotto, idee calde di chiarezza e incisività cristalline che evitano ogni e qualsiasi punto morto. L’Allegro moderato di apertura ha tre distinti temi che si susseguono senza rivalità o contrasti drammatici; alcune fresche frasi melodiche si estendono cosi liberamente e spontaneamente che anche la continuazione del secondo tema é come un verso separato con il suo proprio carattere indipendente. Segue quindi un sorprendente sviluppo dove non c’è riferimento a nulla che sia stato ascoltato nell’esposizione: c’è soltanto uno stretto legame con la cadenza conclusiva dell’esposizione che diventare il brano della coda. Totalmente inatteso e il modo in cui Mozart conclude questo movimento riportando la prima frase dello sviluppo su un pedale tonico. Nello scrivere il movimento lento Mozart pensava senza dubbio al suono prodotto da un insieme di strumenti a fiato; la stessa regola é applicabile anche all’Andante cantabile del K. 333 e all’Adagio del K. 570. Questa ispirazione la si può trovare in parte nel testo, in parte nella costruzione dei punti massimi e in parte in quei dettagli come la nota ripetuta nel basso (corno o fagotto) nella sezione in minore, anche il carattere generale della musica può far pensare agli strumenti ad arco data la sua eloquenza ma senza molta intensità nervosa. In effetti, c’è soltanto un tema in questo Andante e lo si scorge in diversi e contrastanti momenti. Come per il primo movimento la fine è inattesa e bella. Quando la prima parte del tema ha cantato per la seconda volta, ritorna la seconda completamente trasformata e in maggiore. Infatti il tema, in forma ternaria, ha due parti identiche in Fa maggiore tra le quali s’interpone una in Fa minore. Nessuna variazione o elaborazione quando ritorna la parte del tema in maggiore, il che conferisce al movimento una particolare efficacia; sembra che Mozart avesse pensato alla prima enunciazione della parte in maggiore di assoluta perfezione e qualsiasi deviazione avrebbe solo potuto sciuparla. L’Allegretto e un movimento di sonata sebbene il suo tema principale rassomigli piuttosto a quello di un Rondò, armonioso e autocontenuto. Si trova anche qui, come nel primo movimento, una ricchezza di diverse melodie. E’ lo sviluppo introduce altro materiale. Questa volta incomincia con una melodia in Sol maggiore che può quasi appartenere a Papageno. L’interesse del Sol maggiore, la dominante, sta nel fatto che sembra essere un’abitudine di Mozart per evitare questa relazione all’inizio dello sviluppo, a meno che, come nel presente caso, il materiale non sia completamente nuovo. Alla regola ci sono delle eccezioni, meno pero di quante se ne possa pensare.

Rondò in Re maggiore, K. 485
Scritto a Vienna il 10 gennaio 1786 per un suo allievo, trae il suo tema dal secondo soggetto del Quintetto in Re di Johann Christian Bach. Si differenzia dalle altre opere del genere nelle quali il tema principale appare sempre nella tonica (esempio tipico é il Rondò K. 309) perché proprio quel tema principale entra qui in tutte le chiavi possibili: Re, La, Sol, Re minore, Fa, Si bemolle. Addirittura può anche sembrare che non ci sia un tema principale dato che non ci sono episodi e assolutamente nessun altro tema. Il Rondò in Re maggiore e, in realtà, un movimento di sonata basato su un singolo tema e successivi segni alla fine dell’esposizione, uno sviluppo chiaramente definito e una ripresa che si guida da sola con un incurante abbandono. Ecco forse la ragione per la quale Mozart ha scelto un titolo cosi modesto. Il tema di K. 485 era già apparso in un altro lavoro di Mozart, il Quartetto in Sol minore per pianoforte, con un effetto talmente bello che si può credere di ritrovarlo qui quando c’è un pensiero che entra dopo un solenne passaggio, una frase che attraversa l’aria. La tecnica impiegata da Mozart e quella di Carl Philipp Emanuel Bach con i frammenti occasionali del tema che emergono inaspettatamente. Nel lavoro ci sono parecchi dettagli non ortodossi: le due scale cromatiche in terzine alle battute 110 e 123 ognuna delle quali si avvicina all’entrata del tema che segue in linea retta e senza nessuna mescolanza di scala diatonica e cromatica come si trova generalmente nelle brillanti transizioni mozartiane di questa specie. Un altro affascinante dettaglio é il basso a boogie-woogie , della fine che guarda al finale del Trio in Si bemolle, K. 502 nel quale Mozart offre tutto un festival di boogie.

Sonata N. 7 in Do maggiore, K. 309
Di questa sonata ne parlava Mozart in una lettera a suo’ padre dicendo di averla eseguita durante il concerto tenuto ad Augsbourg il 22 ottobre 1777. “Una sonata magnifica” egli aggiungeva, “con un rodò pieno di fuoco come conclusione”. Questa e la K. 311, entrambe del 1777, segnano una fase nuova nella scrittura pianistica di Mozart derivata forse da due importanti influssi: il suo incontro con Andreas Stein, lo Stradivarius dei costruttori di pianoforti e la conseguente esperienza acquisita nel suonare sui suoi strumenti; l’altro fu la sua visita a Mannheim e l’opportunita di ascoltare la famosa orchestra di quella città sotto la guida di Cannabich. Proprio per la figlia del direttore di Mannheim Mozart scrisse questa sonata e il completo ritratto del carattere della ragazza, secondo quanto disse lo stesso Mozart, é tutto contenuto nel movimento lento della K. 309. Sebbene si tratti di un lavoro relativamente giovanile la 1 Sonata in Do maggiore è messa fra le migliori di Mozart. L’influenza tratta dalla sua vita a Mannheim si vede subito ne1l’inizia1e “unisono orchestrale” e nel contrasto drammatico della frase di risposta. Non ha la perfezione della K. 330 ma il suo vigore contrasta piacevolmente con l’eleganza di quella. Specialmente nel primo movimento la mano sinistra ha un’importanza eccezionale. L’influenza di Mannheim su quest’opera non é cosi intensa Come potrebbe credersi, Abert sottolinea il fatto che Mozart non cerco di imitare il noto crescendo di Mannheim, un espediente che a volte eccitava a tal punto l’auditorio che molti ascoltatori balzavano in piedi e singhiozzavano senza ritegno; comunque a voler ben guardare nella prima pagina del K. 309 si trova un influsso orchestrale negli accordi ripetuti con tensione dalla mano sinistra, nei passaggi staccato che lentamente si arrampicano ed evocano lo smalto degli archi nel più espressivo impatto di ogni frase. Non mancano i momenti di affettazione come nel secondo tema del primo movimento; non cosi lo sviluppo pero dove l’unisono orchestrale riceve risposta da una nuova frase di tale romantica intensità che accende ogni cosa nel grande passaggio con accompagnamento di semicrome nella mano sinistra alle battute 73-78, Appena cominciata la ripresa la musica divampa ancora con una versione in Do maggiore del tema principale che può quasi dirsi appartenente al K. 457. Poi i ruoli delle mani si invertono. ll movimento lento in Fa maggiore comincia con una pagina, e forse più, di ripetizione con variazioni; ma il tema ha una tale delicatezza di ritmo e freschezza di contorni che non stanca mai. Non manca una contrastante sezione in Do maggiore più sostenuta del tema principale, più canzone che danza. Se questo Andante un poco adagio voleva essere il ritratto di M.lle Cannabich la ragazza doveva essere veramente incantevole nonostante le sue reazioni imprevedibili come lo attestano i temi del movimento, sempre variati con incessanti cambi di dinamica, parte integrante dello stile di Mannheim. L’ultimo movimento mantiene il livello degli altri ed e più grande del Rondò della Sonata in Re maggiore, K. 311; del resto questo sta ad anticipare, con le ampie transizioni e i passaggi di terzine il più ampio dei rondò di Mozart, quello del Concerto per pianoforte in Do maggiore, K. 503. Come nell’Andante che ritrae M.lle Cannabich, le figurazioni non sono mai convenzionali; sono parte dell’esuberanza generale che si esaurisce nei triplici passaggi e nei clamorosi tremoli, evocazione dell’orchestra di Mannheim. La miglior linea per un movimento cosi ampio e brillante sarebbe una completa enunciazione del tema principale piuttosto in basso nella tastiera. E questo é quanto Mozart elabora: un Allegretto grazioso che finisce in pianissimo.

Otto variazioni in Fa maggiore  sulla marcia dall’opera di Grétry  “Les mariages samnites”, K. 352
La chiave originale di questa marcia scritta da Grétty é il Mi maggiore ma Mozart la innalzo a quella di Fa, la stessa chiave su cui è composta la marcia dei sacerdoti in Il flauto magico. Pertanto il tema diventa nobile e il dettaglio più drammatico é una scala ascendente verso la fine. Mozart s’impadronisce di questa scala e nella Variazione N. 3 la porta oltre il suo vertice originale mentre nella N. 4 ascende cromaticamente in terze in continuo contrasto con i bassi. La Variazione N. 5, quella in minore, é come un pezzo di musica da camera per archi e ha una frase nella prima- meta che presagisce il Quintetto in—Sol minore, L’elaborazione di Mozart é seria dall’inizio alla fine, sia pure nella Variazione Allegro che non si chiude fioritamente. Forse è una semplice combinazione che le prime due battute della marcia di Grétry guidino naturalmente a reminiscenze delle Variazioni nella Sonata per pianoforte in La maggiore. In realtà la somiglianza é cosi forte da non poter ascoltare K. 352 senza pensare a K. 331: ottave spezzate, trilli, incroci di mani sono fondamento in entrambi i lavori.

Capriccio in Do maggiore, K. 395
Per Kochel questo Capriccio risale al luglio 1778. Saint-Foix conferma quando identifica la composizione con quel piccolo Preambulum che Mozart invio alla sorella Nannerl il 20·luglio di quell’anno in occasione del suo onomastico. C’è anche un’ulteriore riprova, sebbene molto debole: Mozart usa la parola caprice per la sezione di improvviso che comincia alla battuta 7, cosi come egli aveva fatto in un caso simile alla fine delle Variazioni sull’aria ]e suis Lindor datate quasi della stessa epoca. Comunque il K. 395 sembra differenziarsi da qualsiasi altra opera scritta da Mozart a Parigi in quell’estate del 1778. Per Abett dimostra l’influenza sia di johann Sebastian che di Carl Philipp Emanuel Bach. Del primo si trovano tracce nelle imitazioni della parte iniziale e in certi modelli figurativi dell’Allegro assai; Carl Philipp Emanuel si ritrova invece egli improvvisi mutamenti di umore, nel grande uso di accordi diminuiti e soprattutto nel disegno, Allegretto, Andantino, Capriccio (Allegro assai) con la sezione lenta nel mezzo disturbata da ventate di terze e ottave in tempo rapido. Se si vuol pensare a questo pezzo collocato in una data posteriore al 1778 ci si può avvalere della bella e insolita progressione delle battute 41-43. Lo stesso succede nel primo movimento della Sonata per violino del 1781 e cosi pure nella Fantasia in Do maggiore, K. 394 del 1782. Il Capriccio è un brano leggero, incorporeo, spumeggiante i cui illogici grotteschi solleticano piacevolmente l’orecchio senza chiedere troppo all’immaginazione.

Otto Minuetti con Trio, K. 315a
Composti a Salisburgo probabilmente all’inizio del 1779 non sono certo da mettersi accanto alle Danze tedesche ma contengono comunque alcune pagine di musica deliziosa. Entro i loro limiti ristretti mostrano una straordinaria varietà di stile, specialmente da un punto di vista ritmico. Mozart sembra piuttosto soddisfatto dei modelli all’inizio del primo Trio e del secondo Minuetto perché usa ciascuno di essi per ben due volte più avanti. Quello che rimane poco chiaro è se egli intendesse queste danze come musica per pianoforte o se il K. 315a non sia piuttosto un arrangiamento di una versione orchestrale andata perduta. A giudicare dagli schemi, dal carattere dei bassi e dalla povertà di certa scrittura, la seconda ipotesi sembrerebbe la più accettabile. Gli arrangiamenti per pianoforte della più recente musica orchestrale di danza erano molto popolari a quell’epoca, ma evidentemente dovevano essere di gran lunga più facili da suonare di un autentico lavoro per pianoforte. Lo si vede nello stesso arrangiamento di Mozart del K. 509 dove il trasferimento da uno strumento all’altro é un totale capolavoro ma dove ci sono anche alcuni momenti in cui la partitura orchestrale e “ridotta” a un minimo di note; Mozart deve aver pensato ai suoi allievi in questi punti i quali non sarebbero stati in grado di eseguire un arrangiamento più brillante. Pure convenendo che il K. 315a sia una “riduzione” per pianoforte come il K. 509, non è ancora evidente il periodo in cui fu scritto. Alfred Einstein punta sul 1779 0 il 1780. Ma é stato dimostrato, d’altra parte, che il Trio IV e quasi identico all’inizio dell’Andante del Concerto per pianoforte K. 414 conposto nel 1782. Il quarto Minuetto è interessante per le sue improvvise e secche frasi durante le quali l’esecutore potrebbe benissimo fare una pausa ogni due battute senza pregiudicare il senso musicale; seguono poi le linee sostenute del N. 5, le cui prime otto battute sono un tutto che non si può interrompere in alcun punto. Questo é anche l’unico Minuetto la cui prima nota abbia la lunghezza di un’intera battuta: l’effetto che ne deriva é di grande dignità e ampiezza. Da notare anche il piacevole slancio discendente che segue le due note lunghe dell’inizio. Nel N. 7 sono notevoli i ritmi delicatamente in conflitto nelle battute 3 e 4.

Movimento di Sonata in Si bemolle maggiore, K.400
Nessuna sonata per pianoforte incrementò la produzione mozartiana fra il 1778 e il 1784; il compositore ci lascio pero questo movimento in Si bemolle, Allegro, come perfetto esempio del suo primo stile viennese in cui vivacità e tenerezza si battono per conquistare ima supremazia che nessuna riuscirà ad avere. Gli studiosi di Mozart sostengono che questo movimento fu scritto nel 1781; a riprova di ciò si rifanno all’estate di quell’anno quando Mozart era ospite della famiglia Weber a Vienna. Trascorreva il tempo “oziando e divertendosi” come scrisse a suo padre in una lettera del 25 luglio e s’innamoro di entrambe le figlie dei Weber, una dopo l’altra. Sposò Costanza nel 1782 ma il suo primo amore era stata Sofia che gli rimase sempre devota e alla quale dobbiamo il più commovente racconto degli ultimi giorni di Mozart, racconto fatto a von Nissen in una lettera del 1825. L’amore che Mozart nutriva per entrambe le donne traspare anche dal K. 400: subito dopo l’inizio dello sviluppo ci sono due successive frasi di carattere completamente sentimentale; su una di queste Mozart ha scritto il nome di Sofia, sull’altra quello di Costanza, due nomi che ci riportano quindi all’estate del 1781. Ma, anche se non ci fosse questa prova, l’anno sarebbe sempre quello dato che il K. 400 ha parecchio in comune con molte delle sonate per violino composte in quel periodo. Addirittura molti passaggi di questo Movimento in Si bemolle appartengono più al violino che al pianoforte e, al tempo stesso, ci sono quelle espansioni di brillanti figurazioni che si richiamano direttamente ai concerti per pianoforte del 1784, ad esempio il K 450. La differenza fra Mozart e un compositore ordinario può essere rilevata proprio dal tema principale del K. 400. Nulla potrebbe essere più gaio e intimo che il suo primo inizio; si arriva pero poco avanti: alla quarta battuta interviene l’ombra del Sol minore e il tempo seguente riesce difficilmente a partire quando deve superare un violento accordo diminuito che gli sbarra la strada. Nello sviluppo comincia in Fa ma è trascinato verso il Sol minore, quasi una preparazione per quel passaggio che tanto rassomiglia al K. 379. Interviene anche un momento di sereno e di ardente bellezza: la chiusura del tema dell’esposizione, una meta mai raggiunta in questo modo in nessuna sonata precedente o a posteriore. Mozart non completò il movimento: arrivo un po’ oltre la fine dello sviluppo e l’Abate Massimiliano Stadler aggiunse poi la ripresa nel modo più convincente perché copiò la esposizione nota per nota senza aggiungere nulla di suo.

Movimento di Sonata (Allegro) e Minuetto (Allegretto) in Si bemolle maggiore, K. 498a (K. ANH. 136)
Questi due movimenti, primo e terzo di un’opera in quattro movimenti, furono pubblicati come parte di un curioso pour-pourri che comprendeva un arrangiamento dell’Andante di K. 450 e un finale basato sul materiale tratto da K. 450, da K. 456 e da K. 595, tre concerti che hanno in comune la chiave di Si bemolle, l’autore di questi arrangiamenti fu Auguste Eberhard Milller che nel 1804 divento cantore della Thomasschule e pubblico anche un libro sull’interpretazione dei concerti per pianoforte di Mozart. Davanti al K. 498a sorge il dubbio che Miller abbia messo mano anche nell’Allegro di apertura: assieme a parti magnifiche ci sono infatti certi passaggi che sembrano un po’ fuori luogo, come se fossero interpretazioni di Mozart piuttosto che cose autentiche. Rimane comunque un pezzo entusiasmante, notevole per quella sua concentrazione sincera nel tema principale e soprattutto nel gruppetto con cui il tema s’inizia. Per l’Allegro Mozart adotta lo stile più accademico senza perdere in spontaneità. Scrive una parte tematica per la mano sinistra e uno sviluppo che veramente porta avanti il materiale già enunciato nell’esposizione. La graziosa frase della mano destra che costituisce le prime due battute complete è presto ripresa dalla sinistra mentre nello sviluppo la stessa frase passa liberamente da una mano all’altra con accompagnamento di semicrome. Questo sviluppo ha una serietà e una solidità abbastanza insolite in Mozart: la prima meta della frase già citata, quattro note di uguale lunghezza, viene trattata in una sequenza ascendente della mano destra in un modo che ricorda molto da vicino Beethoven. Le sei note cromaticamente ascendenti che aprono il Minuetto sono identiche alla terza e alla quarta battuta del movimento corrispondente nel Quartetto d’archi in Sol maggiore. K. 387. Questo richiamo agli archi dimostra, con ulteriore evidenza, che il Movimento apparteneva probabilmente, come dice anche Einstein, alla serenata Eine kleine Nachtmusik. Il Minuetto é stato anche messo accanto al Quartetto in Re maggiore, K. 499, sia per la sua maestosità di movimento, sia perché la sua progressione diventa molto familiare subito dopo la doppia battuta. Il movimento lento sembra invece essere un’abbreviazione dell’Andante del Concerto in Si bemolle, K. 450.

Sei danze tedesche con Trio (Alternativo), K. 509
Quelle che si ascoltano in questa incisione non sono le originali Danze tedesche scritte a Praga nel 1787 bensì l’arrangiamento per pianoforte solo che Mozart fece tre anni dopo. In queste composizioni si rivela un po’ la passione di Mozart per la danza; lui stesso diceva di essere migliore come ballerino che come musicista. Michael Kelly sostiene che la sua specialità nella danza era il minuetto nel quale si esibiva quando partecipava, abbastanza spesso, alle feste mascherate. Nel dicembre 1787 Mozart fu nominato compositore da Camera della Corte imperiale e il suo compito principale sembra essere stato quello di scrivere musica per i balli mascherati che giocavano un ruolo importantissimo nella vita sociale viennese di quel periodo. E` cosi che Mozart ha lasciato circa una ventina di spartiti di danze scritti fra il 1788 e il 1791, lavori che, anche oggi, sono tra i meno conosciuti del musicista di Salisburgo. Ed é un peccato perché sono opere che dimostrano come poteva scrivere musica meravigliosamente varia pure entro il limitato raggio di emozione e una struttura formale ristretta. Le Danze tedesche del 1787 si pongono al di fuori della serie ufficiale delle composizioni del genere e, sotto un certo aspetto, sono anche completamente diverse da tutte le altre: si sviluppano senza interruzione dall’inizio alla fine. E’ interessante riportare le indicazioni che Mozart stesso scrisse sugli spartiti per una miglior esecuzione delle danze: “Nota: Ogni Teutsche (Danza tedesca) ha il suo Trio o, meglio, il suo Alternativo; dopo il Trio la Teutsche e ripetuta e quindi ritorna l’Alternativo poi si procede attraverso la transizione fino alla seguente Teutsche… Mozart”. Le transizioni sono una gioia di per se stesse, diverse come sono nella lunghezza e, ancor più, nel metodo e nel carattere. La N. 2 incomincia molto drammaticamente in minore; la N. 3 produce negli ascoltatori una delicata sorpresa essendo due battute più corta di quanto ci si aspetti; la N. 4 e all’opposto della N. 2 perché muove verso la tonalità minore prima della Danza che segue che s’inizia in maggiore; quindi la N. 5 si sviluppa dal precedente alternativo aggiungendo poi nuovi ed espressivi accenti. La stessa inventiva che serpeggia in ogni Danza la ritroviamo anche nel lavoro considerato come un tutto. Sebbene le Danze siano più ritmiche e gli Alternativi più intimi e delicati, ogni paio di Danze mostra un diverso contrasto fra energia e tenerezza. Dal quinto Alternativo in poi Mozart allunga le singole Danze da 16 a 24 battute facendo seguire una lunga coda che comincia come una fanfara e finisce, nella versione orchestrale, con una brillante ascesa di semicrome e un trillo nel piccolo. Nell’arrangiamento per pianoforte tutto ciò che Mozart ha lasciato è il silenzio e tre accordi conclusivi come coda. Con questo metodo Mozart voleva agevolare le esecuzioni dei dilettanti. In altri casi pero le revisioni avevano un’altra ragione; ad esempio, egli abbrevia subito la coda di due passaggi che non avrebbero avuto un sostanziale sviluppo nella versione per pianoforte mentre, per i1 loro colore e il loro ritmo lavoravano magnificamente nell’originale versione per orchestra. Ancora più sorprendenti sono le alterazioni che mantengono il senso drammatico della scrittura orchestrale pur evitando ogni difficoltà tecnica. Usando diversi espedienti Mozart riesce a suggerire ‘l’impulso ritmico originale sia pure sacrificando alcuni dei più bei dettagli. Per finire si può dire che la Danza tedesca e stata 1’immediata precorritrice del Valzer.

Walter Gieseking interpreta Mozart: Vol 2

Walter Gieseking: Sonate complete per piano di Mozart Volume 2

Scarica qui il secondo volume di Mozart interpretato da Walter Gieseking

Disco 1 lato A:
Sonata in re maggiore K.311
1 mov allegro con spirito
2 mov andante con espressione
3 mov rondò (allegro)
Fantasia e fuga in do maggiore K.394

Disco 1 lato B:
Sonata in do maggiore K.279
1 mov allegro
2 mov andante
3 mov allegro
8 variazioni in fa maggiore K.613

Disco 2 lato A:
Sonata in re maggiore K.284
1 mov allegro
2 mov rondò e polonaise (andante)
3 mov tema con variazioni
Fuga in sol minore K.401

Disco 2 lato B:
Sonata in fa maggiore K.533
1 allegro
2 andante
Rondò in fa maggiore K.494
Allegro di una sonata in sol minore K.312

Disco 3 lato A:
Sonata in si bemolle maggiore K.281
1 mov allegro
2 mov andante amoroso
3 mov rondò (allegro)
Nove variazioni in re maggiore K.573
Eine Kleine gigue in sol maggiore K.574

Disco 3 lato B:
Sonata in fa maggioreK.574
1 allegro
2 rondò
Dodici variazioni in si bemolle maggiore K.500
Rondò il la minore K.511
Sei variazioni in fa maggiore K.398

Disco 4 lato A:
Nove variazioni K.264
Sonata in sol maggiore K.283
1 mov allegro
2 mov andante
3 mov presto

Disco 4 lato B:
Sonata in re maggiore K.576
1 mov allegro
2 mov adagio
3 mov allegretto
dieci variazioni K.455

WALTER GIESEKING INTERPRETA MOZART

Seconda raccolta

63 lavori per pianoforte di Mozart suonati da Gieseking furono realizzati in origine su dischi Angel alla fine del 1954, in una sontuosa e limitata edizione da vendersi al prezzo complessivo di 75 dollari. Era la miglior commemorazione anticipata del 200° anniversario della nascita di Mozart che si sarebbe celebrato in tutto il mondo nel 1956. Sul Chicago Sunday Tribune del 9 gennaio 1955 Claudia Cassidy scriveva: “E’ una cosa meravigliosa avere immediatamente a portata di mano tutti i lavori per pianoforte di Mozart, l’importante e l’insignificante, il grande e il piccolo (per Mozart). E averli suonati da un maestro dei musicisti che sia anche un grande pianista non guasta assolutamente… L’album é ricco per un’esecuzione meravigliosa di grande virtuosism”. . Herbert Kupferberg affermava nel New York Herald Tribune: “Solo il più grande degli artisti può essere capace di contrapporsi alle dinamiche meravigliosamente proporzionate di Gieseking, alle sue delicate sfumature, alla sua abilita nel reggersi con solo il semplicissimo uso del pedale, al suo artificio che dissimula 1’arte… questi undici dischi contengono un po’ della più bella musica per pianoforte che mai sia stata scritta e suonata in modo completamente bello”. ll Boston Post definiva l’album “uno dei preminenti raggiungimenti dell’industria discografica”. Il Philadelphia Daily News acclamava “la perfetta unione: il tocco di Gieseking e la mobile grazia di Mozart”. Nel gennaio 1956 la pubblicazione a programma Carnegie Hall osservava: “Questo mese la parola d’ordine per la Angel Record e M come meraviglioso… I 63 lavori per pianoforte solo di Mozart interpretati da Walter Gieseking era nella lista del meglio dell’anno per ogni recensore che ricapitolasse il 1955 in disch”. Le sedute di registrazione erano cominciate nel luglio 1953 nello studio della EMI di Abbey Road, a St. ]ohn’s Wood, Londra (di recente reso immortale dai Beatles). Continuarono per tutta l’estate con alcune sedute conclusive nel dicembre seguente; alla fine risultarono 38 in totale della durata che andava dalle due alle tre ore ciascuna. Circa la sua esecuzione musicale Gieseking scrisse queste note per l’Edizione Speciale De Luxe: Può sembrare paradossale, ma la mia opinione sulla musica pianistica di Mozart é descritta meglio quando dico che é, al tempo stesso, la musica più facile e la più difficile da eseguire correttamente. Da un lato essa non ha bisogno di sforzi particolari. E’ completamente naturale e semplice suonare Mozart. D’altra parte potrebbe dirsi molto difficile per un musicista raggiungere quel grado in cui il comando tecnico, il sentimento musicale e tutte le facoltà mentali e fisiche siano cosi armoniosamente coordinati da far si che le dita obbediscano con il necessario grado di sicurezza agli impulsi dell’espressione suggerita dal corso naturale e dall’incantevole bellezza delle linee melodiche di Mozart. Naturalmente, quando dico “senza sforzi particolari” significa che la completa concentrazione sul compito di eseguire una composizione è dato per scontato come una condizione sine qua non, e che la massima attenzione sia concessa ad ogni dettaglio della tecnica, del valore musicale e del senso espressivo; questo in ogni momento e senza interruzione alcuna. Ma non tutti i compositori rendono molto facile procedere da questa concentrazione allo – posso dire benedetto e felice?- stato di comunione o identità o, almeno, alla illusione di identità fra compositore ed esecutore. Per Mozart la musica deve essere stata normale e istintivamente naturale come il respirare. La facilita e la perfezione del suo comporre collocano i suoi lavori al di sopra dell’umana debolezza, al di sopra della laboriosità terrena; li rendono tali che uno e obbligato a parlare di sovrumano, di metafisico o, semplicemente, come della bellezza della natura trasferita in suoni!

Ora, il musicista che cerca di ricreare le ispirazioni _di Mozart al maggior livello possibile per i suoi ascoltatori, deve anche essere, fin dove sarà possibile, al di sopra non soltanto dei problemi tecnici, ma anche al di sopra del bisogno di speculazione, riflessione o di qualsiasi tipo di lavoro cerebrale. Non ci deve essere nessun calcolo di possibili effetti e un’idea aprioristica di interpretazione. La semplice e naturale bellezza della musica di Mozart che copre, nonostante la sua apparente semplicità (0 la chiameremo l’abile economia di un vero genio?), una così ampia gamma di emozioni e di espressione, deve essere ricreata nel più semplice e naturale dei modi, senza nessun altro aiuto o incentivo che il sentimento di ammirazione e, forse, di felicita che si sprigiona da una musica cosi bella. Io posso confessare che nei pochi lavori facenti parte del mio repertorio concertistico prima di queste incisioni, i lavori che avrei dovuto conoscere meglio di tutti gli altri, trovavo qualche difficoltà. Avendo perduto la completa freschezza dell’avvicinamento, non potevo ritornare immediatamente al piacere spontaneo e ispirato, alla indipendenza del sentimento, che furono un cosi grande aiuto in tutta la musica che io avevo letto e studiato cosi da prendere ben conoscenza di ogni dettaglio. Mozart non é tecnicamente un problema per dita sensitive, per dita abituate a trasferire nel suono gli impulsi dati dall’intimo sentire, dita che sappiano come cantare e respirare naturalmente in relazione con le tonalità pianistiche.
L’ascoltatore può decidere fino a che punto sono stato capace di realizzare le mie, o meglio, le intenzioni di Mozart. In ogni caso, spero che le mie incisioni porteranno ad altri un po’ di quel piacere spontaneo e di quella gioia profonda che diede a me la musica di Mozart. Tecnicamente, posso dire di non aver quasi toccato il pedale destro dato che questo espediente non era stato inventato o era stato appena adattato a certi pianoforti quando Mozart scrisse la sua musica; quindi mi e sembrato che egli avesse concepito la sua musica senza prendere in considerazione le possibilità degli effetti del nuovo pedale. Gli arpeggi e gli accordi sonori più pieni sono tenuti in sospeso con le dita, spesso finché non cambia l’armonia, essendo questo il significato originale per eseguire il legatissimo. Ma lasciatemi ripetere che questi dettagli tecnici non sono il risultato di speculazione o studi storici, sebbene alcuni esperti europei confermino il mio sospetto che Mozart usasse i pianoforti senza il pedale che noi oggi chiamiamo il pedale destro. Il mio desiderio di una estrema chiarezza, che sentivo essere necessaria per una corretta esecuzione di Mozart, fu la ragione decisiva per suonare senza pedale; o, per essere più preciso. per usare il pedale destro con parsimonia, senza produrre nessun effetto di pedale. Alle mie orecchie, anche una sola nota suona diversa quando é suonata con il pedale (con rilavanti smorzature), la risonanza di tutte le corde accordata con gli ipertoni o con i toni dello stesso accordo che da qualcosa di velato, qualcosa di romanticamente sovraccarico (non vorrei dire impuro) anche a una singola isolata nota. Un tono puro e chiaro non é secco, anche se può sembrare cosi sulle prime alle orecchie abituate all’abbondanza di pedale. E io sono personalmente convinto che la chiarezza di tono e la bellezza dell’espressione non sono incompatibili, proprio come la perfezione della forma classica non diminuisce il potere dei più profondi sentimenti di un compositore. L’astinenza di Giescking dall’uso del pedale era il controllo della dedica totale, dato che Gieseking era il maestro del pedale di questo secolo. Ne fece un uso incessante, come riportava Jan Holcman in Saturday Review, “fino a che egli riusciva a produrre suoni-effetti in una gamma sconosciuta prima… L’uso di una complicata pedaliera, controllato da un acuto udito e da una tecnica precisa, produceva notevoli effetti: il pedale veniva trasformato da un mediocre ritoccatore in un colorista pieno di abilita’”. Come risultato, Gieseking divenne un insuperabile interprete di Debussy e di altri impressionisti francesi. Gieseking era nato a Lione, in Francia, nel 1895 da genitori tedeschi. Comincio a suonare il piano a quattro anni ma, secondo il desiderio di suo padre, fu fermamente impedito nella carriera di bambino prodigio. Infatti, il ragazzo non cominciò uno studio sistematico che nel 1911 quando entrò al Conservatorio Municipale di Hannover per studiare con Karl Leimer. I suoi studi finirono cinque anni dopo quando si unì all’esercito tedesco nella prima Guerra Mondiale; ma dal Conservatorio egli riceveva quel1’istruzione che doveva essere il fondamento della sua arte fenomenale. Con Leimer egli imparo la concentrazione e la distensione, e sviluppò la sua facilita fantastica per mandare a memoria le partiture. Egli sostenne sempre che queste conquiste gli risparmiavano tutto all’infuori di un minimo di pratica. “Feci tutta la mia pratica al C0nservatorio», disse una volta, “La cosa più difficile per imparare a suonare il piano é quella di allenare le dita a suonare uniformemente perché sono di lunghezza diversa. Ma una volta che ciò sia diventato automatico, il resto é una questione di cervello. La memoria é una cosa importante dopo che uno ha perfezionato la sua tecnica”. Tappe della sua prima carriera furono il debutto a Berlino nel 1920, la sua prima apparizione in Inghilterra nel 1923 e, dopo una tournée attraverso le capitali d’Europa, il suo debutto americano il 10 gennaio 1926. La sua carriera fu punteggiata da numerosissimi concerti e da molte incisioni, sebbene ci fosse un’interruzione nella serie delle sue apparizioni americane fra il 1938 e il 1953 come conseguenza della sua permanenza in Germania durante la seconda Guerra Mondiale. Finalmente quando ritorno con un recital alla Carnegie Hall il 22 aprile 1953 il pubblico che esauriva il teatro gli diede il benvenuto con una calda ovazione. Nel dicembre 1955 mentre viaggiava da Francoforte a Stoccarda, Gieseking rimase coinvolto in un incidente in cui perdette la vita sua moglie. Fu ricoverato e ritorno ad essere quello di prima e, nel giro di tre mesi, riprese le sue tournée e le incisioni di dischi. Oltre alla registrazione completa di Mozart, effettuò anche quella dei lavori per piano di Debussy e Ravel. Nell’autunno del 1956 s’imbarco in una serie ambiziosa di sedute di registrazione a Londra in cui doveva incidere musica di Schubert e tutte le sonate di Beethoven. In sei giorni e mezzo completò l’incisione di sei longplays; agli amici sembrò che fosse nelle migliori condizioni di salute e in gran forma artistica. Al settimo giorno delle registrazioni fu improvvisamente colpito da una infiammazione al pancreas. Mori nell’ospedale di Londra dopo avergli praticato un’operazione. Era il 26 Ottobre 1956, proprio dieci giorni prima del suo 61° compleanno.

Sonata N. 1 in Do maggiore, K. 279
Fa parte di un gruppo di cinque. sonate composte da Mozart alla fine del 1774: egli doveva partire per Monaco dove si rappresentava La Finta Giardiniera e scrisse questi lavori per eseguirli durante la sua visita. Alle cinque sonate ne aggiunse poi una sesta, la K. 284, a Monaco stessa, una delle sue opere più potenti in uno stile veramente pianistico. Per quanto riguarda le cinque sonate di Salisburgo e sempre stato difficile stabilire per quale strumento siano state composte. Saint-Foix e Wyzewa, i due grandi studiosi mozartiani, propendono per il clavicembalo portando ad esempio il primo movimento della Sonata in Do maggiore con quelle dozzine di ornamentazioni cosi caratteristiche: ma altrettanto bene questo tempo si può applicare al pianoforte. Inoltre basta entrare nel movimento lento della stessa opera per capire che sarebbe assurdo volerlo ritenere tipicamente clavicembalistico: Mozart ha segnato più di un’ottantina di cambi nella dinamica del brano in sole settantaquattro battute, con un rapido alternarsi tra forte e piano. Si è anche fatta l’ipotesi che siano state scritte per il clavicordio, ipotesi non del tutto errata dato che Mozart intendeva suonarle su tutti e tre gli strumenti. L’Allegro iniziale della K. 279 si apre con una successione di modelli che sono semplici formule. Prima di lasciare la tonalità di Do maggiore si ascoltano quattro motivi: le loro indicazioni dinamiche alternate prevedono il forte per i passaggi di scrittura galante e il piano per i brani melodici con accompagnamento. ll momento più interessante è la ripresa in cui la continuazione del primo tema e più eloquente di prima pur essendo più corta dato che uno o due dei modelli precedenti sono stati omessi; questi ultimi invece ritornano dopo il secondo tema. Questa idea di adattare i modelli insieme in un diverso ordine doveva dominare la fantasia di Mozart quando scrisse la K. 279 poiché lo stesso procedimento appare anche nell` Andante, un movimento in cui dominano quei cambi di forte e piano di cui già si e detto. Si arriva quindi al migliore dei tre movimenti, l’Allegro finale che, per la sua freschezza, maestria e inventiva, può sostenere benissimo il confronto con qualsiasi finale haydniano di questo periodo.

Otto variazioni in Fa maggiore sulla canzone “Ein Weib ist das Herrlichste Ding», K.613
Furono composte nel marzo 1791 sul tema di una canzone tratta dalla seconda parte dell’operetta di Benedict Schack e Franz Gerl Der dumme Gartner oder Die beiden Antons prodotta da Schikaneder a Vienna nel 1789 con grande successo. La canzone completa e ristampata nella terza edizione Kochel non come semplice curiosità ma per spiegare invece una strana caratteristica applicata da Mozart alla sua elaborazione: infatti le prime otto battute del tema rimangono, in un certo senso, separate dal resto. Nella variazione N. 1, per esempio, tali battute non sono assolutamente variate, nella N. 6 intervengono in maggiore pur essendo la continuazione in minore, nella N. 7 sono nello stesso tempo che prevale dall‘inizio del pezzo mentre il resto della variazione è segnato Adagio; infine nella variazione N. 9 sono lasciate da parte fino ad arrivare alla quasi-fantasia della fine. La predominanza delle prime otto battute va ben oltre; tanto che Mozart non farà intervenire nessun modello distintivo di ogni nuova variazione finché le otto battute incombono. Il fatto é che queste prime otto battute sembrano essere un’introduzione strumentale alla canzone; e come tali deve averle concepite Mozart. Non ci sono trasformazioni del tema: lo si trova sempre alla superficie e facilmente individuabile. Ma c’è anche una straordinaria varietà. Basta prendere un dettaglio. La cadenza a cui si arriva nella terza sezione del tema. Si tratta semplicemente di un abbellimento del tema; ma nella variazione N. 5 ha il colore di un passaggio in un concerto per pianoforte, nella variazione N. 6 porta direttamente alla canzone vera e propria e nella variazione N. 8 prende addirittura tre linee di musica invece di una sola battuta. Le variazioni dall’1 al 5 vanno da un movimento di crome, nella prima e seconda, alle terzine della terza e alle semicrome della quarta e quinta. Le prime otto battute hanno impressionato anche Saint-Foix tanto da confrontarle con l’accompagnamento del Trio dei tre ragazzi in ll Flauto magico e i due momenti risultano molto simili. Si é già detto che l’Allegro che costituisce l’ultima variazione non comincia con un’introduzione. Si ricorre ad una specie di fantasia che scorre per un tempo considerevole nella chiave di Re bemolle, riprende l’introduzione e la combina con la prima frase della canzone. Si chiude quindi con quattro battute in piano di meravigliosa semplicità.

Sonata N. 9 in Re, maggiore, K. 311 S
Scritta a Monaco. e a Mannheim ._verso la fine del 1777, la Sonata in Re maggiore perde valore nel confronto con quella di Diirnitz composta nella stessa tonalità. Soltanto del movimento lento non si possono fare appunti, mentre il resto mostra come la personalità dell’autore trascenda le mode galanti dell`epoca: si trovano quindi concatenamenti di sezioni e d’idee in momenti in cui altri compositori si sarebbero accontentati di scrivere banali formule di cadenze. Per Abert e di notevole interesse, nel raffronto con le sonate precedenti di Mozart, l’elaborazione molto curata delle parti più intime, il testo sostanziale, la melodia dagli echi violinistici, lo staccato nei bassi, la rapida interruzione delle seste, settime e ottave. In altre parole. Mozart vuole evocare l’impressione del- l’orchestra di Mannheim. Nell’Allegro iniziale il primo tema é brillante, il secondo é cromatico e sinuoso. Nella ripresa ritornano in ordine invertito. Come parte del con spirito forse, Mozart fa risuonare una frase piano in forte. Alla fine dell’esposizione si può notare un nuovo motivo discendente per intervalli di seste, un elemento supplementare che serve ad alimentare lo sviluppo. Da rilevare poi nella transizione sviluppo-ricapitolazione una novità non troppo convincente: dopo aver fatto uso del motivo discendente di cui si e detto, Mozart riporta, questa volta in Sol maggiore, il disegno melodico del secondo gruppo senza aspettare invece di essere ancora in Re maggiore per attaccare la riesposizione con il primo tema; questi riappare cosi soltanto alla fine del movimento. Nemmeno l’abilita di Mozart riesce a dissimulare il lato un po’ superficiale dei quattro accordi che servono a modulare dal Si minore al Sol maggiore. L`Andante con espressione ha il ritmo di un pezzo di musica per orchestra e ricorda più la battuta del direttore che la libertà del solista. A volte è evidente il colorito orchestrale e in due momenti si ascolta anche il trillo del violino solista sulla quieta entrata del tema principale. Come per la K. 279, il finale é di gran lunga il movimento migliore; e un largo Rondò, maestralmente costruito nella sua drammatica impalcatura, con silenzi tesi e contrasti parlati, in atmosfera simile, di unisono e di armonia, di contrappunto e di semicrone libere, di legato e staccato, di registri bassi e alti, di linee gentili e di passaggi scoscesi, di brillanti tutti e di intimi passaggi solistici. La sua completezza lo ha fatto definire “i1 primo dei maturi rondò di Mozart» e senza dubbio é magnifico. Inoltre la sua collaborazione alla fine della Sonata è un segno distintivo dal grande padre Haydn.

Fantasia e fuga in Do maggiore, K. 394
Mozart ebbe modo di conoscere i lavori di Bach nel 1782 aiutato dal Barone von Swieten. L’impressione che ne ricevette fu comparata a più riprese con quella crisi che s’impossesso di Diirer allorché vide i capolavori di Mantegna in Italia. In una lettera datata 20 aprile 1782 Mozart diceva di aver composto una Fuga, appunto la K. 394, e di averla scritta mentre pensava al Preludio, cioè alla Fantasia, il cui disegno é fra i suoi più grandi. Il breve Adagio iniziale prelude gia alla Fantasia e Sonata in Do minore del 1784. Dopo 1’introduzione ci si aspetta che incominci la Fuga; invece Mozart si dilunga con un Andante di straordinaria potenza. L’intensità é mantenuta in un passaggio con ottave martellate in una mano e scale alterne nell’altra.

Sonata N. 6 in Re maggiore, K. 284
Nel 1777 Mozart scriveva a suo padre informandolo di aver eseguito tutte le sonate dal K. 279 al K. 284 e che quest’ultima era risultata magnifica sul pianoforte Stein di cui disponeva. ll significato di queste osservazioni e abbastanza chiaro se si pensa che la Sonata in Re é più rapida delle altre e, per ottenere i suoi effetti, dipende più di qualsiasi altra dalla brillantezza e dalla bellezza del tono. Ancora di più essa avrebbe guadagnato se fosse stata eseguita su uno strumento come quelli che possediamo oggi. La Sonata N. 6 deve la sua diversità al fatto di essere stata composta in nuovi ambienti e sotto l’urto di nuove influenze. Prima di andare a Monaco nel 1774 Mozart aveva ultimato le prime cinque, sonate e questa sesta, in Re maggiore, la porto a termine nella bavarese. La caratteristica più evidente rivela che l’autore, durante la sua permanenza a Monaco, aveva ascoltato o, almeno, letto qualcuna delle più recenti sonate della Scuola Francese. Lo si deduce dall’intenso virtuosismo e dalla successione dei movimenti adottata: un Allegro seguito da un movimento lento che é un Rondeau en polonaise e per finite, invece di un Rondo, come nella K. 281, 0 di un movimento di sonata, come nelle altre quattro di questa serie, si ha un tema con dodici variazioni. L’influsso di von Diirnitz, al quale la Sonata e dedicata, spinse Mozart a rifarsi nei tre movimenti dell’opera alla musica per il teatro, per la danza e concertistica. Cosi, ad esempio, nel primo movimento ci si riporta all’ouverture operistica con le misure iniziali all` unisono seguite da note ripetute nei bassi. Un passaggio calmo in intervalli di seconda, cromatico e contrappuntistico, evoca il gruppo dei legni fra gli strumenti orchestrali e presenta per il pianista di oggi maggiori difficoltà che non l’incrocio delle mani. Per quanto riguarda l’influenza francese in questa sonata, Wyzewa e Saint·Foix sottolineano il fatto che la polonaise era diventata parte integrante della musica francese dell’epoca in omaggio alla moglie polacca di Luigi XV, Maria Leczinska; inoltre si ricorda che anche altri compositori quali Eckard e Honnauer proprio a Parigi finivano le loro sonate con un tema e variazioni. Eppure, nonostante lo splendore e l’esteriorità anticonvenzionale della K. 284 dico di un evidente influsso francese, ci sono alcuni momenti in cui si ascolta soltanto la voce di Mozart: nello sviluppo del primo movimento per esempio; cosi appassionato dopo l’esposizione. Un altro é quella sequenza di quattro variazioni del finale contrassegnate con i numeri dal 7 al 10. Le variazioni centrali sono quasi sempre di miglior qualità dato che gli esercizi preliminari sono in genere eccessivi e non si é ancora arrivati alla trionfante conclusione. Anche le variazioni 4 e 5 conferiscono importanza al movimento: quella con la sua comica profondati del La nei bassi e questa con il suo delicato modello di note ripetute. interessante é anche l’elaborazione di due dettagli del tema: il passaggio cromatico all’inizio della seconda meta e soprattutto il silenzio che segue immediatamente. Ma soltanto dopo la Variazione N. 7 l’ispirazione raggiunge le vette più alte, senza contare il suo valore storico dato che fu la prima scritta da Mozart in minore, altro carattere dell’influsso francese. La serie N. 8-10 forma una specie di crescendo dell’eccitazione: prima le due mani si affrontano in un quieto e disciplinato dialogo; quindi, nella variazione N. 9 si uniscono nel contrappunto e nella N. 10 in un’esultante gioia. Fuga in Sol minore, K. 401 Nel 1781, dopo aver ascoltato le opere del grande Bach, Mozart si buttò a comporre una serie interminabile di Fughe; in realtà l‘unica che riuscii a portare a termine fu la Suite in Do maggiore unitamente alla Fantasia in Do maggiore, A prescindere da questo anche la Fuga in Sol minore fu portata molto avanti, tanto che soltanto le ultime otto battute sono dovute all’Abate Stadler. L’opera non e soltanto un arido esercizio o una pedissequa imitazione di Bach; ci può anche essere un accenno alle forme del primo XVlI° secolo perché certi passaggi hanno una particolare e austera dignità di espressione. Ma la Fuga contiene anche, e soprattutto, molte progressioni sottili e profondamente sentite che creano uno dei migliori esempi del Mozart in Sol minore. La Fuga K. 401 fu scritta per due mani ma la sua popolarità attuale è basata soltanto su esecuzioni a quattro mani.

Sonata N. 18 in Fa maggiore, K. 533
Composta nel gennaio 1788, la. Sonata K. 533 non ha riscontro in nessun altro lavoro del genere. Il contrappunto, libero e naturale nelle K. 570 e K. 576 é qui la ragione d’essere e le drastiche progressioni della parte centrale dell’Andante non hanno parallelo in nessun’altra opera di Mozart, nemmeno nelle fantasie. L’Allegro, che si espande in Fa maggiore, é appena oscurato dall’ombra del Re minore, la stessa ombra che attraversa tutti i temi della composizione, tre in tutto che, stranamente, s’iniziano senza accompagnamento. Tutti e tre potrebbero benissimo trovare una collocazione strumentale: il primo nell’oboe, il secondo nel violino e il terzo, che nasce molto liberamente dai bassi, suggerisce un passaggio a pedale nell’organo. Alla fine dell’esposizione il contrappunto offre un colore concertistico e rapidi arpeggi corrono verso la doppia battuta. A questo punto la cosa più naturale é che Mozart continuasse questi arpeggi nello sviluppo poiché procedere a una diretta congiunzione fra le due sezioni é una delle sue procedure favorite; sarebbe più indicato che ritornare immediatamente ai primi eventi dell’esposizione. Mozart sorprende tutti procedendo per entrambe le strade. Si sente il tema principale in Do minore e dietro gli arpeggi turbinosi mentre la musica guida attraverso il Do e il Sol minore fino al Re minore. Gli arpeggi portano ad un’elaborazione drammatica del secondo tema e scoppiando di nuovo proprio prima della ripresa. Sulle prime il quieto ritorno del tema principale sembra create un momento banale ma l’impressione e spazzata dal fuoco impetuoso del Re bemolle. Questo stupendo momento, seguito da altre bellissime sequenze, riporta la musica al Fa; un po’ più avanti segue una combinazione del primo e del terzo tema e quindi entrano alcune progressioni nuove e ispirate proprio prima che le scale e gli arpeggi completino l’intero movimento. Diversa e più intensa e la qualità emotiva che corre attraverso tutto l’Andante: Mozart è meno intento a collaudare il suo materiale al fuoco dell’elaborazione Contrappuntistica ma si ritrovano tracce di quello spirito che ha lavorato cosi alacremente nell’Allegro. Lo sviluppo comincia cosi con una combinazione del primo motivo del tema principale e di una figurazione ternaria che deriva nota per nota dal secondo tema. Ognuno di questi elementi gioca ora un suo ruolo in una partita tragica. Ed e solo quando l’intensità di espressione ha raggiunto i suoi limiti estremi che Mozart interviene con quel passaggio unico del quale si e già parlato, quel passaggio già intravisto nella quinta battuta del movimento.

Rondo in Fa maggiore, K. 494
Sebbene composto nel giugno 1786, il Rondò in Fa maggiore apparve per la prima volta nel 1790 quale terzo movimento di una sonata preceduto dall’Allegro e dall’Andante che formano oggi la K. 533. , Suonando infatti il K. 494 subito dopo gli altri due movimenti appare chiaro che, per le prime tre pagine la mano destra e confinata quasi interamente nella più alta ottava e mezzo della tastiera mozartiana e lo stesso basso si avvicina molto alle alte vette con quel suo Re ottavo basso verso la fine della seconda pagina, di notevole effetto. Segue un bellissimo episodio in Fa minore, di stile contrappuntistico, che evoca il suono degli strumenti a fiato. Nella versione originale c’era soltanto un altro momento di drammatico interesse, quella apparizione finale del tema principale nel più profondo della zona bassa. Nella versione definitiva Mozart introdusse anche un’accesa cadenza di ventisette battute terminandola con un trillo, un’aggiunta che aumento la statura musicale del Rondò.

Allegro di una sonata in Sol minore, K. 312
Nel 1836 Mendelssohn si fidanzo con M.lle jeanrenaud e, quale regalo, gli fu recapitato, non si sa bene da chi, l’autografo del Movimento in Sol minore. Non e chiaro se il brano appartenga al primo o al più tardo Mozart. Saint-Foix propende per il 1774 come data di composizione: come il primo movimento della K. 280, anche questo Allegro presenta dei lunghi passaggi di quasi accompagnamento e un breve terzo soggetto che costituisce la cadenza finale prima della doppia battuta; ne si deve dimenticare che la ripresa non é altro che una foto dell’esposizione, una caratteristica ulteriore dei movimenti mozartiani in forma sonata durante il periodo 1774-75. Einstein stesso era d’accordo con Saint-Foix nella terza edizione Kiichel; in seguito però cambio qualcosa del suo giudizio. Le ragioni a sostegno della tesi che questo Allegro appartenga all’ultimo Mozart vanno ricercate nella scrittura e nel fraseggio, nel disegno della linea che ricorda da vicino l’Allegro iniziale della Sonata in Si bemolle K. 570. Si può pero obiettare che il K. 312 non contiene modulazioni eccitanti quanto quelle di K. 570, il che farebbe pensare a una data anteriore per il primo. D’altra parte i lavori di Mozart in Minore sono spesso meno interessanti, sotto questo profilo, di quelli in maggiore pur appartenendo magari alla stessa epoca. Ancora una caratteristica. Si tratta di un procedimento che non si riscontra nelle sonate del 1774 ma appare in- vece nel K. 312: e una modulazione che s’inizia proprio prima della fine dell’esposizione e continua nello sviluppo come se la doppia sbarra non esistesse. Saint-Foix interviene sottolineando che un tale procedimento è comune a tutti i primi movimenti mozartiani in Sol minore. Ma una tecnica simile si trova anche nel K. 570, pur tenendo presente che il suo uso e qui più sottile e più brusco al tempo stesso. La prova più evidente comunque che il K. 312 dovrebbe essere enumerato abbastanza vicino al K. 570 é quell’impressione di completa libertà che offre: basta pensare allo sviluppo del primo movimento di K. 280, cosi rigido e scomodo e soffermarsi invece su questo di K. 312 che emana inevitabilmente da un modello all’altro e ci riporta alla definizione che Nietzsche dava del grande capolavoro in cui ogni cosa avrebbe potuto essere diversa.

Sonata N. 3 in Si bemolle maggiore, K. 281
Bisognerebbe essere in stretto contatto con la letteratura pianistica degli anni 1760-70 per essere capaci di individuare le innumerevoli influenze che ricorrono nelle prime sonate di Mozart. Si suppone che siano state scritte durante la seconda meta del 1774 ma i loro stili sono troppo diversi da una sonata all‘altra e perfino da un movimento all’altro. L’influsso di Haydn nella K. 281 é comunque evidente, tanto che il lavoro potrebbe spiegarsi come un finale di Mozart che segue due movimenti di Haydn. La stessa facilita nell’iso1are`l’influsso di Haydn si può applicare al K. 280. I movimenti lenti delle due opere hanno lo stesso disegno. modellato in entrambi i casi sull`Adagi0 della Sonata N. 20 in Fa di Haydn. Non bisogna dimenticare pero che il Mozart che si ispirava al vecchio Haydn è quello nato ventisette anni prima della morte di Handel e ha quindi una profonda conoscenza del contrappunto barocco. Era in grado pertanto di combinare, anche nelle sonate più lunghe, l’azione delle mani sulla tastiera in modo piuttosto diverso da quello strettamente contrappuntistico. Tornando alla Sonata K. 281 si può dire che contenga quasi tutte le stesse annotazioni proprie della N. 20 di Haydn; al tempo stesso il suo vivace accompagnamento e le formule brillanti ricordano piuttosto l’Allegro iniziale della K. 279, un movimento di stile viennese e italiano dove non c’è nessun alito haydniano. Di molto superiore e l’inizio dell’Andante amoroso che Mozart stesso ha segnato con un crescendo quando si muove verso il forte e con un decrescendo nel ritornare al piano. Ma soltanto nel Rondò finale si sente la voce di Mozart dall’inizio alla fine. E’ un movimento assai nobile che preannuncia gli altri Rondò che verranno. La sua progressione é quella della gavotta e ci trasporta nel mondo concertistico sia per la struttura, sia per i dettagli di scrittura come il lungo trillo della mano destra.

Nove variazioni in Re maggiore su un Minuetto di Duport, K. 573
Il tema di queste variazioni, composte nel maggio 1789, é basato su una formula assai consumata da Mozart stesso messa in poesia in “Deh, vieni, non tardar.” Purtroppo c’era il debole Minuetto di Duport ad arrestare la fantasia inventiva dell’autore di queste variazioni; in effetti, soltanto lo stile pianistico, una o due variazioni e la coda suggeriscono la mano dell’ultimo Mozart in K. 573. Cosi come nel primo movimento della Sonata in Re maggiore K.576 molte pagine riposano sulla chiave di Sol. La variazione di maggior interesse é la n. 5 che, per un attimo, ci riporta all’Adagio di K. 570; la N. 9, un Allegro in 2/4, suona come l’inizio del brillante finale di un concerto per pianoforte di Mozart. Segue infine un’eccitante cadenza, un assaggio di che cosa avrebbe potuto essere il finale se fosse stato completato. Ecco perché si dice che il meglio di K. 573 sta proprio alla fine.

Eine Kleine Gigue in Sol maggiore, K. 574
Si tratta soltanto di una pagina; ma é comunque un capolavoro in cui s’intrecciano molti profondi pensieri. Scritta il 16 maggio 1789 per 1’album di famiglia di un organista di Lipsia, può in un certo senso essere paragonata al Klavierstiick beethoveniano, anch’esso scritto nel pomeriggio del 14 agosto 1818. Pur essendo un tributo a Bach, di questi la Giga ci ricorda ben poco se non fosse per il suo stile contrappuntistico. D’altra parte non e nemmeno mozartiana per eccellenza. In realtà sembra stare da sola, come un fenomeno di slanciate linee, di ritmi sinuosi e di audaci armonie. Verso la fine delle diverse parti si ascoltano pedali molto ostinati al colmo della voce; un’altra drammatica figura é il fraseggio con cui Mozart unisce certi punti nella melodia con linee cromatiche discendenti, un procedimento che si fa più insistente durante la seconda meta.

Sonata N. 19 in Fa maggiore, K. 547 /a
Non si può dire che i vari movimenti di questa sonata siano originali: l’Allegro deriva dalla Sonatina in Fa maggiore per violino e pianoforte, K. 547; l’Allegretto da un’altra sonata per pianoforte, la K. 545. Perché Mozart riscrivesse il primo movimento della sonatina per pianoforte e violino adattandola al solo strumento a tastiera é presto detto il violino contribuiva soltanto in minima parte nella versione originale. Quello che invece molti studiosi si rifiutano di ammettere é che egli tornasse per comporre il secondo movimento ad un Allegretto già utilizzato in un’altra sonata per piano solo; insistono sul fatto che la versione riveduta di questo Allegretto deve essere attribuita ad altri. Ma fermiamoci per un momento a confrontare le ultime quindici battute dell’Allegrett0 di K. 545 con lo stesso passaggio in K. 547a. In quest’ultimo lavoro si troverà una linea melodica più sottile, una più variata spaziatura delle due mani e una fine più delicata e consistente. Questi sono progressi che soltanto Mozart poteva acquistare con il tempo. Dall’altro lato si nota nell’Allegro iniziale come Mozart abbia saputo trasportare magnificamente un pezzo di musica da un mezzo all’altro. Non dimentichiamo che nella Sonatina egli poteva avvalersi dell’espediente di affidare la stessa frase lirica prima al violino e quindi al pianoforte evitando in tal modo qualsiasi scivolata verso la monotonia; nella K. 547a non ha questa risorsa. Eppure la versione per piano solo ci guadagna nel raffronto. Per esempio, basandosi sul contrasto della qualità tonale, trasferisce la frase da una mano all’altra; oppure introduce qualche impercettibile cambio nel testo o magari aumenta la ripetizione aggiungendo una linea di contrappunto come all’inizio dello sviluppo. Naturalmente la musica é già di per se deliziosa. Proprio grazie a questi diversi caratteri, alla combinazione fra espressione lirica e drammatica del più alto grado con una relativa facilita di esecuzione, l’Allegro iniziale é fra i movimenti preferiti delle opere di Mozart.

Dodici variazioni su un Allegretto in Si bemolle maggiore, K. 500.
Sembra essere uno di quei lavori in cui elementi insoliti s’incontrano ed esercitano per un momento un’azione reciproca producendo un sapore del tutto nuovo. L’attenzione di Abert era presa da certe tecniche nuove che sembravano derivare da Clementi: la figurazione terzinata nelle variazioni N. 1 e N. 2, ad esempio; il modello del basso nella variazione n. 4, più ancora, la successione degli accordi collocati nel registro alto della variazione N. 8. Questa derivazione può anche sorprendere se si pensa alle sprezzanti critiche mosse da Mozart a Clementi qualche anno prima, Eppure non e questo l’unico lavoro in cui l’influenza de1l’illustre pianista romano si fa sentire: la ritroviamo anche nel Trio per pianoforte in Si bemolle, K. 502 dove il tema del movimento lento e straordinariamente simile a quello della Sonata in Si bemolle, Op. 9 di Clementi. Ma tutta l’influenza finisce qui. Nelle rimanenti variazioni si ha davanti soltanto Mozart. Cosi la N. 7 in minore ricorda quel grande passaggio nell’ultimo movimento del Concerto in Do minore per pianoforte e orchestra, K. 491, specie dopo la battuta 128; la variazione n. 12 combina in un certo modo, molto difficile da spiegare, la freschezza del primo Mozart con il sottile acume del Mozart anno 1786. La variazione N. 10 termina con una cadenza in cui la mano sinistra penetra sempre più profondamente nel basso ed e fra quelle che possiedono una maggior intensita di espressione. Non e mai stato chiaro chi abbia scritto il tema che sta alla base delle variazioni K. 500; sembra pero essere opera dello stesso Mozart.

Rondò in La minore, K. 511
Fra tutto quanto si potrebbe dire su questo lavoro basta soffermarsi su. tre punti. In primo luogo esso e di tale importanza armonica che costituisce un’anteprima delle opere di questo tipo di Schubert e di Chopin. Secondo, il Rondò si dispiega su una lunghissima scala pur senza opposizione di genere teatrale fra ritmo e scrittura o linee. Tanto il tema principale quanto i due episodi in Fa e in La hanno diversi movimenti sottostanti, crome, semicrome, semicrome terzinate. Per il resto 1’organizzazione musicale tende a mettere tutto assieme come si può capire dal grande uso fatto degli ornamenti con cui s’inizia il tema principale e dalla meravigliosa coda. In terzo luogo il Rondò in La minore é molto vicino al Quintetto in Sol minore, sia per la data di composizione, sia per la profondità di significato.

ll contenuto spirituale di un simile lavoro trascende la ragione umana ma qualcosa del suo valore si può sentire in noi stessi nel contrasto fra il tema principale e l’inizio dell’episodio in Fa maggiore. Forse soltanto nel Quintetto in Sol maggiore Mozart riuscii ad esprimere la stessa angoscia che sprigiona da questo tema in La minore del Rondò K. 511; e forse soltanto in ll Flauto magico egli scrisse qualcosa di cosi esaltante come l’inizio dell’episodio in Fa maggiore che segue.

Sei variazioni in Fa maggiore  su “Salve tu, Domine»
da “I filosofi immaginari» di Paisiello, K. 398
ll 29 marzo 1783 Mozart scriveva a suo padre di aver suonato nel suo ultimo concerto delle “variazioni su ‘un’aria dell’opera Die Philosopher che dovettero essere bissate”. Infine, come omaggio a Gluck, che si trovava fra gli spettatori, aveva anche suonato altre variazioni su Unser dummer Piibel meint. Le due esecuzioni sono oggi contrassegnate da K. 398 e K. 455. Ma, mentre le variaioni sul tema di Gluck sono un capolavoro di meticoloso ordine, quelle su Salve tu, Domine sono straordinariamente libere e includono nei loro modelli (Variazioni N. 2 e N. 6) quell’eccitamento teatrale proprio di una grande occasione. ll tema é estremamente complesso e si svolge senza alcuna ripetizione; é diviso in due principali sezioni con una pausa verso la fine che Mozart osserva ogni volta che la raggiunge. ll fatto e che dopo la terza variazione non vi arriva più; infatti, le variazioni N. 5 e N. 6, una con trilli continui che Mozart amava introdurre a quest’epoca e l’altra con un sensazionale discorso di arpeggi per le due mani in movimento contrario, non raggiungono mai la seconda meta del tema. Le tre ultime variazioni sono unite assieme da una serie di cadenze: la più lunga guida poi a una coda in cui riprende il tema stesso dove lo ha lasciato la sesta variazione e, con un incantevole cambio di ritmo, affonda tranquillamente nei bassi.

Nove variazioni in Do su “Lison dormait” K. 264
Nel 1778, epoca di queste variazioni, improvvisazione era considerata a Parigi come un gioco di salotto fra i preferiti; spesso tale improvvisazione prendeva appunto la forma di variazioni, magari su un’aria operistica in voga. Con ciò Mozart accontentava le richieste di amici e degli allievi; ma alla composizione di variazioni si dedicò anche per conto suo. Disdegnando quegli artifici tecnici necessari agli allievi e richiesti dal pubblico, come l’incrocio delle mani, i trilli sostenuti e molti motivi tematici affidati alla mano sinistra, Mozart diede a queste composizioni una sostanza musicale assai semplice. Per questa ragione fu spesso criticato: non aveva impiegato nelle sue variazioni quei sottili accorgimenti del mestiere. Ma per Mozart questi erano pezzi destinati ad essere suonati da altri e la loro stessa pubblicazione, dalla quale pure ricavava un guadagno, lo lasciava assolutamente indifferente. Bisogna pero ascoltare questi pezzi musicali come una sequenza di brani di valore superiore e soltanto cosi potremo trovarli incantevoli e atti ad offrire un puro divertimento musicale. In nessuna delle sue variazioni Mozart tento di mascherare il tema; egli voleva soltanto divertire gli ascoltatori e non che essi esercitassero il loro potere di concentrazione. L’interesse di queste opere consiste soprattutto nel mutamento di tempo e nel regolare alternarsi fra l’una e l’altra mano. Inoltre, nelle variazioni del periodo più maturo, egli include sempre un movimento in minore. Per il resto egli costruisce su uno schema inalterato di armonia e di struttura della frase, deviazioni più o meno fantastiche dalla linea melodica. Per quanto riguarda il tema della Variazione K. 264 esso e costituito da un’aria di Nicolas Dezéde, un notevole compositore nato in Croazia nel 1740 o 1744; era nel periodo di maggior fortuna quando Mozart arrivo a Parigi. Dezede mori nel 1792 lasciando sei sonate per arpa e

più di 20 lavori per il palcoscenico, in genere opéras-comiques. Ammirato da Grétry, il compositore piacque anche a Mozart se prese una sua aria, ]e suis Lindor, per 11 temi di un altro gruppo di variazioni, quelle in Mi bemolle, K. 354. Sono queste le variazioni più poetiche e più audaci, ma soprattutto, le più brillanti; la cadenza dopo 1’ultima variazione infatti introduce un glissando di due ottave in seste e quindi una rapida scala in terze per la mano destra. Sono anche le prime variazioni in cui Mozart tenta la tecnica di affidare ad ogni mano un trillo continuo mentre l’altra esegue il tema. Nella variazione N. 8 poi egli fa ricorso a certi trilli che ricordano il tardo stile di Beethoven: non sono soltanto di pura decorazione bensì costruiscono un clima di drammatica intensità, specialmente quando sono affidati alla mano sinistra e avanzano arrampicandosi per un’intera ottava mentre la mano destra ricopre tutto con un’elaborata scrittura. Anche il K. 264 e molto audace per quanto riguarda le sue armonie perché il Do maggiore é la chiave con la quale Mozart ci mette di fronte 1’ultimo grido in fatto di modernismo. L’esempio migliore é nella Variazione N. 7 in cui il modello dell’ottava spezzata nella mano sinistra é fatto per produrre successivi contrasti di settima maggiore o nona minore nella mano destra sul primo battito della misura. Ma soprattutto questo si trova nella Variazione Adagio, un brano che non solamente ricorre a quei passaggi trillati dell’ultimo Beethoven ma include anche complessità ritmiche ben difficili da approfondire, contorni irregolarissimi e una o due progressioni che sarebbero riuscite soltanto a un compositore come Mozart che a ventidue anni aveva già acquisito una completa libertà nel disegno della linea. In mezzo a tanto tumulto c’è una Variazione in minore, la N. 5, le cui figure sincopate e linee cromatiche portano ad alcuni momenti fra i più maestosi del tardo Mozart.

Sonata N. 5 in Sol maggiore, K. 283
E’ l’u1tima di quelle cinque che Mozart scrisse durante la seconda meta del 1774 e costituisce un perfetto manuale di tecnica pianistica per tutti i concertisti. Il suo inizio lirico non trova rispondenza in nessun altra composizione del genere. Nel suo insieme questo primo movimento punta più sull’espressione che sul virtuosismo. La forma adottata per i tre movimenti e quella della sonata, ma nel suo svolgimento non intervengono particolari caratteristiche: proprio da questo deriva probabilmente la sua bellezza. Lo sviluppo é un piacevole interludio fra esposizione e ripresa senza però una notevole ricchezza di avvenimenti. Quindi, la cosa più bella é la sorprendente modulazione in La minore quando il tema principale ritorna in seguito. L’Andante, che ci riporta a quello di K. 311, suggerisce un brano di musica d’insieme. Nella sezione centrale Mozart introduce la frase di apertura in chiave di Re minore che poi gira attorno alla tonica in Do. Subito dopo aver impostato la ripresa s’inizia un nuovo sviluppo in La minore. Ma poco dopo Mozart ci riporta inaspettatamente nel Do maggiore ufficiale. . Molto bello è il Presto finale che, per vitalità ed invenzione, può stare accanto all’ultimo movimento di K. 279; la mano sinistra ha un’importanza melodica mai avuta in precedenza. Né d’altra parte, Mozart aveva mai collaudato frasi cosi profonde come quella contenuta nelle ultime dieci battute de1l’esposizione, battute che sarebbe arduo dover dividere equamente . E’ proprio questo squilibrio che non permette a Mozart di attaccare lo sviluppo in drammatica sincronizzazione; inoltre egli si vede obbligato ad aggiungere due accordi nel finale, segnati Coda, per rendere tutto più giusto.

Sonata N. 17 in Re maggiore, K. 576
Mozart scrisse questa grande sonata nel luglio 1789. Pochi mesi prima aveva visitato il nord della Germania; durante questo viaggio aveva avuto occasione di ascoltare Singer dem Herrn di Bach e tale era stata la sua commozione che volle vedere subito altri mottetti. Fu proprio durante questa visita che egli aveva scritto anche quella bellissima giga in Sol maggiore, K. 574, descritta da Abert come ma combinazione di Bach, Mozart e Schumann. La Sonata in Re maggiore esclude decisamente l’ultimo autore, ma riesce a conciliare il più moderno stile pianistico con quel magistrale contrappunto bachiano. Già dalle prime otto battute emergono altre interessanti qualità: 1’esuberanza nel continuo sorgere della frase iniziale; assolutamente nessuna ortodossia nell’immediata ripetizione di questa frase un tono più alto. Mentre si attende l’entrata del secondo tema Mozart presenta un canone basato sulla frase di apertura, dove la mano sinistra esegue la destra a distanza di una croma. Infine interviene il nuovo tema indicato dolce e 1’esportazione termina con una figura di due battute che derivano una volta ancora dall’inizio: è l’espositiva comunicata alla tessitura dall’arpeggio a mo’ di Giga delle battute iniziali. Lo sviluppo, veramente magnifico, incomincia con un ricorso alle due battute di cui si é detto usate come materiale per un improvviso cambio di chiave verso il Si bemolle. Il tema principale diventa allora il soggetto di un’entusiasmante arringa che include il canone in Si bemolle, un altro di diverso carattere in Sol minore e due enarmonici cambi che guidano alla chiave di Fa diesis. A questo punto Mozart abbandona il tema principale e ritorna ancora alla figura che conclude 1’esposizione. Con impressionante regolarità la musica e portata al La maggiore preparando cosi la ripresa. Mozart riempie in tal modo tutta la prima parte dello sviluppo con tutti i più drammatici avvenimenti; un nuovo cambio e si e guidati con grande dignità nella ripresa. Questo modo di procedere lo si può riscontrare parecchio anche nel K. 570 la ripresa non ricalca invece gli stessi schemi; non c’é l’originale continuazione del tema principale bensì una serie di imitazioni che si alternano fra le due mani; e al posto del canone che in origine prendeva il posto di un secondo tema il passaggio dolce occupa quella posizione e viene sviluppato il doppio della sua lunghezza precedente. Il punto in cui si pensa che il movimento sia finito ritorna il canone perduto, ma questa volta mutilato. Nella parte che segue invece non ci sono più urti di sorta. Il secondo e terzo movimento si allineano con il primo. L’Adagio si differenzia completamente dal movimento lento di K. 570 e cosi pure dall’Adagio sostenuto di K. 457. Non ci sono né grandi vette, né contrasti teatrali e non c’é quasi nessun accento. Tanto il tema principale quanto la sezione centrale in Fa diesis hanno un testo delicato; in quest’ultima poi, con i suoi lunghi voli di mezze semicrome, ci sono alcune ardite modulazioni, specialmente quella che riconduce cromaticamente dal Fa diesis minore al ritorno del tema in La maggiore. E’ questo un movimento che sembra aver bisogno di quella qualità di tono particolare tipica dello strumento favrito di Mozart, il fortepiano di Stein sul quale vanno dette poche parole. Dal momento che il martello di un moderno pianoforte da concerto é un solido pezzo di legno su cui pesano parecchi strati di feltro é necessario sapere che quello di Stein consisteva di un cilindro vuoto di legno ricoperto con un sottile strato di pelle di daino. Il risultato é che il suono della nota reale é comparativamente più debole nello Stein; nel moderno pianoforte da concerto invece l’ampia e soffice superficie del martelletto percussore sulle corde, rende più forte il suono della nota reale. In altre parole, lo Stein ha una tonalità penetrante ma delicata mentre quella del moderno strumento impedisce anche _ai migliori pianisti di ottenere esattamente gli effetti immaginati da Mozart. Dell’Allegretto finale si può dire che si tratta di un libero rondò il cui tema principale proviene da quello stesso mondo in cui vive Papageno e il suo Ein Mddchen oder Weibchen. Non ci si aspetta un simile tema elaborato contrappuntisticamente ma, in realtà, quest’ultimo movimento ha proprio la stessa variate ed esuberanza del primo. Ci sono parecchi passaggi terzinati da virtuoso e sempre in forte; passaggi di musica da camera che elaborano il tema principale molto vicino al piano. Una terza categoria di figure si ha quando le terzine e il tema principale si incontrano: questo conduce a duri contrasti e a un brillante pezzo di giocoliere in cui il tema e le terzine cambiano mano ad ogni battuta. Ma il movimento e comunque brillante, sereno e pieno di inventiva. Un’ultima curiosità sulla Sonata in Re maggiore. La sua tonalità era la preferita per la tromba e appunto il lavoro lo si conosce anche come Sonata delle trombe, soprattutto per le caratteristiche già esposte del suo primo movimento.

Dieci variazioni in Sol  su “Unser dtunmer Piibel Meint”, K. 455
Il tema di queste variazioni é un’aria tratta da unbperag comica di Gluck, quella Rencontre imprevue che, rappresentata a Parigi nel 1764, passò a Francoforte e a Vienna come Die Pilgrimme von Mekka nel 1770. L’lnterprete dell’aria é il Monaco Calender che, nella sua saggezza, banchetta a base di vino e bocconcini prelibati mentre lo “stupid0 uomo della strada» (Der dummer P6-0 bel) lo immagina vivendo di frutta e latte. Mozart riflette una o due volte la caratteristica buffonesca, specie nella Variazione N. 4 dove il tema emerge pomposamente dai bassi e ogni volta che ritorna la prima frase c’é un mutamento dell’accordo. Negli altri casi egli non crea un nuovo tema: prende semplicemente l’aria di Gluck come punto di partenza e vi costruisce sopra alcune variazioni fra le più belle. Le cadenze ampie e il frequente uso di entrambe le estremità della tastiera rivelano che K. 455 appartiene ad un periodo di intensa attività concertistica. La stessa influenza la si ritrova anche in una figura forse meno ovvia. la qualità particolarmente penetrante `di certe configurazioni come se dovessero udirsi attraverso un accompagnamento orchestrale. La serie delle Variazioni K. 455 é pure un lavoro di grandi contrasti. Infatti la Variazione N. 7 é tutta musica da camera dal caratteristico doppio contrappunto mentre la N. 9, l’Adagio, e una magistrale improvvisazione, un pezzo solistico per eccellenza. Ne sono da dimenticare le inflessioni cromatiche della N. 3. Delle altre variazioni la N. 5 in minore ha una delicata tensione cromatica che riappare ancora con un bellissimo effetto nel testo, completamente diverso, della N. 6 con trilli per entrambe le mani che zampillano da ogni dove mentre il tema prosegue gaiamente. E’ quasi un lavoro che può reggersi da solo, come la Variazione N. 10, dove la coda riporta il tema e tempo originali dopo i suoi elaborati travestimenti. Molte delle altre sono “doppie” variazioni e il lavoro in sé è un’intera fantasia. O Non ci si può mai stancare del K.455; ma certamente sarebbe stato meraviglioso ascoltare l’originale partitura mozartiana di queste variazioni, quella che sull’aria di Calender improvvisò quel 2 marzo 1783 alla presenza di Gluckg stesso.

Walter Gieseking interpreta Mozart: Vol 1

Walter Gieseking: Sonate complete per piano di Mozart volume 1

Scarica qui il primo volume di Mozart interpretato da Walter Gieseking

WALTER GIESEKING INTERPRETA MOZART

63 lavori per pianoforte di Mozart suonati da Gieseking furono realizzati in origine su dischi Angel alla fine del 1954, in una sontuosa e limitata edizione da vendersi al prezzo complessivo di 75 dollari. Era la miglior commemorazione anticipata del 200° anniversario della nascita di Mozart che si sarebbe celebrato in tutto il mondo nel 1956. Sul Chicago Sunday Tribune del 9 gennaio 1955 Claudia Cassidy scriveva: “E’ una cosa meravigliosa avere immediatamente a portata di mano tutti i lavori per pianoforte di Mozart, l’importante e l’insignificante, il grande e il piccolo (per Mozart). E averli suonati da un maestro dei musicisti che sia anche un grande pianista non guasta assolutamente… L’album é ricco per un’esecuzione meravigliosa di grande virtuosismo”. Herbert Kupferberg affermava nel New York Herald Tribune: “Solo il più grande degli artisti può essere capace di contrapporsi alle dinamiche meravigliosamente proporzionate di Gieseking, alle sue delicate sfumature, alla sua abilita nel reggersi con solo il semplicissimo uso del pedale, al suo artificio che dissimula 1’arte… questi undici dischi contengono un po’ della più bella musica per pianoforte che mai sia stata scritta e suonata in modo completamente bello”. ll Boston Post definiva l’album “uno dei preminenti raggiungimenti dell’industria discografica”. Il Philadelphia Daily News acclamava “la perfetta unione: il tocco di Gieseking e la mobile grazia di Mozart”. Nel gennaio 1956 la pubblicazione a programma Carnegie Hall osservava: “Questo mese la parola d’ordine per la Angel Record e M come meraviglioso… I 63 lavori per pianoforte solo di Mozart interpretati da Walter Gieseking era nella lista del meglio dell’anno per ogni recensore che ricapitolasse il 1955 in disch”. Le sedute di registrazione erano cominciate nel luglio 1953 nello studio della EMI di Abbey Road, a St. ]ohn’s Wood, Londra (di recente reso immortale dai Beatles). Continuarono per tutta l’estate con alcune sedute conclusive nel dicembre seguente; alla fine risultarono 38 in totale della durata che andava dalle due alle tre ore ciascuna. Circa la sua esecuzione musicale Gieseking scrisse queste note per l’Edizione Speciale De Luxe: Può sembrare paradossale, ma la mia opinione sulla musica pianistica di Mozart é descritta meglio quando dico che é, al tempo stesso, la musica più facile e la più difficile da eseguire correttamente. Da un lato essa non ha bisogno di sforzi particolari. E’ completamente naturale e semplice suonare Mozart. D’altra parte potrebbe dirsi molto difficile per un musicista raggiungere quel grado in cui il comando tecnico, il sentimento musicale e tutte le facoltà mentali e fisiche siano cosi armoniosamente coordinati da far si che le dita obbediscano con il necessario grado di sicurezza agli impulsi dell’espressione suggerita dal corso naturale e dall’incantevole bellezza delle linee melodiche di Mozart. Naturalmente, quando dico “senza sforzi particolari” significa che la completa concentrazione sul compito di eseguire una composizione è dato per scontato come una condizione sine qua non, e che la massima attenzione sia concessa ad ogni dettaglio della tecnica, del valore musicale e del senso espressivo; questo in ogni momento e senza interruzione alcuna. Ma non tutti i compositori rendono molto facile procedere da questa concentrazione allo – posso dire benedetto e felice?- stato di comunione o identità o, almeno, alla illusione di identità fra compositore ed esecutore. Per Mozart la musica deve essere stata normale e istintivamente naturale come il respirare. La facilita e la perfezione del suo comporre collocano i suoi lavori al di sopra dell’umana debolezza, al di sopra della laboriosità terrena; li rendono tali che uno e obbligato a parlare di sovrumano, di metafisico o, semplicemente, come della bellezza della natura trasferita in suoni!

Ora, il musicista che cerca di ricreare le ispirazioni _di Mozart al maggior livello possibile per i suoi ascoltatori, deve anche essere, fin dove sarà possibile, al di sopra non soltanto dei problemi tecnici, ma anche al di sopra del bisogno di speculazione, riflessione o di qualsiasi tipo di lavoro cerebrale. Non ci deve essere nessun calcolo di possibili effetti e un’idea aprioristica di interpretazione. La semplice e naturale bellezza della musica di Mozart che copre, nonostante la sua apparente semplicità (0 la chiameremo l’abile economia di un vero genio?), una così ampia gamma di emozioni e di espressione, deve essere ricreata nel più semplice e naturale dei modi, senza nessun altro aiuto o incentivo che il sentimento di ammirazione e, forse, di felicita che si sprigiona da una musica cosi bella. Io posso confessare che nei pochi lavori facenti parte del mio repertorio concertistico prima di queste incisioni, i lavori che avrei dovuto conoscere meglio di tutti gli altri, trovavo qualche difficoltà. Avendo perduto la completa freschezza dell’avvicinamento, non potevo ritornare immediatamente al piacere spontaneo e ispirato, alla indipendenza del sentimento, che furono un cosi grande aiuto in tutta la musica che io avevo letto e studiato cosi da prendere ben conoscenza di ogni dettaglio. Mozart non é tecnicamente un problema per dita sensitive, per dita abituate a trasferire nel suono gli impulsi dati dall’intimo sentire, dita che sappiano come cantare e respirare naturalmente in relazione con le tonalità pianistiche.

L’ascoltatore può decidere fino a che punto sono stato capace di realizzare le mie, o meglio, le intenzioni di Mozart. In ogni caso, spero che le mie incisioni porteranno ad altri un po’ di quel piacere spontaneo e di quella gioia profonda che diede a me la musica di Mozart. Tecnicamente, posso dire di non aver quasi toccato il pedale destro dato che questo espediente non era stato inventato o era stato appena adattato a certi pianoforti quando Mozart scrisse la sua musica; quindi mi e sembrato che egli avesse concepito la sua musica senza prendere in considerazione le possibilità degli effetti del nuovo pedale. Gli arpeggi e gli accordi sonori più pieni sono tenuti in sospeso con le dita, spesso finché non cambia l’armonia, essendo questo il significato originale per eseguire il legatissimo. Ma lasciatemi ripetere che questi dettagli tecnici non sono il risultato di speculazione o studi storici, sebbene alcuni esperti europei confermino il mio sospetto che Mozart usasse i pianoforti senza il pedale che noi oggi chiamiamo il pedale destro. Il mio desiderio di una estrema chiarezza, che sentivo essere necessaria per una corretta esecuzione di Mozart, fu la ragione decisiva per suonare senza pedale; o, per essere più preciso. per usare il pedale destro con parsimonia, senza produrre nessun effetto di pedale. Alle mie orecchie, anche una sola nota suona diversa quando é suonata con il pedale (con rilavanti smorzature), la risonanza di tutte le corde accordata con gli ipertoni o con i toni dello stesso accordo che da qualcosa di velato, qualcosa di romanticamente sovraccarico (non vorrei dire impuro) anche a una singola isolata nota. Un tono puro e chiaro non é secco, anche se può sembrare cosi sulle prime alle orecchie abituate all’abbondanza di pedale. E io sono personalmente convinto che la chiarezza di tono e la bellezza dell’espressione non sono incompatibili, proprio come la perfezione della forma classica non diminuisce il potere dei più profondi sentimenti di un compositore. L’astinenza di Giescking dall’uso del pedale era il controllo della dedica totale, dato che Gieseking era il maestro del pedale di questo secolo. Ne fece un uso incessante, come riportava Jan Holcman in Saturday Review, “fino a che egli riusciva a produrre suoni-effetti in una gamma sconosciuta prima… L’uso di una complicata pedaliera, controllato da un acuto udito e da una tecnica precisa, produceva notevoli effetti: il pedale veniva trasformato da un mediocre ritoccatore in un colorista pieno di abilita”. Come risultato, Gieseking divenne un insuperabile interprete di Debussy e di altri impressionisti francesi. Gieseking era nato a Lione, in Francia, nel 1895 da genitori tedeschi. Comincio a suonare il piano a quattro anni ma, secondo il desiderio di suo padre, fu fermamente impedito nella carriera di bambino prodigio. Infatti, il ragazzo non cominciò uno studio sistematico che nel 1911 quando entrò al Conservatorio Municipale di Hannover per studiare con Karl Leimer. I suoi studi finirono cinque anni dopo quando si unì all’esercito tedesco nella prima Guerra Mondiale; ma dal Conservatorio egli riceveva quel1’istruzione che doveva essere il fondamento della sua arte fenomenale. Con Leimer egli imparo la concentrazione e la distensione, e sviluppò la sua facilita fantastica per mandare a memoria le partiture. Egli sostenne sempre che queste conquiste gli risparmiavano tutto all’infuori di un minimo di pratica. “Feci tutta la mia pratica al C0nservatorio», disse una volta, “La cosa più difficile per imparare a suonare il piano é quella di allenare le dita a suonare uniformemente perché sono di lunghezza diversa. Ma una volta che ciò sia diventato automatico, il resto é una questione di cervello. La memoria é una cosa importante dopo che uno ha perfezionato la sua tecnica”. Tappe della sua prima carriera furono il debutto a Berlino nel 1920, la sua prima apparizione in Inghilterra nel 1923 e, dopo una tournée attraverso le capitali d’Europa, il suo debutto americano il 10 gennaio 1926. La sua carriera fu punteggiata da numerosissimi concerti e da molte incisioni, sebbene ci fosse un’interruzione nella serie delle sue apparizioni americane fra il 1938 e il 1953 come conseguenza della sua permanenza in Germania durante la seconda Guerra Mondiale. Finalmente quando ritorno con un recital alla Carnegie Hall il 22 aprile 1953 il pubblico che esauriva il teatro gli diede il benvenuto con una calda ovazione. Nel dicembre 1955 mentre viaggiava da Francoforte a Stoccarda, Gieseking rimase coinvolto in un incidente in cui perdette la vita sua moglie. Fu ricoverato e ritorno ad essere quello di prima e, nel giro di tre mesi, riprese le sue tournée e le incisioni di dischi. Oltre alla registrazione completa di Mozart, effettuò anche quella dei lavori per piano di Debussy e Ravel. Nell’autunno del 1956 s’imbarco in una serie ambiziosa di sedute di registrazione a Londra in cui doveva incidere musica di Schubert e tutte le sonate di Beethoven. In sei giorni e mezzo completò l’incisione di sei longplays; agli amici sembrò che fosse nelle migliori condizioni di salute e in gran forma artistica. Al settimo giorno delle registrazioni fu improvvisamente colpito da una infiammazione al pancreas. Mori nell’ospedale di Londra dopo avergli praticato un’operazione. Era il 26 Ottobre 1956, proprio dieci giorni prima del suo 61° compleanno.

Volume 1

Disco 1 lato a (00997)

1)
a) Minuetto e trio in Sol maggiore k. 1
b) Minuetto in Fa maggiore k. 2
c) Allegro in Si bemolle maggiore k. 3
d) Minuetto in Fa maggiore k. 4
e) Minuetto in F a maggiore k. 5
f) Minuetto in Re maggiore k. 94
2) Otto variazioni in Sol maggiore k. 180
3) Sette variazioni in Re maggiore k. 25
4) Sei variazioni in Sol maggiore k. 180

Disco 1. lato b

1) Sonata in Si bemolle maggiore k. 570
a) 1° mov. Allegro
b) 2° mov. Adagio
c) 3° mov. Allegretto
2) Rondò in Fa maggiore k. 616

Disco 2 lato a (00998)

1) Sonata in Mi bemolle maggiore k. 282
a) 1° mov. Adagio
b) 2° mov. Minuetto 1 e Minuetto 2
c) 3° mov. Allegro
2) Suite nello stile di Handel k. 399
Ouverture – Allegro – Allemande -Courante – Sarabanda
3) Dodici variazioni in Do maggiore k. 265

Disco 2 lato b

1) Sonata in La maggiore k. 331
a) l° mov. Tema (andante grazioso)
b) 2° mov. Minuetto
c) 3° mov. Alla Turca (allegretto)
2) Minuetto in Re maggiore k. 355
3) Andantino in Mi bemolle maggiore k. 236
4) Fantasia in Re minore k. 397

Disco 3 alto a (00999)

1) Sonata in La minore k. 310
a) l° mov. Allegro maestoso
b) 2° mov. Andante cantabile con espressione
c) 3° mov. Presto
2) Dodici variazioni in Do maggiore k. 179

Disco 3 lato b

1) Sonata in Fa maggiore k. 280
a) l° mov. Allegro assai
b) 2° mov. Adagio
c) 3° mov. Presto
2) Adagio in Si minore k. 540
3) Sei variazioni k. 54 A
4) Kleiner Trauermarsch k. 453 a (Marcia funebre del maestro Contrapuncto)

Disco 4 lato a (01000)

1) Sonata in Si bemolle maggiore k. 333
a) 1° mov. Allegro
b) 2° mov. Andante cantabile
c) 3° mov. Allegretto grazioso
4) Dodici variazioni in Mi bemolle maggiore k. 353

Disco 4 lato b

1) Fantasia in Do minore k. 475
Sonata in Do minore k. 457
2) l° mov. Allegro
3) 2° mov. Adagio
4) 3° mov. Molto allegro

Mozart: Concerti KV413, KV450

ecco un’altra splendida incisione della musica di Mozart della Deutsche Grammophon; Due concerti interpretati dalla Camerata academia des Salzburger Mozarteums, direttore e solista Geza Anda.

Nella prima facciata ti propongo il concerto per piano e orchestra Nr. 15 in si bemolle maggiore KV.450,
1 allegro
2 andante
3 allegro


Nella seconda facciata il concerto per piano e orchestra in fa maggiore Nr. 11 KV.413
1 allegro
2 larghetto
3 tempo di menuetto

Scarica qui i concerti di Mozart

Haydn: Concerti per pianoforte in re e sol

Concerti per pianoforte in re e sol eseguiti dall’orchestra da camera di Zurigo diretta da Edmond de Stoutz.
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Registrazione effettuata il 22 e 24 gennaio 1975 alla Johanneskirche di Thun (Svizzera).
L’identificazione dei concerti per pianoforte di Haydn è molto facilitata da quattro cataloghi (tre dei quali contemporanei): uno di essi comprende le opere fino al 1777 (oltre ad alcune altre); un altro compilato da Elssler con l’aiuto di Haydn è datato 1805; i cataloghi Breitkopf del 1762-87 e l’elenco ad opera di fuchs preparato nel 1839-40. Un quinto catalogo apparteneva a Franz Bernhard von Kees , amico del compositore. Dodici concerti vengono dati per autentici. La maggior parte di questi compare nel catalogo di Hoboken nel gruppo XVIII, quattro di essi furono pubblicati durante la vita di Haydn: il n.3 in fa come “Troisieme Concerto” , il numero 4 in sol come “Second concerto” , il numero 7 in fa come “A concerto for the harpsicord” e il numero 11 in re.
Solo il concerto n.1 in do per organo, che probabilmente risale al 1756, esiste nella versione autografa del compositore; la relativa scarsità di autografi è certamente da attribuire all’incendio che distrusse la casa del compositore una prima volta nel 1768 e un’altra otto anni dopo.
Parecchi lavori sono strettamente connessi ai concerti, in particolare i divertimenti per pianoforte e per vari complessi di strumenti. I primi concerti, cioè quelli datati anteriormente al 1765, rivelano una chiara tendenza verso la musica da camera; nonostante siano ben costruiti e sviluppati vi sono pochi brani di bravura che necessitino di una particolare perizia tecnica. La parte per la tastiera consiste principalmente di una linea superiore indipendente e relativamente semplice e di una mano sinistra che raddoppia il basso nell’orchestra. Nulla di tutto ciò si può riscontrare nei concerti successivi rappresentati dai due contenuti in questa incisione.
E’ titolo di demerito per molti biografi di Haydn se questi concerti per pianoforte sono stati etichettati tutti insieme come insignificanti lavori commerciali o addirittura non sono stati affatto ricordati.
Concerto in re maggiore
Fu pubblicato da Artaria a Vienna verso il 1784. E’ incontestabilmente u concerto in ogni senso, con una parte vitale dimostrativa per la tastiera e un accompagnamento orchestrale estremamente raffinato che comprende oboi e corni. Il tema del primo movimento è tipico del compositore nei suoi momenti più energici. Viene enunciato due volte, la seconda delle quali con l’aggiunta di strumenti a fiato. Segue immediatamente il secondo tema ai violini e agli oboi. Prima dell’ingresso del solista parte del primo tema, sia nelle versioni semplici e sia in quelle ornate, appare come un brano di transizione. Allora il pianoforte esamina particolareggiatamente i due temi, inverte parte di uno di essi (battuta 84) e, attraverso una sezione sincopata in la minore (battuta 91) enuncia di nuovo l’idea iniziale in la maggiore (battuta 103). Malgrado una breve allusione al secondo tema (battuta 186) è il primo che fornisce la forza conduttrice. Il tutti all’inizio del secondo movimento i la maggiore fornisce parte del materiale del solista: queste prolungate linee melodiche creano una caratteristica particolare della miglior musica di Haydn, come si può vedere specialmente nelle ultime sonate per pianoforte e nei quartetti Op.76. Il resto deriva da un semplice motivo di sei note ripetute col quale è abilmente costruito un importante dialogo tra pianoforte e orchestra.
Dopo un breve intermezzo in re minore (battuta 150) la composizione diventa più veemente, con l’orchestra che mantiene una rispettosa distanza. Un motivo ascendente forma un breve secondo soggetto (battuta 214) ma che non si fa più sentire in seguito. Alla fine una parte del tema iniziale viene proclamata dal pianoforte e dall’orchestra con effetto di fanfara. Il desiderio di Haydn, che la sua musica fosse “una sorgente dalla quale gli affaticati potessero trovare riposo e ristoro per qualche momento” certamente di avvera qui.
Concerto in sol maggiore
Fu pubblicato da Boyer a Parigi verso il 1787. Il Journal de Paris annunciava che “M.lle Paradis eseguirà un nuovo concerto per clavicembalo composto da Monsieur Haydn”; l’artista era un’organista austriaca cieca, compositrice, cantane e pianista per la quale Mozart scrisse il suo concerto in si bemolle per pianoforte (K.456) o almeno così si suppone. Il tutti iniziale è rappresentato come un’unica, lunga, integrata esposizione: il realtà ci sono sei o sette idee che vengono poi sviluppate in modo estremamente fantasioso. Un nuovo soggetto, o almeno appare come tale, in re maggiore (dopo la cadenza alla battuta 44) è tratto da un frammento già ascoltato all’inizio.
Qualcosa di veramente nuovo comincia in fa maggiore alla battuta 62 per poi tornare con notevole enfasi in sol minore (battuta 174). Tutto il movimento è molto di più di un pretesto per una semplice esposizione. Il secondo movimento, benché rechi l’indicazione cantabile, ha vigore e grande forza drammatica, lo dimostra chiaramente il crollo degli accordi nel pianoforte. Alla battuta 60 c’è una frase solo leggermente modificata che già compariva nel primo movimento (battute 32 e 120) e perfino il tema del finale può essere considerato una derivazione. L’ultimo movimento, estremamente gaio, non ci porta mai lontani dalla piccola, fantasiosa melodia iniziale. Da essa viene tratta una serie di note singole rapidamente ripetute che, come cadenze in miniatura, riportano di nuovo al tema. E’ puro divertimento!
Nel 1791, quando Haydn giunse a Londra, Charles Burney scrisse:
“Haydn! Grande sovrano dell’arte melodica! Le tue opere da sole formano una vasta carta di tutte le montagne, mari e fertili pianure entro la portata delle loro immense sfere!”

Beethoven: Sonate per pianoforte e violoncello

Beethoven: Sonate per pianoforte e violocello
Opera completa

Sonate fur klavire und violoncello F-dur op.5 Nr.1

Sonate fur klavire und violoncello g-moll op.5 Nr.2

Sonate fur klavire und violoncello C-dur op.102 Nr.1

Sonate fur klavire und violoncello D-dur op.102 Nr.2

Seven variations on the duet “Bei Mannern, welche fuhlen”
From the opera “The magic Flute” by W.A.Mozart

Twelve variations on a theme from the Oratorio “Judas Maccabeus” by G.F. Haendel

Twelve variations on a theme “Ein madchen oder Weibchen”
From the opera “The magic Flute” by W.A.Mozart

Scarica qui le sonate di Beethoven

Rossini: La donna del lago

Gioachino Rossini
La Donna del Lago

Libretto Andrea Leone Tottola
Coro e orchestra della RAI di Torino
Direttore d’orchestra Piero Bellugi
Data della rappresentazione: 22 aprile 1970

Scarica qui la donna del lago di Rossini

Elena Montserrat Caballè soprano
Giacomo V Franco Bonisolli tenore
Rodrigo di Dhu Pietro Bottazzo tenore
Malcom Groem julia Hamari mezzo soprano
Douglas D’Angus Paolo Washington basso
Serano Gino Sinimberghi tenore
Albina Anna Maria Balboni soprano

Giacomo Leopardi scriveva da Roma al fratello Carlo, il 5 febbraio 1823, di aver assistito al Teatro Argentina alla Donna del lago e di essere stato affascinato dalla musica rossiniana: «eseguita da voci sorprendenti, è cosa stupenda, e potrei piangere ancor io, se il dono delle lagrime non mi fosse stato sospeso, giacché m’avvedo pure di non averlo perduto affatto». Ma Leopardi continuava: «è intollerabile e mortale la lunghezza dello spettacolo, che dura sei ore, e qui non s’usa d’uscire dal palco proprio…». Forse da queste parole ebbe origine un pregiudizio che gli studiosi si sono tramandati per qualche tempo, circa la disuguaglianza fra un primo atto dell’opera, denso di gemme musicali, e un secondo atto non all’altezza del primo, anche per cadute di interesse nell’azione. In realtà la condotta drammatica della Donna del lago è simile a quella di tutte le opere serie del periodo rossiniano: solo nelle opere più mature di Donizetti e Bellini, per non parlare di Verdi, la costruzione drammatica sarà sapientemente costruita in ‘crescendo’, tutta puntata sul finale dell’ultimo atto. In quelle di Rossini non è mai così: il culmine dell’azione, della costruzione formale e musicale, e dell’interesse richiesto agli spettatori, si trova nel finale dell’atto primo. L’intero secondo atto può essere considerato un lento ‘diminuendo’ drammatico, ma questo non vuol dire che sia meno importante e trascurato: nel gioco di bilanciamenti e pesi drammatici, esso prevede sempre una sorta di ‘finale interno’ (un terzetto o un concertato ampio, a volte molto prima del finale ultimo vero e proprio), e le arie di congedo dei due o tre personaggi principali, secondo una disposizione calibrata come riflesso delle arie ‘di sortita’, quelle che presentavano per la prima volta i protagonisti nell’atto iniziale. È quanto avviene anche nella Donna del lago, che accoglie nel suo secondo atto un complesso duetto che sfocia in un terzetto, centro drammatico di tutta la vicenda. Questa inizia, nel primo, con un vasto blocco musicale, che esula dalle introduzioni tradizionali delle opere serie (coro e sortita di un personaggio, oppure scena e concertato): in sostanza è un lungo duetto, che comincia nel primo quadro, viene ripreso e svolto compiutamente nel quadro successivo, dopo il recitativo, e forma una sorta di prologo separato dal resto dell’atto, esaurendo addirittura gli interventi di uno dei personaggi principali, Giacomo V, che ricompare solo all’inizio del secondo atto. Tre blocchi drammatici (introduzione ‘lunga’, finale primo, duetto-terzetto del secondo) costituiscono dunque l’impalcatura dell’opera; di questi, il secondo è il centro musicale e drammatico (il finale d’atto), il terzo è il momento di ‘catastrofe’ della vicenda, che poi può solamente sciogliersi nei rondò virtuosistici dei protagonisti, Malcom ed Elena.

L’interesse per l’ambientazione scozzese era vivo all’epoca della Donna del lago, che rappresenta il primo melodramma italiano basato su un soggetto tratto da Walter Scott. La scelta forse non si deve al compositore: nella prefazione al libretto leggiamo che l’argomento «era già dall’Impresa de’ Reali Teatri destinato a trattarsi per una delle nuove Opere di questo anno». La vicenda è quella del poemetto narrativo The Lady of the Lake, non ancora tradotto in italiano nel 1819 ma disponibile nella versione francese, sulla quale probabilmente lavorò Leone Andrea Tottola. Il libretto tiene conto anche della traduzione che Melchiorre Cesarotti aveva offerto (Padova 1763) degli Ossianic poems di James Macpherson, che godevano ancora di vasta fortuna nel primo Ottocento. Si spiegano con il ricorso a Cesarotti citazioni e riferimenti al ‘clima ossianico’ assenti nel poema di Scott, e scelte metriche particolarmente innovative rispetto alla tradizione classicheggiante dell’opera seria italiana: ad esempio la ricchezza di combinazioni ritmiche e i giochi con le rime a metà verso. Più che la musica in sé, è forse l’ambientazione di molte scene a far sì che La donna del lago sia stata spesso considerata una delle prime opere romantiche italiane, o almeno la più romantica fra quelle del periodo italiano di Rossini.

In Scozia, a Stirling e nelle sue vicinanze, «sulla veduta del lago Kattrine, originato dalle acque cadenti, cui sovrasta ardito ponte di alberi». Un coro di pastori e pastorelle si intreccia a quello dei cacciatori, con effetti stereofonici in quanto questi ultimi, dall’alto di una rocca, rispondono sui richiami dei loro corni ai pastori, che agiscono in primo piano: la musica si impossessa dello spazio e questo è un motivo sconosciuto all’opera seria settecentesca. Si avanza Elena sul lago, sopra a un battello, cantando una melodia semplice e orecchiabile ma molto studiata nel fraseggio, (“O mattutini albori”), su un ritmo ondeggiante, da barcarola. Non è un’aria di sortita, è una semplice canzone che servirà quasi a identificare il personaggio del titolo, e a richiamare, quando sarà citata al termine del secondo atto, l’antefatto narrato nella prima parte dell’opera. Assistiamo all’incontro fra Elena e il re Giacomo V, che si aggira in incognito, durante la caccia, sotto il nome di Uberto. Elena offre subito ospitalità al finto cacciatore, accogliendolo sulla barchetta: il breve dialogo fra i due è cantato in recitativo e poi sulla ripresa della melodia di “O mattutini albori”. I cacciatori arrivano in primo piano, preoccupati per aver perso le tracce del loro compagno Uberto; essi levano una preghiera, prima di dividersi per cercarlo. Questi è frattanto giunto alla casa di Elena e trasalisce quando vede appese le insegne di un suo nemico, Douglas, caduto in disgrazia presso la corte e ritiratosi sui monti: Elena ne è la figlia. Le compagne giungono per rallegrarsi con lei delle sue imminenti nozze con ‘Rodrigo il forte’, capo dei clan alpini, che ha offerto protezione a Douglas. La temperatura emotiva si alza: Elena non nasconde la sua angoscia, Uberto è ormai invaghito di Elena e quando essa gli confida di non amare Rodrigo, egli fraintende e pensa per un momento di essere l’«altro amante». La cabaletta del lungo duetto, nel quale le sezioni intermedie vengono dilatate a dismisura da Rossini, è un esempio di transfer musicale, come lo sarà il primo duetto fra Arsace e Semiramide nella Semiramide: un gesto troppo audace di Uberto viene in apparenza rimproverato da Elena, ma nell’inconscio della donna suscita un’ondata di passionalità, diretta a colui del quale Elena è innamorata, il guerriero Malcom, ma espressa musicalmente proprio nei confronti di Uberto (in mancanza d’altro…), a sua volta preda del ritmo vorticoso e della figura vocale ascendente e poi bruscamente discendente che caratterizza l’avvio del brano. Con la scena seguente siamo introdotti a uno dei luoghi d’obbligo dell’opera seria: l’ingresso dell’amante-eroe, connotato dal libretto di alcuni tratti ombrosi e malinconici («si avanza concentrato, ed a passo lento, il giovine Malcom… si scuote dal suo letargo, guarda mestamente intorno…»), e dipinto da Rossini con una cavatina (“Elena, oh tu, ch’io chiamo”) densa di melismi che illustrano l’abbandono struggente dei versi «Grata a me fia la morte/ se Elena mia non è». Dopo la cabaletta virtuosistica (“Oh quante lacrime finor versai”), Malcom rimane in scena e ascolta di nascosto il dialogo fra Douglas e la figlia, che vorrebbe convincere il padre a rimandare le proprie nozze con Rodrigo. Douglas le impone severamente di obbedire e parte per incontrare Rodrigo. Malcom ed Elena si giurano fedeltà e intonano un duettino in un solo movimento. L’atmosfera marziale annunciata dalla precedente aria di Douglas, si impone ora con la scena dell’ingresso di Rodrigo, salutato dai suoi guerrieri e annunciato da una marcia per la quale viene utilizzata la banda sul palco, da Rossini impiegata per la prima volta l’anno precedente, in Ricciardo e Zoraide. La seconda sezione dell’aria di Rodrigo è dedicata al pensiero di Elena, di cui anche il guerriero è innamorato. Nella scena di Rodrigo sono intrecciate le due dimensioni espressive sulle quali è costruito l’intero finale d’atto: momenti privati di intima lacerazione (“Come celar le smanie”, intonato da Elena nel terzetto che costituisce il primo tempo del finale) si alternano a momenti pubblici, ‘politici’, di impeto patriottico e bellico. Fra questi vi sono l’entrata di Malcom al suono della banda e il grandioso coro dei bardi che conclude l’atto in una stretta elaborata. È abbastanza singolare la scelta del librettista, di concludere la scena puntando sull’effetto corale e relegando i drammi intimi dei protagonisti sullo sfondo: quando viene annunciato l’arrivo di un drappello nemico, un giuramento solenne è proposto da Rodrigo e ripreso da tutti i guerrieri; un crescendo orchestrale porta al canto di guerra sciolto dai «sacri cantori» per infondere coraggio, in tonalità maggiore (“Già un raggio forier”), al quale rispondono le donne in tonalità minore. L’accompagnamento dell’arpa e l’indicazione moderato hanno forse tratto in inganno alcuni direttori d’orchestra e alcuni commentatori, che definiscono questa pagina in termini di raffinata eleganza. In realtà, la costruzione contrappuntistica dei motivi, nello sviluppo del brano (si veda la ripresa del tema ‘bandistico’ dell’entrata di Malcom), ne fa una delle pagine più dense del Rossini napoletano: una pagina decisamente marziale e vigorosa, che il compositore rielaborò come Coro per il terzo centenario della nascita del Tasso(1844) e come Grido di esultazione riconoscente al sommo pontefice Pio IX(1846).

Elegante e raffinata è invece la cavatina di apertura del secondo atto, introdotta dal corno solista e cantata da Uberto (“O fiamma soave”), che si aggira per una «folta boscaglia», in abito da pastore: ha scoperto il rifugio in cui è nascosta Elena, mentre continua la guerra fra i clan alpini e le truppe del re. Quando egli trova il coraggio di dichiarare il proprio amore alla donna, questa è oppressa dall’affanno e dall’imbarazzo. Uberto decide civilmente di non importunare più l’amata e prima di partire le dona un anello con il quale essa potrà domandare al re la grazia per i suoi congiunti, ma i due sono sorpresi da Rodrigo, che chiama a raccolta i guerrieri e sfida il rivale. Senza cesure il brano iniziato come duetto (“Alla ragion deh rieda”) si sviluppa nel complesso terzetto, che ne costituisce la grandiosa stretta. Sorprendente è il tempo lento del duetto, “Nume se a miei sospiri”, in cui Rossini inserisce alternativamente i versi cantati da Elena e Uberto ‘fra sé’, come se fossero su due piani paralleli: per alcune battute, Elena canta le sue frasi in una tonalità (la bemolle maggiore, su un accompagnamento di terzine, ai fiati) e Uberto inserisce i suoi interventi in un’altra (do minore, su tremolo degli archi), senza che le due prospettive si fondano, se non al termine, quando finalmente i personaggi cantano assieme (in seste parallele), anche se riaffiorano i minacciosi tremoli degli archi, in orchestra. È qui evidente uno degli artifici di cui dispone il compositore- narratore, per rendere l’alternanza dei punti di vista, delle prospettive dei personaggi, in una sorta di ‘montaggio parallelo’. L’inizio della prima cabaletta del duetto è anche l’inizio del terzetto, perché alla melodia discendente, a canone, di Elena e Uberto (“Qual pena in me già desta”), si aggiunge la frase, paralizzata su una stessa nota, di Rodrigo (“Misere mie pupille”), nascosto a spiare i due. La gelosia di Rodrigo prorompe poi in una cascata di virtuosismi, ripresi e imitati da Uberto: Elena è circondata da due spasimanti non graditi, l’effetto stereofonico di eco fra le voci che si imitano nelle frasi virtuosistiche accentua l’idea di soffocamento, e indica che il ‘punto di vista’, in questa scena, è quello della protagonista. Quando Rodrigo si svela e chiama i guerrieri, all’accendersi del duello Elena esplode in una frase scolpita in tonalità minore (“Io son la misera”), che focalizza il suo sconvolgimento ed è ripresa a canone dai due rivali, generando un altro intreccio contrappuntistico e imitativo fra le voci.

Formalmente più convenzionale è il seguito dell’opera: Malcom viene a sapere che Elena si è recata alla corte del re, per salvare il padre, costituitosi. Nella battaglia hanno prevalso le truppe reali e Rodrigo è stato ucciso nel duello con l’ignoto rivale. A corte, Elena chiede di essere ammessa alla presenza del re per mostrargli l’anello donatole da Uberto e chiedere così la grazia per Douglas. Ascolta la voce di Uberto che intona, su diverse parole, la melodia di “O mattutini albori” e apprende che egli è in realtà Giacomo V. Il re concede grazia a Douglas e a Malcom: Elena può intonare “Tanti affetti in un momento”, fuoco d’artificio che suggella il lieto fine e che sarà ripreso inBianca e Fallieroe per il rifacimento veneziano delMaometto II.

Penultima delle nove opere serie scritte da Rossini per Napoli, la Donna del lago è la terza delle quattro nate nel 1819: segue la napoletana Ermione e il ‘centone’ organizzato per Venezia, Eduardo e Cristina. In realtà, dopo Ermione Rossini non avrebbe dovuto scrivere per Barbaja fino alla quaresima dell’anno successivo, ma il forfait di Gaspare Spontini, scritturato al San Carlo e richiesto imperiosamente nello stesso tempo a Berlino da Federico Guglielmo III di Prussia, obbligò l’impresario a ricorrere nuovamente al Pesarese per colmare il vuoto nel cartellone. A Rossini fu necessario l’aiuto di un collaboratore, che stese quasi tutti i recitativi accompagnati e compose l’aria di Douglas. L’opera andò in scena al San Carlo di Napoli con Isabella Colbran, Rosmunda Pisaroni, Andrea Nozzari, Giovanni David e Michele Benedetti: una compagnia già sperimentata nel Ricciardoe nell’ Ermione. L’ultima rappresentazione ottocentesca sembra essere stata quella del 1860 a Trieste; poi, un lungo oblio fino alle riprese moderne, ampiamente rimaneggiate: al Maggio musicale fiorentino (1958, direttore Tullio Serafin), a Londra (1969, Camden Town Hall, con Kiri Te Kanawa), alla Rai di Torino (1970, con Montserrat Caballé), al Comunale di Bologna (1975, con Angeles Gulin). La prima ripresa autentica, integrale e basata sull’edizione critica di H. Colin Slim (edita solo nel 1990), è quella del settembre 1981 al Rossini Opera Festival pesarese, direttore Maurizio Pollini, interpreti Lella Cuberli e Martine Dupuy. Ricordiamo anche le rappresentazioni di Houston e New York (1981-82, con Marilyn Horne, Federica von Stade, Rockwell Blake e Dano Raffanti), la ripresa dell’allestimento di Pesaro nel 1983 (Katia Ricciarelli e Lucia Valentini Terrani) e l’edizione del Teatro alla Scala, diretta da Riccardo Muti nel 1992 (con June Anderson, Martine Dupuy, Chris Merritt e Rockwell Blake).

Fonte: Dizionario dell’Opera Baldini&Castoldi

Melodramma in due atti
di Andrea Leone Tottola

PERSONAGGI

Giacomo V, Re di Scozia, Tenore
sotto il nome del CavalierUberto di Snowdon,
Douglas d’Angus, Basso
Rodrigo di Dhu, Tenore
Elena, Soprano
Malcolm Groeme, Contralto
Albina, Mezzosoprano
Serano, Tenore
Bertram, Basso
Pastori, Pastorelle, scozzesi
Bardi
Grandi. Dame, scozzesi
Guerrieri del Clan Alpino, Cacciatori, Guardie reali

L’azione è nella Scozia, e propriamente in Stirling e sue vicinanze.

ATTO PRIMO

La scena presenta la famosa rocca di
Benledi, che, coverta alla vetta da folta
boscaglia, e quindi allargandosi al basso,
forma una spaziosa valle, nel centro della
quale è il Lago Kattrine, originato dalle
acque cadenti, cui sovrasta ardito ponte di
tronchi di alberi.

Sorge l’aurora.

SCENA PRIMA

Pastori e pastorelle, che rendonsi a’ campestri lavori.
Sull’alto cacciatori, che inoltransi nel bosco.

PASTORELLE

Del dì la messaggiera
Già il crin di rose infiora.

PASTORI

Dal sen di lei che adora,
Già fugge rapido
L’astro maggior.

TUTTI

Ed al suo lucido
Brillante aspetto
Ripiglia ogni essere
Vita e vigor.

CACCIATORI

Figli di Morve!
Su su! alle selve!
Le caledonie
Temute belve
A noi preparano
Novello allor.
(Perdonsi di vista).

PASTORI
A’ nostri riedasi
Lavori usati.

PASTORELLE
Come verdeggiano
Ridenti i prati…

PASTORI
Al par che ombreggiano
Le querce annose.

PASTORELLE
Come spontanee
Sorgon le rose…

TUTTI
Così a’ sudori
Del buon cultor,
Grate rispondano
Le piante, i fior.
(S’incamminano per varie strade).

CACCIATORI
(di lontano)
Su su! alle selve!
Le irsute belve
A noi preparano
Novello allor.

SCENA SECONDA
Elena in un battello nel lago; indi Uberto
dalla rocca.

ELENA
Oh mattutini albori!
Vi ha preceduti Amor.
Da’ brevi miei sopori
A ridestarmi ognor
Tu vieni, o dolce immagine
Del caro mio tesor!
Fugge, ma riede il giorno;
Si cela il rio talor,
Ma rigorgoglia intorno
Di più abbondante umor;
Tu a me non torni, o amabile
Oggetto del mio ardor!
(Si ode il vicino suono di un corno, che viene
ripetuto di lontano).
Qual suon! Sull’alta rocca
Già le fiere a domar van di Fingallo
I ben degni nepoti. Oh! se fra quelli
Si aggirasse Malcolm! vana speranza!
Rapido qual baleno
Ei sarebbe volato a questo seno.
(Giunta alla riva, scende dal battello, che
attacca ad un tronco).

UBERTO
(Eccola! alfin la rendi
All’avido mio sguardo, o Ciel piétoso!
No, non mentì la fama,
Anzi è minor di sua beltade il grido.)

ELENA
Di questo lago al solitario lido
Chi ti guida? chi sei?

UBERTO
Da’ miei compagni,
Una cerva inseguendo,
Mi allontanai. Fra queste
Alpestri, incerte balze il piè inoltrai,
E, già la via smarrita,
A domandarti aita io mi volgea
A te, non donna, ma silvestre dea.
(Fingasi.)

ELENA
Amico asilo
Ti sia la mia capanna: all’altra sponda
Meco, se il vuoi, signor, recar ti dei.

UBERTO
Ah sì, del mio destin l’arbitra sei.

ELENA
Scendi nel piccol legno,
Al fianco mio ti assidi.

UBERTO
Oh del tuo cor ben degno
Eccesso di bontà!

ELENA
Sei nella Scozia, e ancora
Non sai che qui si onora
Pura ospitalità?

UBERTO
Deh!… mi perdona… (oh Dio!
Confuso appien son io!)

ELENA
Ah sgombra omai l’affanno,
Lieto respiri il cor.

UBERTO
(Un innocente inganno
(Guadando insieme il lago).

SCENA TERZA
Da varie balze giungono al piano i cacciatori
anelanti in traccia d’Uberto.

CORO DI CACCIATORI
(una parte)
Uberto! ah! dove ti ascondi? Uberto!

ALTRA PARTE
Donde tracciarlo? come trovarlo?

I PRIMI
La fosca selva… l’alpestre, il piano
Si è già percorso, ma tutto invano!

GLI ALTRI
Lo invola al certo…

TUTTI
Uberto! Uberto!
L’eco risponde! speme non v’ha!
Veloci scorransi altri sentieri…

I PRIMI
Noi là… sul monte…

GLI ALTRI
Noi verso il fonte…

TUTTI
Chi a ravvisarlo primier sarà
Agli altri segno dar ne potrà.
Tu, che ne leggi nel cor fedel,
Al nostro sguardo lo addita, o Ciel!
(Si disperdono per diverse strade).

Albergo di Douglas. Veggonsi sospese alle
pareti le sue armi e quelle degli antenati.

SCENA QUARTA
Albina e Serano.

ALBINA
E in questo dì?

SERANO
Tel dissi: atteso giunge
Rodrigo.

ALBINA
(Elena! oh quanto
Ti fia grave un tal dì!)

SERANO

Quei fidi amici,

Cui spento ancor nel petto

Non è l’avito ardor, raccoglie intorno

Il belligero eroe. Sacro in quell’alma

Di patria amor tutto l’investe, e ardito

L’impeto incauto ad arrestar lo spinge

Di Giacomo, che queste

Contra ogni legge invade

Pacifiche contrade. Ah! regga il Cielo

Così nobil desìo, sì puro zelo!

ALBINA

E di Elena la destra?

SERANO

In dolce pegno

Di tenace amistà Douglas destina

A sì prode guerrier.

ALBINA

(Tutte prevedo

Le pene di quel cor!)

SERANO

Tu vieni intanto

A’ domestici uffici,

Che maggiori in tal giorno

Fa un ospite sì degno: il sai, diviso

Fia più lieve il giorno.

ALBINA

(Quanto m’affanna, o amica, il tuo martoro!)

(Entrano).

SCENA QUINTA

Elena ed Uberto.

ELENA

Sei già nel tetto mio: dorata stanza,

Dove il fasto pompeggia,

Ove il lustro grandeggia,

Questa non è; ma, semplice ed umile,

Qui raccoglie secure

Dall’invido livore

Pace, amistade, amor filiale, onore.

UBERTO

(Felice albergo! oh quanta

Beltà, virtù racchiudi!)

ELENA

Il lasso fianco

Posar ti piaccia.

UBERTO

(sorpreso)

(Ah! qual ravviso intorno

Ornamento guerrier! no… non m’inganno…

Di cavalier scozzese

Che gli avi miei seguì, veggo l’arnese!

Ove son io? e in qual periglio!)

ELENA

E donde

Il tuo cupo silenzio? a che dubbioso

Volgi intorno lo sguardo?

UBERTO

Amabil diva!

Se a te nol vieta alta cagion, deh lascia,

Ch’io conosca a chi debba

Tratto così gentil?

ELENA

Vanto nel padre

Il famoso Douglas.

UBERTO

(in uno slancio che poi reprime)

Ah!

ELENA

Lo conosci?

UBERTO

Per fama… e chi nol sa?

ELENA

Civil discordia

Lo rapì dalla corte!

UBERTO

Oh quanto ancora

N’è Giacomo dolente!

ELENA

E chi tel disse?

UBERTO

Voce sparsa così… (mal cauto ardore!

Non mi svelar: che mai di me sarebbe

Se giungesse Douglas?)

ELENA

Ma pensieroso

Chi ti rende così?

UBERTO

Di tue pupille

Il soave balen… di quegli accenti

Il dolce suon… ma… chi a noi vien?

ELENA

Le care

Compagne mie son quelle,

Che all’apparir del giorno

Sollecite al mio sen fanno ritorno.

SCENA SESTA

Entrano le compagne d’Elena, che circondandola

le dirigono il seguente coro.

Infine Albina.

CORO

D’Inibaca,

Donzella,

Che fe’

D’immenso amor

Struggere un dì

Tremmor,

Terror del Norte,

Sei Elena

Più bella:

Per te

Di pari ardor

Avvampa così

Ognor Rodrigo, il forte.

UBERTO

(Rodrigo! che mai sento!)

ELENA

(Funesta rimembranza!)

UBERTO

(Di gelosia tormento!

Io già ti provo in me.)

ELENA

(Affetti miei! speranza

Più il Ciel a voi non diè!)

CORO

Indissolubili – Dolci ritorte,

O coppia amabile! – In te deh annodino

Beltà e valor.

E da l’eterea, – Celeste corte

I genii pronubi, – Il lieto innalzino

Canto di amor!

UBERTO

Sei già sposa? ed è Rodrigo,

Che dal Ciel tal sorte attende?

ELENA

Le mie barbare vicende

Che ti giova penetrar?

UBERTO

Forse… ah di’… non è l’oggetto

Che tu adori? un altro amante

Sospirar, languir ti fa?

ELENA

Ah! mi tolse un solo istante

Del mio cor la libertà.

UBERTO

(Quali accenti! e deggio in seno

Dolce speme alimentarti?

Ah sì! annunzi un tuo baleno

Tanta mia felicità!)

ELENA

(Quai tormenti! e come in seno

Posso, o speme, alimentarti?

Da me fugge qual baleno

Ogni mia felicità.)

UBERTO

(Ma son sorpreso

Se qui più resto!

Oh qual contrasto

Crudele è questo!)

Le compagne di Elena versano della cervogia

in una tazza a guisa di piccola conca e la porgono

ad Elena, dalla quale vien presentata ad Uberto,

che beve mentre esse cantano).

ELENA

L’ospital conca

Da me ricevi,

Gli oppressi spirti

Rinfranca, e bevi.

CORO

Ti siano fausti

I genii lari,

E a te sorridano

Pace, amistà.

UBERTO

Il tuo bel core

Deh a me conceda,

Che a’ miei compagni

Ben tosto io rieda.

ELENA

(vedendola giungere)

L’amica Albina,

Che all’uopo arriva,

All’altra riva

Ti condurrà.

UBERTO

Bella! al tuo lato

Sempre sarei!

ELENA

(con contegno imponente)

Hai tu obbliato,

Che ospite sei?

UBERTO

Lascia che imprima

Su quella mano…

ELENA

Costume in Morve

Non v’ha sì strano.

UBERTO

(Da lei dividermi

Come potrò?)

ELENA

(Qual dolce immagine

In me destò!)

UBERTO

(Cielo! in qual estasi

Rapir mi sento

D’inesprimibile

Dolce contento!

Di quai delizie

M’inebbria Amore!

Che cari palpiti

Pruovar mi fa!)

ELENA

(Cielo! in qual estasi

Rapir mi sento,

Se il mio bell’idolo

Talor rammento!

Di quai delizie

M’inebbria Amore!

Che cari palpiti

Pruovar mi fa!)

UBERTO e ELENA

Addio!

UBERTO

(Deh placati,

Fato crudel!)

ELENA

Propizio

Ti assista il Ciel!

(Elena entra nelle sue stanze. Uberto esce

scortato da Albina e dalle donzelle).

SCENA SETTIMA

Dalla parte opposta donde sono partiti

gl’indicati attori, si avanza concentrato ed a

passo lento il giovane Malcolm. Giunto in

mezzo alla scena, si scuote dal suo letargo,

guarda mestamente intorno, indi dice:

MALCOLM

Mura felici, ove il mio ben si aggira!

Dopo più lune io vi riveggo: ah! voi

Più al guardo mio non siete,

Come lo foste un dì, ridenti e liete!

Qui nacque, fra voi crebbe

L’innocente mio ardor: quanto soave

Fra voi scorrea mia vita

Al fianco di colei,

Che rispondea pietosa a’ voti miei!

Nemico nembo or vi rattrista, e agghiaccia

Il mio povero cor! mano crudele

A voi toglie, a me invola… oh rio martoro!

La vostra abitatrice, il mio tesoro.

Elena! oh tu, ch’io chiamo!

Deh vola a me un istante!

Tornami a dire: “io t’amo!”

Serbami la tua fé!

E allor, di te sicuro,

Anima mia! lo giuro,

Ti toglierò al più forte,

O morirò per te.

Grata a me fia la morte,

S’Elena mia non è.

Oh quante lacrime – Finor versai

Lungi languendo – Da’ tuoi bei rai!

Ogn’altro oggetto – È a me funesto;

Tutto è imperfetto, – Tutto detesto;

Di luce il cielo – No più non brilla,

Più non sfavilla – Astro per me.

Cara! tu sola – Mi dai la calma,

Tu rendi all’alma – Grata mercé!

SCENA OTTAVA

Serano e detto, poi Douglas ed Elena.

SERANO

Signor, giungi opportuno: al vallo intorno

Già di guerrieri eletta schiera è giunta,

E di poco precede

Il famoso Rodrigo. Oh come esulta

Douglas di gioia! un avvenir felice

Alla Scozia, alla figlia, a lui predice.

MALCOLM

(Qual fiero stato è il mio!

Straziata ho l’alma, e simular degg’io!)

SERANO

Tu non rispondi? il ciglio

Grave hai di pianto?

MALCOLM

Amico,

Lasciami al mio destin!

SERANO

(Ah! lo compiango!

Penetro la cagion del suo dolore!)

(Parte).

MALCOLM

Eccola! e con Douglas! forza o mio core!

(Resta inosservato).

DOUGLAS

Figlia, è così: sereno è il Cielo, arride

Di ogni alma a’ voti, e già di lieti evviva

In queste un tempo erme contrade or senti

Mille voci echeggiar. La Scozia oppressa

Le ombre irate degli avi al solo eroe,

Cui l’onor di esser sposa è a te serbato,

Volgon fremente il ciglio, e ‘l patrio onore

Affidano al suo brando. A te sol resta

Coronar tanta impresa, e la tua mano

Nel ben sentier di gloria,

L’alto campione affretti alla vittoria.

MALCOLM

(E resisto? e non moro!)

ELENA

(smaniando da sé)

Oh padre! e quando

Ferve bollor di guerra, allor che all’armi

Corre ogni età, mentre lo scudo imbraccia

La debil fanciullezza,

La tremula canizie, e tutto al guardo

Stragi presenta e bellici furori,

Parli di nozze, e vai destando amori?

MALCOLM

(Ah! mi è fedel!)

DOUGLAS

Sul labbro tuo stranieri

Son questi accenti, e fia l’estrema volta,

Ch’io da te l’oda. Ad obbedirmi apprenda

Chi audace mi disprezza:

Onte a soffrir non è quest’alma avvezza.

Taci, lo voglio, e basti;

Meglio il dover consiglia:

Mostrami in te la figlia

Degna del genitor.

Di un passaggero orgoglio

Perdono in te l’eccesso;

Ti dica questo amplesso,

Che mi sei cara ancor.

(Si sentono da lungi squillar le trombe).

Ma già le trombe squillano!

Giunge Rodrigo! oh sorte!

Io ti precedo: sieguimi,

Ed offri al prode, al forte

In puro omaggio il cor.

Di quelle trombe al suono

Ah! ridestar mi sento

Nel core, di forze spento,

L’usato mio valor.

(Parte).

ELENA

E nel fatal conflitto

Di amore e di dover, fra tante pene,

Elena, che farai?

MALCOLM

Mio caro bene!

ELENA

Malcolm! stelle! tu qui?

MALCOLM

Mi chiama in campo

Quella ragione istessa,

Che arma i prodi di Scozia.

ELENA

E in quale istante

Giungesti!

MALCOLM

E che? dell’amor tuo poss’io,

Elena, dubitar?

ELENA

Crudele! e puoi

Oltraggiarmi così?

MALCOLM

Se fida è dunque

A me quell’alma, io sfiderò le stelle:

Sì, de’ nostri tiranni

Resisterò al poter.

ELENA

Saprò morire

Esempio di costanza.

MALCOLM

A me la mano

Di giuramento in pegno.

ELENA

Eccola.

ELENA e MALCOLM

O sposi, o al tenebroso regno.

Vivere io non potrò,

Mio ben, senza di te;

Fra l’ombre scenderò

Pria che mancar di fé.

(Partono).

Vasta pianura, circondata da alti monti:

si vede da lungi altra parte del lago.

SCENA NONA

Rodrigo si avanza in mezzo ai guerrieri

del clan, che lietamente l’accolgono; indi

Douglas.

CORO

Qual rapido torrente,

Che vince ogni confin,

Se torbido e fremente

Piomba dal giogo alpin,

Così, se arditi in campo

Ne adduce il tuo valor,

Non troverà più scampo

L’ingiusto, l’oppressor.

Vieni, combatti e vinci,

Corri a’ novelli allori:

Premio di dolci ardori

Già ti prepara Amor.

RODRIGO

Eccomi a voi, miei prodi,

Onor del patrio suolo;

Se meco siete, io volo

Già l’oste a debellar.

Allor che i petti invade

Sacro di patria amore,

Sa ognor di mille spade

Un braccio trionfar.

CORO

Sì, patrio onor c’invade,

Guidaci a trionfar!

RODRIGO

Ma dov’è colei, che accende

Dolce fiamma nel mio seno?

De’ suoi lumi un sol baleno

Fa quest’anima bear!

Fausto Amor se a me sorride,

Io non so che più bramar!

Ed allor, qual nuovo Alcide,

Saprò in campo fulminar.

CORO

A’ tuoi voti Amor sorride,

Ah! ti affretta a giubilar!

DOUGLAS

Alfin mi è dato, amico,

Stringerti al sen: ah! di sì grato istante

Bramosa l’alma mia, più dell’usato

Le ali al tempo agitò.

RODRIGO

Di egual desìo

Fu anelante il mio cor.

DOUGLAS

Venga, e ne offenda

Or Giacomo, se il può. Rodrigo è in campo?

Seco è vittoria. Eventi i più felici

Brillano già da così lieti auspici.

RODRIGO

Se il saggio tuo consiglio

Il mio braccio avvalora,

Non dubitar, salva è la patria allora.

DOUGLAS

Il presagio felice

Avveri il Ciel!

RODRIGO

Ma teco

A che non è la figlia?

DOUGLAS

Io la precedo

Di pochi passi.

RODRIGO

Ignora forse il mio

Impaziente ardor?

DOUGLAS

Eccola!

RODRIGO

Amici!

Voi l’amata mia diva

Accogliete con plausi e lieti evviva.

SCENA ULTIMA

Elena, Albina e detti, indi tutti a suo tempo.

CORO

Vieni, o stella – Che lucida e bella

Vai brillando – Sul nostro orizzonte!

Tu serena – Deh mostra la fronte

A chi altero – È di tanta beltà.

E come brina,

Che mattutina,

La terra adusta

Bagnando va,

Così l’aspetto

De’ tuoi bei lumi

Di gioia il petto

Gl’inonda già.

RODRIGO

Quanto a quest’alma amante

Fia dolce un tale istante

Non può il mio labbro ‘esprimerti,

Né trova accenti Amor.

Ma che? tu taci, e pavida

Il ciglio abbassi ancor?

DOUGLAS

Loquace è il suo silenzio;

Il sai: loclinia vergine

Gli affetti suoi più teneri

Consacra al suo pudor.

ELENA

(Come celar le smanie

Che straziano il mio cor?

Non posso… oh Dio! resistere

A così rio dolor!)

DOUGLAS

(Del tuo dover dimentica

Ti rende altro amator?

Figlia sleal! paventami,

Trema del mio furor.)

RODRIGO

(A che i repressi gemiti?

A che quel suo pallor?

Ondeggio incerto, e palpito

Fra speme e fra timor!)

ELENA, RODRIGO e DOUGLAS

(Di opposti affetti un vortice

Già l’alma mia circonda…

Caligine profonda

Già opprime i sensi miei

Del più fatale orror!

Per sempre io ti perdei,

O calma del mio cor!)

(Malcolm alla testa de’ suoi seguaci si presenta

a Rodrigo).

MALCOLM

La mia spada, e la più fida

Schiera eletta a te presento:

Al cimento, a fier periglio,

Alla morte ancor me guida:

Mostrerò che un degno figlio

Può vantar la patria in me.

(Ah! di freno e di consiglio

Più capace il cor non è!)

ELENA

(Ah! lo veggo, e di consiglio

Più capace il cor non è!)

DOUGLAS

(Figlia iniqua, il tuo scompiglio

Veggo or ben chi desta in te!)

RODRIGO

Questo amplesso a te fia pegno

Di amichevoli ritorte:

La mia gioia or colma è al segno

Fra l’amico e la consorte!

Oh quai vincoli soavi

Di amistade e pura fé!

MALCOLM

La consorte! e chi?

RODRIGO

Nol sai?

DOUGLAS

Qual sorpresa!

RODRIGO

A’ dolci rai

Ardo ognor d’Elena bella…

MALCOLM

(in uno slancio inconsiderato)

Ah! non fia!

DOUGLAS

Che?

RODRIGO

Qual favella?

ELENA

Ah! non fia che a te contrasti

Sorte avversa il bel contento…

Volea dir…

MALCOLM

Ma…

ELENA

Tal momento

Fa quell’anima gioir…

(rapidamente e di nascosto a Malcolm

per frenarlo)

(Taci… oh Dio! per te pavento!

Ah! pietà del mio martir!)

RODRIGO

(Crudele sospetto,

Che mi agiti il petto,

Ah taci! comprendo…

Già d’ira m’accendo!

Le furie di averno

In seno mi stanno!

Sì barbaro affanno

No, pari non ha!)

ELENA e MALCOLM

(Ah celati o affetto

Nel misero petto!

Ei tutto comprende!

Minaccia! si accende!

E intanto quest’alma

Oppressa, smarrita,

Non trova più aita,

Più pace non ha!)

DOUGLAS

(Ah! l’ira, il dispetto,

Mi straziano il petto!

Ei tutto comprende!

Minaccia! si accende!

Sì… sono implacabile…

Vendetta mi affretta…

Un padre più misero

La terra non ha!)

ALBINA e CORO

(Crudele sospetto

Gli serpe nel petto!

Quai triste vicende!

Si adira! si accende!

Il Ciel par che ingombri

Un nembo assai fiero…

Sì cupo mistero

Qual termine avrà?)

(Giunge Serano frettoloso. I bardi lo seguono).

SERANO

Sul colle a Morve opposto

O stil drappello avanza…

CORO

Nemici!

DOUGLAS

Oh qual baldanza!

CORO

Nemici!

RODRIGO

Andiam… disperdansi…

Distruggansi gli audaci…

MALCOLM, RODRIGO e DOUGLAS

(Privato affanno ah taci!

Trionfa o patrio amor!)

RODRIGO

(a’ bardi)

A voi, sacri cantori!

Le voci ormai sciogliete:

In sen bellici ardori

Destate su, muovete;

Ed al tremendo segno,

Che a battagliar ne invita,

Mi giuri ogn’alma ardita

Di vincere o morir.

MALCOLM, DOUGLAS e CORO

Giura quest’alma ardita

Di vincer o morir.

(Un capitano reca e solleva in alto un

grande scudo, che fu del famoso Tremmor

secondo la tradizione degli antichi Brettoni.

Rodrigo con la sua lancia vi batte sopra tre

volte. Rispondono egualmente tutti i

guerrieri, battendo le aste su’ loro scudi).

UN PRIMO BARDO

Già un raggio forier

D’immenso splendor,

Addita il sentier

Di gloria, di onor.

GLI ALTRI BARDI

Oh figli di eroi!

Rodrigo è con voi.

Correte, struggete

Quel pugno di schiavi…

Già l’ombre degli avi

Vi pugnano allato…

Voi, fieri all’esempio

Di tanto valor,

Su, su! fate scempio

Del vostro oppressor!

ALBINA

E vinto il nemico,

Domato l’audace,

La gioia, la pace

In voi tornerà.

LE DONZELLE

E allora felici

Col core sereno

Le spose, gli amici

Stringendovi al seno,

L’ulivo all’alloro

Succeder saprà.

BARDI

Oh figli di eroi!

Rodrigo è con voi…

Correte, struggete

Il vostro oppressor.

RODRIGO

Allarmi o campioni!

La gloria ne attende…

(Qui una brillante meteora sfolgoreggia

nel cielo; fenomeno in quella regione

non insolito. Sorpresa in tutti).

TUTTI

Di luce si accende Insolita il ciel!

RODRIGO e DOUGLAS

D’illustre vittoria

Annunzio fedel!

BARDI

Correte… struggete

Il vostro oppressor.

MALCOLM, RODRIGO e DOUGLAS

Su… amici! guerrieri!

CORO DI GUERRIERI

Marciamo! struggiamo

Il nostro oppressor!

ALBINA, ELENA e DONZELLE

Su i nostri guerrieri

Compagne! imploriamo

Del Cielo il favor.

(Le donzelle con Albina si ritirano seguendo Elena,

mentre Rodrigo marciando alla testa di poderosa

schiera, Malcolm guidando i suoi seguaci, ed altri

duci facendo lo stesso pel piano e per le colline,

sgombrano interamente la scena, e si cala il sipario).

ATTO SECONDO

Folta boscaglia: grotta da un lato.

SCENA PRIMA

Uberto da pastore, indi Elena e Serano dalla

grotta.

UBERTO

Oh fiamma soave,

Che l’alma mi accendi!

Pietosa ti rendi

A un fido amator.

Per te forsennato

Affronto il periglio:

Non curo il mio stato,

Non ho più consiglio;

Vederti un momento,

Bearmi in quel ciglio

È il dolce contento,

Che anela il mio cor!

Sì, per te mio tesoro, in rozze spoglie,

Che al guardo altrui celar mi sanno, e in questa

Inospita foresta

Mi guida un cieco amor. Da che ti vidi

Perdei la pace, e porti in salvo io bramo

Dagli eventi di guerra, or che di sangue…

Di patrio sangue… ahi lasso!

Rosseggerà la Scozia. Ah! fu mendace

Forse colui, che, da me compro, il tuo

Solingo asilo a me svelò? qual fato

Crudele a me ti asconde?

Solo a’ gemiti miei l’eco risponde.

(Si aggira per la scena).

ELENA

(a Serano)

Va’, non temer: è meco Albina. Ah vola

Del padre in traccia. Egli tornar promise

Pria della pugna, e il termine già scorre,

Che al ritorno prefisse. Oh quanti in seno

Nuovi palpiti desta

Tanta tardanza, al mio timor funesta!

SERANO

Calma l’affanno: ad appagarti or vado;

Abbi cura di te.

(Parte).

ELENA

Da quanti affanni

È straziato il mio cor!

UBERTO

(ravvisandole)

Nume possente!

Tu arridi a’ voti miei!

ELENA

Un uom! Si fugga…

UBERTO

Ah ferma!

ELENA

E tu chi sei?

UBERTO

Non mi ravvisi?

ELENA

E chi?

UBERTO

Cure ospitali

Mi prodigò la tua bell’alma.

ELENA

Ah! è vero!

Or ti conosco. Ebben? da me che chiedi?

Chi spinge i passi tuoi? qual nutri ardire?

UBERTO

Dirti ch’io t’amo, e di tua man morire.

ELENA

Intempestivo ardor!

UBERTO

De’ tuoi bei lumi

Chi resiste al poter? E chi vederti

Può senza amarti? ah! se il tuo cor risponde

All’aspetto gentile;

Se qualche lusinghier, soave accento,

Che ti sfuggì dal labbro allor che teco

Io fui, non m’ingannò, non puoi, non dei

Esser crudele a chi t’adora.

ELENA

Oh quanto

Mi fai pietà!

UBERTO

Pietà tu senti? ah dunque

Spera mercede il mio cocente ardore?

ELENA

Ah! nol poss’io! non è più meco il core!

UBERTO

Come?

ELENA

Giova a te dirlo, onde fia spenta

La tua fiamma nascente. Amor mi strugge

Pel mio Malcolm. Inviolabil fede,

O morte io gli giurai del padre ad onta,

Che all’odiato Rodrigo

La mia destra promise. Ah! tu ben vedi,

Che spergiura io sarei,

Mostro d’infedeltade

Detestevole, orrendo,

Se i tuoi voti accogliessi.

UBERTO

Oh me dolente!

O sventurato amore!

ELENA

Mi fai pietà… ma non ho meco il core!

Alla ragion deh rieda

L’alma agitata, oppressa,

Ed all’amor succeda

La tenera amistà.

UBERTO

Arcani sì funesti

Perché tacermi, ingrata!

Allor che mi rendesti

Preda di tua beltà?

ELENA

Che amavi io non sapea…

UBERTO

Non tel diss’io?

ELENA

Credea,

Che gentilezza…

UBERTO

Amore…

Sì… in me possente Amore

Fiamma destò vorace ….

E la sua cruda face

Struggermi appien saprà!

ELENA

(Nume! se a’ miei sospiri

Pace donar non sai,

Almen de’ suoi martiri

Calma la crudeltà!)

UBERTO

(Io del suo cor tiranno?

Farla infelice io stesso?

Ah no… di Amore a danno

Virtù trionferà.)

Vincesti… addio!… rispetto

Gli affetti tuoi…

ELENA

Ten vai?

UBERTO

A che mirar quei rai

Severi ognor per me?

ELENA

Se de’ tuoi giusti lai

La rea cagion son io,

Squarciami un cor che mai

Darti saprà mercé!

UBERTO

No, cara: anzi desio

Pegno di mia costanza

Lasciarti in rimembranza,

Che sacro io sono a te.

ELENA

E qual?

UBERTO

Da rio periglio

Salvai di Scozia il Re.

Il suo gemmato anello

Egli mi dié: tel dono.

(Le mette al dito il suo anello).

Se mai destin rubello

Te, il genitor, l’amante

Sa minacciar, dinante

Ti rendi al Re: la gemma

Appena mostrerai,

Grazia per tutti avrai;

E ad appagarti intento

Sempre il suo cor sarà.

ELENA

E il mio rigor contento

Renderti… oh Dio! non sa?

UBERTO

Ah! basta al mio tormento

Destar la tua pietà.

SCENA SECONDA

Rodrigo in osservazione e detti.

RODRIGO

(Misere mie pupille!

Che più a mirar vi resta?

Oh gelosia funesta!

Oh ria fatalità!)

(Scovrendosi e dirigendosi ad Uberto).

Parla.. chi sei?

ELENA

(Rodrigo!)

UBERTO

(Egli! oh furor!)

ELENA

(Destino

Crudel!)

RODRIGO

Non sembri Alpino!

Sei tu del clan?

UBERTO

Ne aborro

L’infausto nome.

RODRIGO

Amico

Forse del Re?

UBERTO

Lo sono…

RODRIGO

Che ascolto?

ELENA

Incauto!

UBERTO

E tale!

Che te non teme, e quanti

Perversi ha il Re nemici.

RODRIGO

Perversi?

ELENA

Oh ciel! che dici!

Frenati!… ah qual martire!

UBERTO

Tu mi vedrai morire…

Non so che sia viltà.

ELENA

(Mi sento… oh Dio! morire!

Mancando il cor mi va!)

RODRIGO

(Qual temerario ardire!

Frenarmi e chi potrà?)

Né ancor ti arrendi, audace?

UBERTO

Ov’è il tuo stuol seguace,

Che i suoi doveri obblia?

Alla presenza mia

Impallidir saprà.

RODRIGO

Da’ vostri aguati uscite,

Figli di guerra!

(Al suo grido vedesi tutta la scena ingombra

in un istante di guerrieri del clan, che erano

nascosti ne’ folti cespugli del bosco).

GUERRIERI

A’ tuoi

Cenni siam pronti.

RODRIGO

Ostenta

Orgoglio, or più, se il puoi…

ELENA

Che miro! oh Dio!

RODRIGO

Paventa

Di quegli acciari al lampo…

Per te non vi è più scampo…

(a’ guerrieri, che nello slanciarsi si fermano

alle grida di Elena)

Ferite un traditor.

ELENA

Fermate!

UBERTO

E tu guerriero?

ELENA

Cedete a’ pianti miei…

UBERTO

No… di vil gregge sei

Malvagio conduttor!

RODRIGO

Cessate! io basto… io solo

Domar vo’ tant’orgoglio…

UBERTO

Un ferro… un’arme io voglio…

(Rodrigo gli dà la spada di un guerriero).

ELENA

Scenda in voi pace…

UBERTO e RODRIGO

Allarmi!

No… più non so frenarmi!

Mi guida il mio furor!

ELENA

Io son la misera,

Che morte attendo…

Su… su… scagliatevi…

Non mi difendo…

Se i giorni miei

Troncar vi piace,

Di orror la face

Si spegnerà.

UBERTO e RODRIGO

Vendetta! accendimi

Di rabbia il seno!

Nel petto ah versami

Il tuo veleno!

(Al rivale)

Vieni al cimento…

Io non ti temo…

L’istante estremo

Ti giungerà.

CORO

Ah! tanto ardire

Ne’ nostri petti

Oh come l’ire

Destando va!

(Rodrigo ed Uberto partono per un lato.

Elena li segue co’ guerrieri).

Grotta.

SCENA TERZA

Albina, indi Malcolm, poi Serano, infine coro

di Alpini.

ALBINA

Quante sciagure in un sol giorno aduna

L’avverso Ciel per tormentare un core!

Elena sventurata!

Per quanti cari oggetti

Palpitar ti vegg’io? né splende in cielo

Raggio di luce a dissipar quel velo,

Che covre il tuo destin…

MALCOLM

Elena… ah dimmi

Dov’è?

ALBINA

Di questo speco All’ingresso non era?

MALCOLM

Ah! no…

ALBINA

Del padre

Serve al cenno così? qui preservarla

Credea dall’ira ostil.

MALCOLM

Ah! ferve intanto

Terribil pugna… han le reali schiere

Penetrato nel clan: Rodrigo istesso

Con ignoto campione

È a singolar certame. Un cor pietoso

Mi fe’ sperar che qui trovata avrei

Elena mia. Salvarla, o in sua difesa

Perir volea.

ALBINA

Mosse le piante al fianco

Del fedele Serano, e poi…

(a Serano che giunge)

Ma… vieni.

Dimmi, e teco non riede

La figlia di Douglas?

SERANO

Del padre in traccia

Un suo cenno mi trasse: il vidi… oh Dio!

Smarrito in volto… “Ah vanne…

Vanne”, disse, “alla figlia, e la difendi.

Dille che al Re m’invio: se la mia morte

Può placar l’ira sua, se in questa guisa

Pace alla patria mia donar mi è dato,

Dille che il mio morir troppo è a me grato!”

MALCOLM

Come!

ALBINA

E ad Elena tu?

SERANO

Tutto narrai,

E già fuor di se stessa

Corre alla reggia.

ALBINA

Oh sciagurata! oh pena!

MALCOLM

Ah tu il sentier mi addita,

Che segnò l’infelice…

SERANO

Al par del lampo

Dal guardo mio sparì.

MALCOLM

Stelle spietate!

E a tante pene i giorni miei serbate?

Ah si pera: ormai la morte

Fia sollievo a’ mali miei,

Se s’invola me colei

Che mi resse in vita ognor.

Mio tesoro! io ti perdei!

Dolce speme del mio cor!

GUERRIERI

(di dentro)

Douglas! Douglas! ti salva!

ALBINA e SERANO

Quai voci!

MALCOLM

E chi si avanza?

GUERRIERI

Douglas dov’è?

MALCOLM

Che avvenne?

GUERRIERI

Ah! più non v’è speranza…

Cadde Rodrigo estinto…

ALBINA e SERANO

Avverso Ciel!

GUERRIERI

Ha vinto

Di Scozia il Re ….

MALCOLM

Che sento!

GUERRIERI

Ne insegue, e dà spavento

Già l’oste vincitrice…

MALCOLM

Che sento! oh me infelice!

Elena! amici! oh Dio!

Fato crudele e rio!

Fia pago il tuo furor!

Ah! chi provò del mio

Più barbaro dolor?

ALBINA, SERANO e GUERRIERI

Fato crudele e rio!

Fia pago il tuo furor.

(Malcolm parte co’ guerrieri).

ALBINA

E dove avrem noi scampo?

SERANO

Il mio destino

Io qui tranquillo attendo.

ALBINA

Oh qual sorse per noi giorno tremendo!

Stanza nella reggia di Stirling.

SCENA QUARTA

Giacomo, Douglas da guerriero, ma senza

elmo e spada, guardie, infine Bemam.

GIACOMO

E tanto osasti?

DOUGLAS

Io mi presento, o Sire

Volontario al tuo piè. Grazia non chieggo

Pe’ giorni miei. Di sanguinosa guerra

Arde la face, e la mia morte

Basta a spegnerla appieno. Ah! su la figlia,

E su quanti, pietosi al mio destino,

Mi difesero in campo,

Scenda la tua clemenza!

GIACOMO

E quale oggetto

Sotto ignote divise

Te condusse al torneo che celebrava

La mia vittoria? audace! a che ostentarmi

Tanto valor, tutti atterrando i prodi,

Che venner teco al paragon dell’armi,

E in aperta tenzon?

DOUGLAS

Sperai destarti

Delle antiche mie gesta

Rimembranza così: Giacomo solo,

Del precettor che l’educò alla gloria,

Riconoscer potea gli usati modi

Nel battagliar.

GIACOMO

Ma a cancellar non basta

I tuoi falli un tal passo.

(Alle guardie, che circondano Douglas)

Olà! serbate

Al mio sdegno costui.

DOUGLAS

Lo merito: attendo

In pace i cenni tuoi. Figlia infelice!

Sol mi è grave il morir, perché lasciarti

Deggio misera e sola!

GIACOMO

E ancor non parti?

(Douglas è condotto via).

Quanto all’alma tu costi,

Simulato rigor! son ne’ miei lacci

I più forti nemici… ah! se Malcolm…

Se quel rival…

BERTRAM

Signor, parlarti brama

Donna, molle di pianto, e quella gemma,

Che ornò tua destra, a me mostrando…

GIACOMO

(E dessa!)

Venga, ed a lei si taccia

Ch’io sono il Re. Ti attendo alle mie stanze:

Quanto voglio, saprai.

BERTRAM

Vado. (Parte).

GIACOMO

Quale distanza

V’ha dal mio core al tuo, donna! vedrai.

(Entra).

SCENA QUINTA

Bertram introduce Elena.

BERTRAM

Attendi: il Re fra poco

Ti ascolterà.

(Entra nelle regie stanze).

ELENA

Reggia, ove nacqui, oh quanto

Fremo in vederti! alle sventure mie

Tu fosti culla! assai di te più caro

Mi era l’albergo umil, dove or nel padre,

Or nell’oggetto amato

Pascea lo sguardo, e lor posava allato.

Ma qui sola! ov’è il Re? chi al regio aspetto

Mi guiderà? Se il generoso amico

Non m’ingannò, del genitor la vita,

Di Malcolm, di Rodrigo

Spero salvar… che sento!

Qual dolce suon! che amabile concento!

GIACOMO

(canta dalle sue stanze)

Aurora! ah sorgerai

Avversa ognor per me?

D’Elena i vaghi rai

Mostrarmi… oh Dio! perché?

E poi rapirmi, o barbara!

Quel don ch’ebb’io da te?

ELENA

Stelle! sembra! egli stesso! ah! qual sorpresa!

Né mi pose in obblio?

Di me si duole! e che sperar poss’io?

SCENA SESTA

Comparisce Giacomo: Elena va frettolosa ad

incontrarlo.

ELENA

Eccolo! amica sorte

Ti presenta a’ miei voti,

O generoso cor!

GIACOMO Da me che chiedi?

ELENA

Il tuo don non rammenti? ah sì, tu stesso

Mi guida al Re.

GIACOMO

Tu lo vedrai.

ELENA

Perdona

Alla impazienza mia: di un breve istante

Non indugiar: sacro dover di figlia

Al trono m’avvicina.

GIACOMO

Ebben, tu il vuoi?

E chi sa opporsi a’ desideri tuoi?

(Si appressa ad una gran porta in fondo, che

aprendosi lascia vedere quanto di magnificenza

possa comprendere la sala del trono).

SCENA ULTIMA

Bertram, Grandi e dame, che circondano il

trono, indi gli attori che verranno enunciati.

CORO

Imponga il Re: noi siamo

Servi del suo voler;

Il Grande in lui vantiamo,

Il padre ed il guerrrier.

ELENA

Ah! che vedo! qual fasto!

Ma fra tanto ov’è il Re? proni e devoti

Miro tutti, ma invano

Cerco chi sia fra questi il lor sovrano.

GIACOMO

Eppure è qui.

ELENA

Ma qual?… Stelle! ogni sguardo

È a te rivolto? il capo tuo coverto,

La piuma che dagli altri ti distingue…

Saresti mai?… gran Dio!

Deh avvera i dubbi miei…

GIACOMO

(indicando se stesso)

Il Re chiedesti? e al fianco suo tu sei.

ELENA

Tu stesso? ah! qual sorpresa! a’ piedi tuoi…

GIACOMO

Sorgi, l’amico io son: di mie promesse

Il fido esecutor; parla, che brami?

ELENA

Ah! non lo ignori… il genitor…

GIACOMO

Ebbene…

Il padre è reo, ma alla sua figlia il dono…

(Ad un suo cenno vien fuora Douglas)

Vieni Douglas… l’abbraccia… io ti perdono.

DOUGLAS

Ah figlia!

ELENA

Ah padre mio!

ELENA e DOUGLAS

Signor… deh, lascia…

GIACOMO

Obblìo

Tutto per te: tu, Lord Bothwel, riprendi

Gli stati tuoi.

DOUGLAS

Tutto il mio sangue in segno

Di grato cor…

GIACOMO

Appien contenta, il veggo,

Elena ancor non è: favella.

ELENA

Ah Sire!

I giorni di Rodrigo

GIACOMO

Egli? infelice!

Ah! non è più!

ELENA

Che ascolto! oh sventurato!

DOUGLAS

Oh amico sciagurato!

GIACOMO

Alla clemenza

Diedi abbastanza, e di giustizia or deggio

Dar rigoroso esempio. Venga Malcolm.

ELENA

Ascolta…

GIACOMO

Alcun non osi

Chieder grazia per lui.

ELENA

(Come salvarlo?)

MALCOLM

(viene tra le guardie)

(Elena! oh rio destin!)

GIACOMO

Giovane audace!

A me ti appressa: un mancator degg’io

Punire in te…

MALCOLM

Ah Prence! il fallo mio…

GIACOMO

Pietà non merta, e dell’error ben degna

Avrai tu pena.

(Depone la sua ostentata fierezza, lo alza,

lo abbraccia e gli appende al collo la sua

gemmata collana)

Ah sorgi, e questo sia

Pegno del mio favor.

Porgi la destra…

(unisce le destre di Elena e di Malcolm )

Siate felici, il Ciel vi arrida.

ELENA, MALCOLM e DOUGLAS

Oh stelle!

BERTRAM e CORO

Oh Re clemente!

GIACOMO

Altro a bramar ti resta?

ELENA

Io… Sire… qual piacer!… qual gioia è questa!

Tanti affetti in un momento

Mi si fanno al core intorno,

Che l’immenso mio contento

Io non posso a te spiegar.

Deh! il silenzio sia loquace…

Tutto dica un tronco accento…

Ah signor! la bella pace

Tu sapesti a me donar.

TUTTI col CORO

Ah sì… torni in te la pace,

Puoi contenta respirar.

ELENA

Fra il padre e fra l’amante

Oh qual beato istante!

Ah! chi sperar potea

Tanta felicità!

Beethoven: quattro quartetti con pianoforte

Ludwig van Beethoven

Quattro quartetti con pianoforte

Quartetto Beethoven

Disco 1 facciata A: Quartetto con pianoforte N.1 in mi bemolle maggiore
Disco 1 facciata B: Quartetto con pianoforte N.2 in re maggiore
Disco 2 facciata A: Quartetto con pianoforte N.3 in do maggiore
Disco 2 facciata B: Quartetto in mi bemolle maggiore OP.16

Scarica qui i quattro quartetti per pianoforte di Beethoven

Sebbene non cosi precoce compositore come Mozart — che a sei anni scriveva pezzettini piacevolissimi e a otto quei piccoli capolavori che sono le Sonate K.10-16 Beethoven produsse verso i dodici quindici anni alcuni lavori sui quali la critica, come vedremo, potrebbe benissimo soffermarsi indipendentemente dalla loro attribuzione ad un fanciullo chiamato Beethoven, ma che, essendo per l’appunto opera di Beethoven fanciullo, vengono studiati con molta attenzione e sono stati non di rado eseguiti. A meno di dodici anni di età Beethoven scriveva le Variazioni su una marcia di Dressler per pianoforte, tra i dodici e i tredici tre Sonate per pianoforte, a quattordici un Concerto in mi bemolle maggiore per pianoforte. A quindici anni componeva tre Quartetti per pianoforte, violino viola e violoncello che non vennero allora pubblicati, al contrario di quanto era avvenuto con le variazioni e con le Sonate, e che apparvero in edizione a stampa solo nel 1828, presso l’editore Artaria di Vienna. Non essendo stati classificati da Beethoven nel catalogo delle sue opere, i tre Quartetti furono elencati nella sezione “Opere senza numero d’opera” (Werke ohne Opuszahlen) del fondamentale catalogo beethoveniano Kinsky-Halrn, con il numero d’ordine 36: sono dunque noti come Quartetti VOo 36 n. 1, 2 e 3. Tutte le prime composizioni di Beethoven nascono sotto il segno del pianoforte: Beethoven era infatti un pianista di istinto, di virtuosismo ricco e impetuoso, ed intendeva formarsi il repertorio del pianista-conpositore, figura affermatasi negli anni tra il 1760 e il 1780 con Johann Christian Bach, Schobert, Htillmandel, Schroeter, Mozart, e soprattutto con Clementi. Il quartetto per pianoforte e archi non apparteneva però ad un genere consacrato e di lunga tradizione. Il primo esempio di quartetto per pianoforte, violino, viola e violoncello dovrebbe risalire a circa il 1778: e il Quartetto in mi bemolle maggiore dell’abate Joseph Vogler, che fu pubblicato a Parigi nel 1781 e che fu probabilmente noto a Beethoven. Non si conoscono esempi analoghi fino al 1785; ciò non significa che non ne siano esistiti in assoluto (i repertori bibliografici settecenteschi sono lacunosi), ma basta a dimostrare che il genere non si era ancora affermato. Erano invece comuni, diffusissime, sia le sonate per pianoforte con accompagnamento di violino e violoncello, sia le riduzioni per pianoforte e complesso d’archi (più spesso due violini e basso) di concerti per pianoforte, riduzioni che potevano essere eseguite anche nella formazione minima di pianoforte e tre archi. Nei suo tre quartetti Beethoven oscilla quindi fra la tradizione della sonata con accompagnamento e la tradizione del concerto, riuscendo solo a tratti ad individuare la nuova forma del quartetto concertante. Ciò non toglie però che Beethoven, a quindici anni, non sapesse dar prova di una eccezionale sensibilità storica, tentando appunto un genere nuovo, per il quale egli, fanciullo, non poteva assumere un modello sicuro, ma le cui potenzialità lo stimolavano alla creazione. I problemi compositivi del quartetto per pianoforte e archi furono poco più tardi risolti da Mozart, che nell’autunno del 1785 compose il Quartetto in sol minore K 478 e nel giugno del 1786 il Quartetto in mi bemolle maggiore K 493. Mozart era sui trent’anni, ed aveva raggiunto la piena maturità artistica. I tre Quartetti di Beethoven, non paragonabili ai due di Mozart, testimoniano tuttavia uno spirito di ricerca che li renderebbe comunque degni di passare alla storia, anche se non fossero opera di un ragazzo, e anche se quel ragazzo non si fosse chiamato Beethoven. Il Quartetto op. 16, come diremo meglio poi, non e una composizione originale per quartetto con pianoforte, ma una versione alternativa del Quintetto op. 16 per pianoforte e fiati. Beethoven non scrisse altri quartetti per pianoforte e archi e quindi le sue “esperienze sul genere” restano esclusivamente legate all periodo della sua prima formazione.

Quartetto WoO 36 n. 1

Adagio assai (mi bemolle maggiore, 2/4) – Allegro con spirito (mi bemolle minore, 3/4) Thema. Cantabile (mi bemolle maggiore, 2/4) – Var. I. — Var. II. – Var. III. Adagio – Var. IV. Tempo I – Var. V. (mi bemolle minore) — Var. VI. (mi bemolle maggiore) – Thema. Allegretto – Coda.
Nel suo primo Quartetto Beethoven adotta lo schema formale della composizione in due tempi, con adagio introduttivo al primo tempo. Si tratta di uno schema rarissimo, che Beethoven molto probabilmente mutuò dalla Sonata per violino e pianoforte K 379 di Mozart (pubblicata nel 1781), ma che avrebbe successivamente ripreso nelle Sonate per violoncello e pianoforte op. 5. Al contrario di quanto avviene con gli adagi introduttivi delle composizioni in tre tempi, l’adagio introduttivo delle composizioni in due tempi può essere molto ampio. L’Adagio del Quartetto WoO 36 n. 1 e di settanta battute, suddiviso in due parti, con ripetizione della prima parte. Le proporzioni monumentali dell’adagio introduttivo, che permettono di affermare la tonalità generale di mi bemolle maggiore, consentono a Beethoven di impiantare l’allegro nella cupa tonalità di mi bemolle maggiore. L’Allegro é di taglio nettamente sinfonico, quasi un tempo di sinfonia Sturm und Drang; la scrittura strumentale, che nell’Adagio era impostata sulle masse contrapposte del pianoforte e degli archi, a volta a volta protagoniste o accompagnanti, nell’allegro è a blocco unico, molto compatta. La forma e quella della cosiddetta forma-sonata (esposizione, sviluppo, riesposizione) ma, al contrario di quanto avviene nella forma-sonata più tipica, l’esposizione comprende un secondo tema suddiviso in due gruppi tematici. Il primo tema e in mi bemolle minore, il secondo in si bemolle minore. Mentre nell’Adagio introduttivo e nell’esposizione dell’Allegro si notano le felici capacita di invenzione tematica e la serrata forza discorsiva del Beethoven quindicenne, nello sviluppo si nota la sua inesperienza di compositore; lo sviluppo e infatti brevissimo, e consiste soltanto in una specie di intermezzo molto elementare, prima della riesposizione. La riesposizione non presenta caratteristiche degne di nota. Per il secondo tempo, come Mozart nella già citata Sonata K 379, Beethoven sceglie la forma del tema con variazioni. Il tema e esposto dal pianoforte, accompagnato dagli archi in modo molto schematico, e le prime quattro variazioni sono organizzate secondo un “cerimoniale”, più che secondo un’idea formale. In ciascuna di esse è protagonista uno strumento: nella prima il pianoforte, nella seconda il violino, nella terza la viola, nella quarta il violoncello. La quinta e la sesta variazione tendono invece a mettere in mostra il virtuosismo del pianista: grande agilità della mano sinistra nella quinta (in mi bemolle minore), agilità della mano destra nella sesta. Il tema viene quindi ripreso in una strumentazione diversa da quella dell’inizio, e cioè con gli archi non più in funzione di semplice accompagnamento. Segue una breve coda, ed il secondo tempo — inaspettatamente, dopo tanto sfoggio di virtuosismo — termina in “pianissimo”.

Quartetto WoO 36 n. 2

Allegro moderato (re maggiore, tempo ordinario) – Andante con moto (fa diesis minore, 3/4) – Rondò. Allegro (re maggiore, 6/8).
Lo schema formale del secondo Quartetto e quello, usuale, in tre tempi. Primo tempo in forma-sonata, anche in questo caso con secondo tema articolato in due gruppi tematici. Lo sviluppo e proporzionalmente assai più ampio di quanto non fosse nel primo Quartetto, ma anche in questo caso, più che di sviluppo dei temi esposti, si tratta di intermezzo che collega esposizione e riesposizione. La riesposizione è seguita da una coda: compare qui l’idea formale della coda che nell’equilibrio architettonico del primo tempo serve a bilanciare la brevità dello sviluppo, idea che diverrà più tardi prediletta da Beethoven. Ma in questa circostanza si tratta di un’idea più drammatica che formale, o vorremmo dire addirittura di un colpo di scena.
Il primo tempo tutto condotto con ritmi scattanti e balzanti, tutto brillante ed estroverso, si spegne su due accordi lungamente tenuti. (“mancando” e “pianissimo”, dice la didascalia), in rapporto cosiddetto di “cadenza plagale”, assai più raro e meno perentoriamente conclusivo del consueto rapporto di “cadenza perfetta”. La tonalità del secondo tempo, fa diesis minore, e abbastanza sorprendente, perché dopo un primo tempo in re maggiore l’ascoltatore si sarebbe aspettato un secondo tempo in sol maggiore o in la maggiore, o tutt’al più in si minore o in mi minore. La successione delle tonalità da anche in questo caso, come nel primo Quartetto, un colore tonale insolito e personale alla composizione. Anche la forma è insolita perché, al posto della consueta forma di canzone tripartita, Beethoven sceglie la forma-sonata, in una versione – riesposizione senza il primo tema – che molti anni più tardi diverrà basilare in Chopin. Beethoven introduce inoltre la variante timbrica del pizzicato degli archi (appena accennata, e solo in funzione di accompagnamento, nella prima variazione del secondo tempo del Quartetto n. 1 e nel primo tempo del Quartetto n. 2). Tutte queste caratteristiche testimoniano una volontà di ricerca, un’ansia di andare oltre il consueto ed il comune, che e ben tipica di Beethoven, ma che finisce per creare problemi compositivi non ancora risolubili dal ragazzo di quindici anni. Cosicché, a parer nostro, la qualità musicale della composizione non sembra corrispondere alle ambizioni ed all’importanza dei mezzi che vi vengono messi in opera. Il terzo tempo è un rondò, basato su un tema principale che preannuncia il tema popolaresco e scanzonato del finale della Sonata per pianoforte e violino op. 12 n. 1. Lo schema formale è quello, solito, del rondò a tre temi e sette episodi. Anche il terzo tempo, come il primo, finisce con un piccolo colpo di scena: il pianoforte, che aveva dominato con la sua agilità tutto il brano, non suona nelle ultime battute. E evidente che Beethoven, avendo inteso dare al terzo tempo il carattere di finale di concerto per pianoforte, preferisce terminare, come si usava nei concerti, senza la partecipazione del solista.

Quartetto WoO 36 n. 3 Allegro vivace (do maggiore, tempo ordinario) – Adagio con espressione (fa maggiore, 3/4) – Rondò. Allegro (do maggiore, tempo tagliato)

Il terzo Quartetto, e in particolare il primo tempo, dimostrano un’influenza delle sonate brillanti di Muzio Clementi: di tipo nettamente clementino e il primo tema del primo tempo, e la scrittura strumentale, basata sul predominio virtuosistico del pianoforte, ricorda quella delle sonate di Clementi con accompagnamento ad libitum di violino e violoncello. Gli ascoltatori riconosceranno facilmente due elementi tematici che, lievemente modificati, ritorneranno nel primo tempo della Sonata per pianoforte op. 2 n. 3, ed un tema, in sol minore, che ritornerà quasi identico nello stesso primo tempo della Sonata op. 2 n. 3. Il primo tempo del Quartetto è in forma-sonata, con due gruppi tematici a formare il secondo tema. Molto interessante lo sviluppo. Beethoven lo inizia al modo di un intermezzo, ma ne blocca subito il corso, dopo sole sei battute, per attaccare un vero e proprio sviluppo dei temi esposti nella prima parte. Di eccellente effetto e anche la transizione dallo sviluppo alla riesposizione, in un misterioso episodio a canone di otto battute. La riesposizione e abbreviata. Le proporzioni architettoniche del primo tempo (67 battute di esposizione, 43 di sviluppo, 46 di riesposizione) sono molto equilibrate, ed il progresso nel dominio della forma-sonata, rispetto ai primi due Quartetti, appare decisivo. Il secondo tempo e in forma di canzone, ed e basato su un tema già cosi tipicamente beethoveniano da poter essere ripreso, dieci anni dopo, nella Sonata per pianoforte op. 2 n. 1. E’ da notare, nella parte di mezzo, l’impiego solistico del violino e poi della viola: è da notare in quanto, come abbiamo avuto occasione di accennare, nei tre Quartetti il ruolo largamente preponderante e affidato al pianoforte. Il rondò finale non presenta caratteristiche formali particolari: e un rondò a tre temi e cinque episodi, formalmente più sommario del rondò del secondo Quartetto, e che si affida, più che all’elaborazione compositiva, alla forza trascinante del ritmo, in un andamento quasi da moto perpetuo.

Quartetto op. 16 Grave (mi bemolle maggiore, tempo ordinario) – Allegro, ma non troppo (mi bemolle maggiore, 3/4) — Andante cantabile (si bemolle maggiore, 2/4) – Rondò. Allegro, ma non troppo (mi bemolle maggio- 9 re, 6/ 8).

Il costume editoriale settecentesco e ottocentesco prevedeva che delle composizioni strumentali e delle opere teatrali di successo venissero pubblicate trascrizioni, complete o parziali, per diversi strumenti e complessi strumentali. E siccome, fino a quando non venne riconosciuto il diritto d’autore, chiunque poteva pubblicare trascrizioni di qualsiasi composizione stampata, in molti casi furono i compositori che, per evitare le malefatte dei mestieranti, prepararono essi stessi le trascrizioni o le fecero preparare, sotto il loro controllo, da abili artigiani. Quest’uso decadde progressivamente con l’invenzione e la diffusione della esecuzione riprodotta con mezzi meccanici (dischi, più tardi registrazioni), e le vecchie trascrizioni non solo vennero dimenticate, ma venne giudicata negativamente qualsiasi forma di trascrizione, anche dell’autore, che apparisse dettata da motivazioni editoriali. Oggi, dopo che la pubblicistica musicale e stata studiata con maggior attenzione, si tende a non fare più di ogni erba un fascio e a distinguere tra adattamenti, arrangiamenti, trascrizioni, versioni alternative. Ed è evidente che le quattro suddivisioni indicano anche quattro diversi gradi di dignità artistica. Il Quintetto op. 16 e uno dei pochissimi lavori — altri sono, ad esempio, la Sonata op. 14 n. 1 per pianoforte, il Trio op.11, il Settimino, la Seconda Sinfonia, il Concerto per violino che Beethoven pubblico in più versioni. Si potrebbe certamente discutere se e quando Beethoven intendesse la seconda versione come trascrizione e quando come versione alternativa. Ma noi, senza tentare qui di addentrarci in una materia che per essere trattata adeguatamente vorrebbe molto spazio, ci limiteremo a dire che, a parer nostro, il Quartetto op. 16 per pianoforte, violino, viola e violoncello è da intendere come versione alternativa del Quintetto op. 16 per pianoforte, oboe, clarinetto, o corno e fagotto. Ciò non significa che l’op. 16 non sia da preferirsi nella versione per quintetto: la specificità del medium timbrico non e elemento secondario della composizione, ed il rapporto pianoforte-fiati è ben diverso dal rapporto pianoforte-archi. La versione per quartetto è pero pienamente legittimata dalla firma di un compositore, che molto di rado si lasciò convincere a preparare diverse versioni delle sue opere, e che di solito si rassegnò agli usi editoriali senza mettervi mano in prima persona. Il Quintetto op. 16 venne composto tra il 1796 e il 1797, e fu eseguito a Vienna il 6 aprile 1797, con Beethoven al pianoforte, nel corso di un concerto tenuto dal violinista Ignaz Schuppanzig in una sala della rosticceria Jahn. La pubblicazione ebbe luogo solo nel 1801, presso l’editore Mollo di Vienna, con dedica “al principe regnante di Schwarzenberg”. La versione per quartetto dovrebbe essere coeva a quella per quintetto, e la pubblicazione delle due versioni fu simultanea. Non si ha notizia di esecuzioni pubbliche della versione per quartetto.

Sebbene scritto nel 1796-97, il Quintetto op. 16 adotta forme e linguaggio più tradizionali di quelli delle Sonate op. 2 per pianoforte (1794-95) o delle Sonate op. 5 per violoncello e pianoforte (1796). Beethoven sentiva il problema dell’originalità creativa prima di tutto come problema dei generi, e quando affrontava un genere nuovo preferiva basarsi su qualche modello insigne invece che sulle sue scoperte in altri generi. Il Quintetto op. 16 ( e il Quartetto, nel quale la struttura compositiva e linguistica del Quintetto non viene minimamente modificata) assume a modello il grande Quintetto K 452 di Mozart, composto nel 1784. Di qui il carattere marcatamente mozartiano delle strutture formali e dei temi, nonché l’andamento colloquiale di tutta la composizione. Il problema dei generi significava infatti anche, per Beethoven come per Mozart, problema di pubblico. Alla fine del Settecento la sonata per pianoforte solo o per pianoforte e uno strumento erano di norma indirizzate ai dilettanti colti e ad un loro ristretto nucleo, familiare e sociale, di poche decine di persone. La sinfonia e il concerto si rivolgevano ad un pubblico di grande salone aristocratico o di piccolo teatro, valutabile intorno alle cinquecento persone. Il quintetto con pianoforte e le formazioni di sestetto, settimini, ecc. erano pensati per piccole sale aperte e un pubblico eterogeneo e non pagante (i cosiddetti Dukaten-Concerte, primo esempio di concerti da camera a pagamento, iniziano a Vienna verso il 1815), e costituivano il momento culminante di un intrattenimento vario e lungo. Il pubblico che ascoltava un complesso da camera tendeva a stabilire al suo interno un rapporto sociale mondano si, ma ancora comunitario, non formale ed anonimo come quello che si instaurava tra gli ascoltatori di una sinfonia, per i quali il momento comunitario era puramente spirituale e riguardava solo l’ascolto. Il rapporto comunitario era del resto, evidentemente, meno profondo e meno impegnativo quanto più numeroso ed eterogeneo era il pubblico: di qui la minore audacia del Quintetto o del Settimino, e più tardi della Prima Sinfonia, rispetto alle coeve sonate per pianoforte. Beethoven, sensibilissimo al problema del pubblico nella sua giovinezza, seppe conquistare i viennesi proprio perché produsse lavori che nello stesso tempo interessavano, per la loro originalità, e non sconcertavano, per i loro diretti rapporti con i generi, i diversi strati di ascoltatori ai quali erano di volta in volta indirizzati. Con il Quintetto op. 16, e con il Settimino op. 20, che fu l’altro suo grande successo mondano a Vienna, Beethoven si qualificò dunque presso un pubblico intermedio tra quello del salotto e quello del teatro, prima di affrontare la sinfonia, con la quale avrebbe esordito solo alla fine del secolo, molti anni dopo essersi stabilito nella capitale austriaca ed alla conclusione di un “assedio” alla società viennese studiato con la penetrante intelligenza di un vero stratega.

Piero Rattalino

Mozart: Concerti KV449, KV491

Ecco un’altra splendida incisione della musica di Mozart della Deutsche Grammophon; Due concerti interpretati dalla Camerata academia des Salzburger Mozarteums, direttore e solista Geza Anda.

Nella prima facciata ti propongo il concerto per piano e orchestra Nr. 14 in mi bemolle maggiore K.449,
1 allegro vivave
2 andantino
3 allegro ma non troppo


Nella seconda facciata il concerto per piano e orchestra in do minore Nr. 24 K.491
1 allegro
2 larghetto
3 allegrett

Scarica qui i due concerti di Mozart

Bach: Das Orgelwerk Vol. 10

Bach

Das Orgelwerk, Organ Works, L’oeuvre d’orgue

Michel Chapuis
on the Andersen Organ of the church of the redeemer
Kopenhagen

Scarica i concerti per organo di Bach raccolta n.10

Disco 1 lato A

BWV 599
BWV 601
BWV 602
BWV 603
BWV 604
BWV 605
BWV 606
BWV 607
BWV 608
BWV 609
BWV 610
BWV 611
BWV 612

Disco 1 lato B
BWV 613
BWV 614
BWV 615
BWV 616
BWV 617
BWV 618
BWV 619
BWV 620
BWV 621

Disco 2 lato A,
BWV 622
BWV 623
BWV 624
BWV 625
BWV 626
BWV 627
BWV 628
BWV 629
BWV 630
BWV 631

disco 2 lato B
BWV 632
BWV 633
BWV 634
BWV 635
BWV 636
BWV 638
BWV 639
BWV 640
BWV 641